Sembra che si stia diffondendo il fenomeno degli imbrattatele. Non parlo degli innocui pittori della domenica che, cavalletto in resta, si vedono sempre più raramente puntare verso un panorama più o meno pittoresco nel disperato tentativo di renderlo ad olio o tempera. E neppure di quelli che, da Pollock a Fontana, valutati a peso d'oro, hanno torturato e violentato delle povere tele vergini producendo estasi in generazioni di signore progressiste atteggiantesi ad estimatrici d'arte moderna, sino al genio che, alla Galleria Nazionale di Helsinki, ha occupato tutta una parete con un'enorme tela completamente bianca (rappresentava un paesaggio lappone d'inverno. Un'esecuzione filologicamente perfetta, bisogna ammetterlo).

Parliamo invece di coppie di giovani idioti, tutti figli dell'alta borghesia annoiata e di sinistra, che, in mancanza di meglio da fare e in cerca di una causa qualsiasi per mezzo della quale incarnare qualche alto principio, hanno abbracciato l'ennesimo credo fallimentare dopo marxismo, progressismo ed europeismo: l'ecologismo apocalittico nella declinazione climatica, il Gretinismo. E siccome il leader ufficiale è una ragazzina ignorante un po' ritardata (che ovviamente non conta nulla, siamo seri), i gregari non potevano certo dimostrarsi più intelligenti, e visto che i leader mondiali hanno avuto negli ultimi anni la tendenza ad accogliere coi più ampi sorrisi, abbracci, strette di mano ed incoraggiamenti le farneticazioni della gretina-capo senza poi cessare un solo attimo di sbattersene altamente nei fatti, costoro, da perfetti bambini viziati, hanno reagito con gesti inconsulti, rabbiosi e del tutto gratuiti.

Il problema è che finché si fossero limitati a marinare la scuola, battere i piedi per terra e gridare improperi a chi deve farsi anche 80 km in una vecchia auto a gasolio per andare a lavorare e mantenere una famiglia, ci avremmo tutti messo una pietra sopra, e pace. Alla fine, chi non ha approfittato di qualsiasi pretesto, ai tempi del liceo, per scioperare ed evitare un'interrogazione? A quell'età la sana voglia di non fare nulla è fisiologica. Anche quando avevano ricorso ai blocchi stradali per sensibilizzare gli stessi automobilisti che andavano al lavoro sullo scioglimento dei ghiacci polari, fra l'altro venendo sensibilizzati dagli stessi sul ritardo che rischiavano prendendoli per i capelli e sbattendoli a bordo strada, la situazione era ancora gestibile.
Ma adesso i ragazzini si stanno rivelando ben altrimenti pericolosi.

Prima a Londra e poi a Potsdam, come tutti abbiamo visto, in due musei due ritardate in giubbetto arancione hanno lanciato zuppe di varia composizione contro tele inestimabili di Van Gogh e Monet. Dopodiché si sono “incollate” alla parete (forse per evitare la rimozione forzata immediata) e hanno gridato le classiche, insensate sciocchezze chiedendo agli astanti se avessero preferito la vita al Van Gogh e altri slogan da pusillanimi nati.

Sono diverse le riflessioni che tali episodi impongono.

Il primo è sul punto di insensatezza a cui giungono le ultime generazioni, le quali, incapaci di sollevare un dito per modificare i rapporti economico-sociali o, se preferite in linguaggio meno bolscevico, entrare da protagoniste nel fluire della storia, si danno al puro vandalismo. Ad uno come me, che ha letto Spengler ed Evola, questo è facilmente spiegabile con la decomposizione civile e la degenerazione spirituale dell'epoca attuale. Se un secolo fa generazioni di giovani europei si buttavano entusiaste a crepare nelle trincee della Grande Guerra o sulle barricate della Rivoluzione d'Ottobre o della Marcia su Roma e dei loro focolai all'estero, se due secoli prima l'ondata che coinvolgeva i giovani idealisti era quella della Rivoluzione Francese prima e dell'epopea napoleonica poi, oggi i loro corrispondenti moderni si limitano a imbrattare cartelli, strade e, estrema ratio, opere d'arte. Non potendo crearle, per totale assenza del talento e della pazienza che i giovani espressionisti e futuristi ebbero nel rinunciare ad un'esistenza banalmente impiegatizia per gettarsi nello studio dei grandi maestri e nella vita da bohémien in mansarde umide e malsane di Parigi o Vienna, costoro ricorrono alla messinscena vandalica. Dall'avanguardia all'avanspettacolo. E poco vale ricordare che i futuristi auspicavano la distruzione di tutti i musei e del loro contenuto: erano troppo occupati a creare nuova arte per poi andare seriamente a danneggiare i capolavori del passato. Qui non si crea, si distrugge soltanto, alla faccia di Lavoisier. È evidente che non solo le idee sono scarsissime, essendo l'intero carrozzone del Climate Change eterodiretto da chi, alla testa dei grossi gruppi finanziari e industriali controlla anche la politica dei governi occidentali, punta a svuotarci definitivamente le tasche imponendoci di cambiare auto, pagare l'energia dieci volte tanto e mangiare scarafaggi. Ma è infima anche la sostanza umana dei nuovi rivoluzionari, paragonati a quelli di ieri. Perché anche trovando tristi e dissipatorie le stragi del Terrore o le mattanze sul fronte occidentale, dal mero punto di vista morale gli uomini (e donne) che vi parteciparono, da protagonisti, vittime o carnefici che fossero, dimostrarono di avere una buona dose di coraggio, oltre che una visione del futuro degna di nota. Questi pagliacci, tutt'al più, sanno di rischiare, nei sistemi tanto garantisti del nostro Occidente ormai cadavere, al più una multa che non pagheranno e i loro bravi quindici minuti di miserabile celebrità.

In seconda istanza, mettendo da parte le loro misere persone, mi ha colpito il clima di sostanziale accettazione e curiosità che ha accompagnato gesti meritevoli di ben altra reazione. Non solo, in musei in cui, a sporgere il naso oltre il cordone si viene immediatamente redarguiti da un arcigno custode, questa gente è potuta arrivare, mascherata in modo più che sospetto, carica di barattoli sino ad un quadro il cui solo nome fa partire le aste dai sei zeri, rovesciargli sopra liquidi vari e mettersi poi in posa senza che nessuno muovesse un dito. Ma gli astanti, dal personale del museo (che a questo punto si suppone pagato non per garantire la sicurezza, ma per motivi coreografici e per indicare il gabinetto ai visitatori) sino ai giornalisti “casualmente” presenti al fattaccio, si sono limitati a mettersi a semicerchio per immortalare lo scempio e tramandare a futura memoria le parole demenziali poi strillate dai farabutti. Per me è stata un'altra prova della morte della civiltà in cui viviamo: una popolazione sana mentalmente e moralmente sarebbe saltata al collo dei vandali immobilizzandoli a terra e lasciando loro come ricordo il segno di qualche pedata sui fianchi e sul culo. Invece abbiamo visto lo spettacolo di una torma di larve che reagisce sollevando il telefonino come se un Monet vandalizzato valesse quanto un saltimbanco che fa le imitazioni in piazza.

Ecco, questo mi porta automaticamente a rispondere alla domanda: “Preferite la vita o il Van Gogh?”.

Dipende. Sì, ragazza, perché se la vita è quella di qualche milione di parassiti come te e come i delinquenti che vi ispirano, vi imbeccano e vi coccolano, di sicuro la vostra trasformazione in concime non danneggerebbe il corso della storia dell'umanità più della scomparsa di una tela, anche di quelle meno quotate. Perché già il giorno dopo potevo leggere sui giornali più “illuminati” e sentire su RadioTre esimi intellettuali e stimati editorialisti trattare con comprensione un gesto su cui un animo sano avrebbe solo potuto sputare. Perché, dicevano, vabbé il quadro, ma poverini, che devono fare? Gli abbiamo rubato il futuro (notare la prima persona plurale che accomuna automaticamente chi legge o ascolta nell'ammissione di colpa), sono disperati, bisogna pure che si facciano sentire. Senza però mai considerare che il futuro glielo hanno rubato gli stessi genitori, i quali sono spesso inamovibili occupanti di poltrone ad ogni livello sociale, e che i ragazzi, bontà loro, consumano risorse ed emettono gas serra come chiunque altro senza neppure capacitarsi del fatto che sia così. Perché è più comodo, e vigliacco, continuare a cambiare un cellulare ogni sei mesi da seicento o mille euro fatti in Cina volando low-cost da una parte all'altra del continente e consumando cibo spazzatura che vien fatto volare dal Kenya o dall'Egitto mentre l'agricoltura e l'allevamento locali muoiono di inedia. Rinunciare ai gadget e alle vacanze, ai concerti dove impasticcarsi e fare le orgie (magari multietniche, siamo anche antirazzisti), non sia mai: la colpa dev'essere degli altri, sennò a chi li gridiamo gli slogan della serie “Come osate”? A noi stessi?

Sono tristi paralleli, ma ricorrono in tutte le cadute delle civiltà: solo che, nei secoli bui, almeno non erano gli stessi romani a vandalizzare i marmi o a bruciare i manoscritti. Almeno allora il lavoro sporco lo facevano i barbari. Qui è evidente una volta di più il suicidio della nostra civiltà.

Ora i barbari siamo noi.

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Friedrich von Tannenberg
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