Guardo ogni giorno ameno una volta le tre reti di disinformazione di regime 24/7. Che sia RaiNews, Sky o TgCom, a volte in zapping furioso dall'uno all'altro prima che il disgusto mi costringa a cambiare su di un canale di cartoni animati o di cucina, che almeno hanno il pregio di essere graditi ai bambini o alla moglie e di fare meno danni cerebrali. Alcuni amici, da anni, mi chiedono perché insisto a farlo. La risposta è che non è masochismo (almeno cosciente), ma sento la necessità di rendermi conto del grado a cui è arrivata la mistificazione, il lavaggio del cervello generale. Da lunga pezza, ormai, non credo più ad una parola di quanto esce dai media di regime, e questo mi mette in un certo imbarazzo quando devo sentire ciò che un casuale interlocutore pretende di dirmi utilizzando come fonte quanto assorbito da un tg RAI e simili. O taccio e sospiro di fronte a tanta povertà di spirito, invidiandolo perché, con simili basi, il Regno dei Cieli gli sarà indubbiamente dato, oppure dico la verità gelando ogni successivo tentativo di conversazione, ossia che tutto ciò che sento da simili cloache di liquami propagandistici io lo prendo come falso. A priori. Dopo, caso per caso, verifico.
In questi giorni ho potuto assistere a tre casi monstre di mistificazione che rendono alla perfezione la mia idea di giornalisti come “puttane di regime”, e fanno capire come la mia sfiducia nella cosiddetta informazione debba essere totale.
C'è un'atleta iraniana che viene vista partecipare ad una gara di scalata in Corea del Sud senza il velo d'obbligo per le donne del suo paese. Se fosse accaduto magari un anno fa, nessuno avrebbe battuto ciglio. Ma l'Iran è nel bel mezzo dell'ennesima rivoluzione colorata che lo colpisce, guarda caso, proprio mentre è uno degli alleati conclamati della Russia in pieno scontro con l'Occidente a guida USA, e le conseguenze sono ben diverse. Vediamole.
La notizia fa il giro del mondo e all'atleta, Elnaz Rekabi, è immediatamente attribuita la volontà di sfidare le leggi del proprio Paese in solidarietà alle proteste che infiammano proprio l'Iran. E questo nonostante lei non ne abbia detto nulla né prima, né dopo la gara.
Arrivata quarta, per qualche ora non si collega ai social. Subito la BBC (canale notoriamente obbiettivo e non legato ai nemici dell'Iran, d'altronde sono inglesi, mica barbari slavi o di qualche postaccio del sud), dà l'allarme: è scomparsa ad opera del regime iraniano, e questo nonostante si trovi ancora in Corea del Sud, che forse in quel frattempo è divenuto una repubblica islamica alle dirette dipendenze di Tehran e ne ha organizzato il sequestro. N.B.: ho la tendenza a scollegarmi dai siti social per la maggior parte della giornata. Spero che i miei familiari non ragionino come i giornalisti della BBC, altrimenti prima di sera potrebbero ottenere una dichiarazione di morte presunta e aprire il testamento.
Dopo qualche ora di prigionia (a nessuno passa per la testa che dopo la gara la ragazza abbia voluto riposarsi) la Rekabi scrive su Instagram che sta bene e tornerà presto in patria. Inoltre dichiara che l'hijab le è caduto inavvertitamente. Un messaggio asettico, ma che basta a far germogliare nei meandri di un sito di “giornalisti dissidenti iraniani” mai sentito prima, Iran International, ma che deve essere meritevole di assoluta fiducia, dato che lo cita la BBC, la seguente ricostruzione: l'atleta è stata attirata con l'inganno nell'ambasciata del suo Paese e lì, invece di essere fatta a pezzi e smaltita come accade presso le sedi diplomatiche di Paesi alleati dell'Occidente democratico, le sono stati confiscati cellulare e passaporto. Dopodiché, è stata costretta a reimbarcarsi per l'Iran. Ora, non credo ci sia un solo imbecille che non si renda conto di come sequestrare il passaporto a qualcuno all'estero sia un modo infallibile per bloccarlo lì, e metterlo sull'avviso in modo da indurlo a rivolgersi alle autorità del Paese ospitante il quale, essendo “occidentale” e quindi libero e liberale, lo metterà immediatamente sotto alla sua generosa protezione. Ma evidentemente, come vi dicevo, la Corea del Sud è una dittatura islamica che ha collaborato con i perfidi iraniani e la Rekabi è stata portata coattivamente in aeroporto, dove si suppone abbia ricevuto indietro i documenti senza dei quali (dettaglio insignificante) non avrebbe potuto fare neppure il check-in. Quanto alla spiegazione data sulla caduta del velo, viene ricoperta di ironia e scetticismo, e attribuita a pressioni subite dalla ragazza da parte del regime. Ci raccontano che le avrebbero sequestrato beni per 250.000€ (e mi vien da pensare che in Iran gli atleti guadagnano bene: qui se non si è calciatore di serie A uno sportivo fa la fame). D'altronde, per questi cantastorie è inverosimile che una scalatrice in piena gara prosegua la scalata senza recuperare un velo che le è scivolato di dosso. Tutti noi, al suo posto, avremmo lasciato la presa finendo per schiantarci al suolo, chi lo negherebbe? O almeno, questo è quello che suggeriscono i giornalisti per i quali, in questo caso, la vita va sacrificata per la libertà (per la cosiddetta pandemia funzionava diversamente, ma ci arriveremo).
Morale della favola: la ragazza è rientrata in Iran ed è, a quanto ci dicono, sottoposta a regime di arresti domiciliari. Ora, voglio che sia chiaro che ho in somma antipatia le teocrazie islamiche, e l'Iran in particolare. Non ho alcun attaccamento per l'Islam in quanto religione e leggo sempre con commozione della presa di Gerusalemme da parte di Goffredo di Lorena e dei cavalieri cristiani nel 1099. Ma qui non si discute sulla liceità o meno delle leggi in vigore in Iran, né sul gradimento del regime di quel Paese. Né intendo mettere in dubbio le intenzioni reali della ragazza. Il fatto è che, senza una dichiarazione esplicita di queste, si sta a fare proprio un processo alle intenzioni, aggravato dal fatto che le uniche dichiarazioni dell'interessata, di contenuto opposto a quanto pubblicato ovunque, sono state bellamente snobbate come inattendibili ed estorte per il semplice fatto che non erano compatibili con la storia servita al pubblico. Nessuno si è chiesto che razza di sfida sia una che viene realizzata senza dichiararla come tale. Per quel che emerge, qui ci troviamo di fronte ad una notizia creata dal nulla, di sana pianta, scientemente e in modo neppure troppo rispettoso delle regole della verosimiglianza, confidando senz'altro nell'idiozia di un pubblico ovino ormai rotto a qualsiasi insulto alla logica e al buon senso. Perché se la legge mi impone di portare la mascherina ovunque, vengo fotografato senza e l'unica cosa che dico è che mi è caduta per errore, quale imbecille mi celebrerebbe come un eroe del libero pensiero? Eppure i giornalisti occidentali hanno fatto questo, senza pudore e senza alcun freno. Col risultato che, probabilmente, sono costati l'arresto ad una ragazza che non ha fatto niente per rivendicare un fatto che lei stessa ha presentato come fortuito, ma, conoscendo le logiche interne ad un regime repressivo, è divenuta sospetta ipso facto, per essersi trovata al centro di tanta carità pelosa da parte della stampa dei Paesi ostili.
Avrei dovuto fare altri due esempi, uno con una notizia stavolta vera ma accuratamente occultata dai mezzi di disinformazione di regime, e un'altra, che ha avuto una sorte mista. Purtroppo mi son fatto prendere la mano, ed avendo il dono (o la maledizione) della scrittura facile, ho abusato dell'attenzione dei miei pochi lettori, e rimando il resto ad una successiva puntata.
In questi giorni ho potuto assistere a tre casi monstre di mistificazione che rendono alla perfezione la mia idea di giornalisti come “puttane di regime”, e fanno capire come la mia sfiducia nella cosiddetta informazione debba essere totale.
C'è un'atleta iraniana che viene vista partecipare ad una gara di scalata in Corea del Sud senza il velo d'obbligo per le donne del suo paese. Se fosse accaduto magari un anno fa, nessuno avrebbe battuto ciglio. Ma l'Iran è nel bel mezzo dell'ennesima rivoluzione colorata che lo colpisce, guarda caso, proprio mentre è uno degli alleati conclamati della Russia in pieno scontro con l'Occidente a guida USA, e le conseguenze sono ben diverse. Vediamole.
La notizia fa il giro del mondo e all'atleta, Elnaz Rekabi, è immediatamente attribuita la volontà di sfidare le leggi del proprio Paese in solidarietà alle proteste che infiammano proprio l'Iran. E questo nonostante lei non ne abbia detto nulla né prima, né dopo la gara.
Arrivata quarta, per qualche ora non si collega ai social. Subito la BBC (canale notoriamente obbiettivo e non legato ai nemici dell'Iran, d'altronde sono inglesi, mica barbari slavi o di qualche postaccio del sud), dà l'allarme: è scomparsa ad opera del regime iraniano, e questo nonostante si trovi ancora in Corea del Sud, che forse in quel frattempo è divenuto una repubblica islamica alle dirette dipendenze di Tehran e ne ha organizzato il sequestro. N.B.: ho la tendenza a scollegarmi dai siti social per la maggior parte della giornata. Spero che i miei familiari non ragionino come i giornalisti della BBC, altrimenti prima di sera potrebbero ottenere una dichiarazione di morte presunta e aprire il testamento.
Dopo qualche ora di prigionia (a nessuno passa per la testa che dopo la gara la ragazza abbia voluto riposarsi) la Rekabi scrive su Instagram che sta bene e tornerà presto in patria. Inoltre dichiara che l'hijab le è caduto inavvertitamente. Un messaggio asettico, ma che basta a far germogliare nei meandri di un sito di “giornalisti dissidenti iraniani” mai sentito prima, Iran International, ma che deve essere meritevole di assoluta fiducia, dato che lo cita la BBC, la seguente ricostruzione: l'atleta è stata attirata con l'inganno nell'ambasciata del suo Paese e lì, invece di essere fatta a pezzi e smaltita come accade presso le sedi diplomatiche di Paesi alleati dell'Occidente democratico, le sono stati confiscati cellulare e passaporto. Dopodiché, è stata costretta a reimbarcarsi per l'Iran. Ora, non credo ci sia un solo imbecille che non si renda conto di come sequestrare il passaporto a qualcuno all'estero sia un modo infallibile per bloccarlo lì, e metterlo sull'avviso in modo da indurlo a rivolgersi alle autorità del Paese ospitante il quale, essendo “occidentale” e quindi libero e liberale, lo metterà immediatamente sotto alla sua generosa protezione. Ma evidentemente, come vi dicevo, la Corea del Sud è una dittatura islamica che ha collaborato con i perfidi iraniani e la Rekabi è stata portata coattivamente in aeroporto, dove si suppone abbia ricevuto indietro i documenti senza dei quali (dettaglio insignificante) non avrebbe potuto fare neppure il check-in. Quanto alla spiegazione data sulla caduta del velo, viene ricoperta di ironia e scetticismo, e attribuita a pressioni subite dalla ragazza da parte del regime. Ci raccontano che le avrebbero sequestrato beni per 250.000€ (e mi vien da pensare che in Iran gli atleti guadagnano bene: qui se non si è calciatore di serie A uno sportivo fa la fame). D'altronde, per questi cantastorie è inverosimile che una scalatrice in piena gara prosegua la scalata senza recuperare un velo che le è scivolato di dosso. Tutti noi, al suo posto, avremmo lasciato la presa finendo per schiantarci al suolo, chi lo negherebbe? O almeno, questo è quello che suggeriscono i giornalisti per i quali, in questo caso, la vita va sacrificata per la libertà (per la cosiddetta pandemia funzionava diversamente, ma ci arriveremo).
Morale della favola: la ragazza è rientrata in Iran ed è, a quanto ci dicono, sottoposta a regime di arresti domiciliari. Ora, voglio che sia chiaro che ho in somma antipatia le teocrazie islamiche, e l'Iran in particolare. Non ho alcun attaccamento per l'Islam in quanto religione e leggo sempre con commozione della presa di Gerusalemme da parte di Goffredo di Lorena e dei cavalieri cristiani nel 1099. Ma qui non si discute sulla liceità o meno delle leggi in vigore in Iran, né sul gradimento del regime di quel Paese. Né intendo mettere in dubbio le intenzioni reali della ragazza. Il fatto è che, senza una dichiarazione esplicita di queste, si sta a fare proprio un processo alle intenzioni, aggravato dal fatto che le uniche dichiarazioni dell'interessata, di contenuto opposto a quanto pubblicato ovunque, sono state bellamente snobbate come inattendibili ed estorte per il semplice fatto che non erano compatibili con la storia servita al pubblico. Nessuno si è chiesto che razza di sfida sia una che viene realizzata senza dichiararla come tale. Per quel che emerge, qui ci troviamo di fronte ad una notizia creata dal nulla, di sana pianta, scientemente e in modo neppure troppo rispettoso delle regole della verosimiglianza, confidando senz'altro nell'idiozia di un pubblico ovino ormai rotto a qualsiasi insulto alla logica e al buon senso. Perché se la legge mi impone di portare la mascherina ovunque, vengo fotografato senza e l'unica cosa che dico è che mi è caduta per errore, quale imbecille mi celebrerebbe come un eroe del libero pensiero? Eppure i giornalisti occidentali hanno fatto questo, senza pudore e senza alcun freno. Col risultato che, probabilmente, sono costati l'arresto ad una ragazza che non ha fatto niente per rivendicare un fatto che lei stessa ha presentato come fortuito, ma, conoscendo le logiche interne ad un regime repressivo, è divenuta sospetta ipso facto, per essersi trovata al centro di tanta carità pelosa da parte della stampa dei Paesi ostili.
Avrei dovuto fare altri due esempi, uno con una notizia stavolta vera ma accuratamente occultata dai mezzi di disinformazione di regime, e un'altra, che ha avuto una sorte mista. Purtroppo mi son fatto prendere la mano, ed avendo il dono (o la maledizione) della scrittura facile, ho abusato dell'attenzione dei miei pochi lettori, e rimando il resto ad una successiva puntata.