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Accadeva duemiladuecentoventicinque anni fa.
19 ottobre 202 a.C. La battaglia di Zama chiude la seconda guerra punica, iniziata all’insegna delle mirabolanti vittorie ottenute da Annibale nella penisola italica. Sbarcato in Africa nel 204, Publio Cornelio Scipione poté contare sulla voglia di rivalsa dei cannenses, i veterani superstiti del disastro di Canne (216), e sul principe numida Massinissa, un alleato esperto sia del territorio che delle tattiche di combattimento del nemico. Sbaragliato Annone, Scipione e Massinissa sconfissero il numida Siface e il cartaginese Asdrubale Giscone nella battaglia di Campi Magni (203).
Diversi giorni prima di Zama, narrano Tito Livio e Polibio, Scipione condusse alcuni esploratori e spie cartaginesi a spasso nel campo romano, rivelando loro ogni anfratto, per poi liberarli. La mossa, un’abile operazione psicologica, rese insicuri e sospettosi i nemici. Pressato dalle autorità puniche, Annibale fu costretto a uscire allo scoperto, facendo il gioco dei romani. Egli fu però preceduto da Massinissa, il quale portò ai romani un preziosissimo rinforzo consistente in quattromila cavalieri. A Zama i due eserciti erano in condizioni di quasi parità numerica (circa quarantamila uomini per parte, con un discreto vantaggio cartaginese), ma gli storici antichi e moderni snocciolano cifre diverse e contrastanti. Per quanto riguarda il luogo esatto in cui avvenne la battaglia, c’è chi ipotizza la città numida di Naraggara. Il termine Zama indica semplicemente il luogo dove sorgeva l’accampamento romano; non abbiamo alcuna certezza – né probabilmente l’avremo mai – su dove si svolse con precisione l’epico confronto. L’esercito cartaginese era composto in gran parte da un mix multietnico di mercenari: fanti celtiberi, frombolieri balearici e arcieri moreschi, numidici e ispanici, senza contare i favoleggiati 4.000 macedoni inviati da Filippo V, nemico di Roma. Annibale, che sottovalutò il valore e le motivazioni degli avversari, ruppe gli indugi scagliando i suoi 80 elefanti in un’enorme carica, nella speranza di scompaginare la prima linea romana, avvantaggiando la fanteria che li seguiva a distanza ravvicinata. Ma la mossa si rivelò un’arma a doppio taglio: non appena si avvicinarono al nemico, i mastodontici animali furono atterriti dagli squilli delle trombe e dei corni romani, al punto che alcuni di essi tornarono indietro e piombarono sulla cavalleria cartaginese. Liquidati i pachidermi, le ostilità si trasformarono rapidamente in uno scontro di fanteria. A livello strettamente militare, Zama fu la nemesi di Canne. Infatti si trattò della stessa tattica che Annibale aveva utilizzato a Canne, con risultati spettacolari, quattordici anni prima. Sembra infatti che l’armata cartaginese sia stata inchiodata dalla fanteria per poi essere polverizzata dalla cavalleria, punto forte di Scipione e Massinissa. Alla fine del conflitto, l'oligarchia mercantile cartaginese dovette rinunciare alle colonie iberiche e cedere gran parte della flotta ai vincitori. L’Urbe non ebbe più veri rivali nel Mediterraneo. Publio Cornelio Scipione divenne un eroe nazionale: nel sottotitolo di una sua celebre opera, lo storico inglese Basil Liddel Hart lo ha definito “più grande di Napoleone”.
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