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Accadeva quattrocentoventitré anni fa. 21 ottobre 1600. L’alleanza del Giappone Orientale guidata Tokugawa Ieyasu (1542-1616) esce vittoriosa dalla battaglia di Sekigahara. Ieyasu può così fondare l’omonima dinastia che accompagnerà per quasi trecento anni (1600-1868) il paese asiatico. Cosa c’era prima dell’era Tokugawa? Nel XIII secolo registriamo scricchiolii nello shogunato (XIII secolo), un sistema militare e feudale istituito da Minamoto no Yoritomo e succeduto al declinante ordine centralizzato, ricalcato sul modello cinese confuciano del ritsuryō, da cui ereditò, giapponesizzandole, non poche caratteristiche. Secoli (XV e XVI) durissimi anticiparono l’era Tokugawa: il cosiddetto periodo Sengoku (“Paese in guerra”), pervaso da disordini endemici e da una contesa che coinvolse feudatari daimyō e signori della guerra. Il marasma valorizzò la figura del samurai, la personificazione di un buddismo privo di astrattismi e orpelli intellettuali, adatto a un mondo virile dove gli ideali estetici femminili non hanno voce in capitolo. La riunificazione del Giappone è merito di Ieyasu e di altri due leader militari: Oda Nobunaga (1534-1582) e Toyotomi Hideyoshi (1536-1598). Un famoso detto ci informa che ognuno dei tre aveva un proprio metodo, che ne rispecchiava la personalità: se un uccello non cantasse, Nobunaga lo ucciderebbe, Hideyoshi lo convincerebbe a cantare, e Ieyasu si limiterebbe ad aspettare. Infatti le principali qualità di Ieyasu furono la caparbietà, la pazienza e il saper cogliere il momento opportuno. Sfruttando l’alleanza con Nobunaga, riuscì a espandere ulteriormente il proprio potere. Quando Nobunaga dubitò della sua lealtà, Ieyasu fece uccidere sua moglie e il primogenito – che Nobunaga sospettava essere in collusione con la sua bestia nera, la famiglia Takeda – come prova della propria lealtà. Quando Nobunaga morì, nel 1582, Ieyasu sfruttò i successivi tumulti per estendere i propri domini. Cinico, si rimangiò la parola data a Hideyoshi in punto di morte, cioè di proteggere il giovanissimo erede Hideyori. Dopo Sekigahara, nel 1603, a sessantun anni, si fece assegnare il titolo di shōgun – inutilizzato dal 1588 – dall’imperatore Go-Yōzei. Ieyasu morì di malattia nel 1616, e fu deificato come la manifestazione del Buddha della guarigione. Allo shōgun Tokugawa, proprietario di un quarto delle terre coltivate, oltre alle principali città, ai porti e alle miniere, spettava la ridistribuzione dei domini (han) ai vari daimyō. Le insubordinazioni, nelle alte sfere come nelle basse, venivano sanzionate con punizioni severe, spesso crudeli. La crudeltà delle punizioni stride con la relativa indulgenza del sistema normativo ritsuryō, ed è emblematico del profondo scarto esistente fra l’antica corte similcinese e il nuovo ordine autenticamente nipponico. Il principio della punizione collettiva rese gli abitanti del Sol Levante molto diffidenti nei confronti degli stranieri. L’era Tokugawa coincise con una serie di violente persecuzioni ai danni dei cristiani, specie dei cattolici, il gruppo più folto e pericoloso, vuoi per i rumors provenienti dalle Americhe, vuoi per l’obbedienza che dovevano a una figura (il papa) metà spiriturale e metà temporale. Il nuovo potere proseguì il sentiero stabilizzatore tracciato da Hideyoshi, fondato sul sostanziale congelamento delle classi e l’isolamento internazionale. In seguito tale fase sarebbe stata chiamata sakoku jidai, o «periodo del paese chiuso». Venne ulteriormente ampliato e trasformato il sistema gerarchico formale di ispirazione cinese, il shi-nō-kō-shō, ossia «guerriero-contadino-artigiano-mercante», in ordine decrescente di importanza. I contadini occupavano un gradino più alto degli artigiani e dei mercanti perché nel confucianesimo venivano considerati produttori essenziali. I nobili di corte, i sacerdoti non rientravano in alcuna classe, mentre al di sotto di quella inferiore c’erano due sottoclassi di paria, quella degli eta («grande sporcizia», oggi burakumin), e quella degli hinin («non persone»), emancipatesi solo da qualche decennio. Ne facevano parte chi svolgeva professioni «impure», come i macellai, i conciatori, i becchini, oppure praticava attività «sospette», quali il commercio ambulante e la recitazione. Una delle divisioni principali era quella fra i samurai e i non samurai. Tuttavia, la serenità dell’epoca Tokugawa rese i guerrieri superflui. Bisognava sedare rivolte contadine e mantenere l’ordine pubblico, ma per dei veri combattenti c’era ben poco da fare. Così i samurai si trasformarono in burocrati. Questi uomini al vertice della scala sociale, a disagio nel quieto tran tran amministrativo, coglievano la minima occasione per entrare in azione e dimostrare il proprio valore. Ironicamente, fu proprio durante questo periodo che si delinearono alcune delle espressioni più chiare dell’ideale del samurai: il bushidō, o «via del guerriero». Originally posted in:
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