Accadeva duecentodue anni fa.
6 febbraio 1822. L'imperatore d'Austria Francesco II commuta la pena di morte per Piero Maroncelli e Silvio Pellico in quella del carcere duro, da scontarsi nella fortezza dello Spielberg, a Brno. Sulla scia dei moti carbonari del 1820-21, in tutta la penisola la repressione fu dura. I governanti puntarono a soffocare le idee liberali sotto una cappa di devozione ufficiale, col risultato che l’influenza della Chiesa crebbe quasi in ogni singolo ambito della vita pubblica. In particolare la scuola e la censura subirono in pieno gli effetti dell’offensiva della morale e dell’intolleranza cattoliche. Nel Mezzogiorno vaste epurazioni colpirono l’esercito, l’amministrazione e la giustizia, e la Carboneria fu ridotta all’ombra di se stessa. Molti degli imputati erano crollati durante gli interrogatori rivelando i nomi dei loro complici, col risultato che in Lombardia il movimento delle sette fu quasi del tutto estirpato. Proprio in Lombardia, una serie di processi clamorosi, che videro imputati quasi cento membri della Federazione Italiana, della Carboneria e di altre sette, culminarono nel novembre 1823 nella condanna a morte – da eseguirsi con la forca – di Federico Confalonieri, Luigi Porro-Lambertenghi (il co-fondatore del periodico «Conciliatore»), Giorgio Pallavicino-Trivulzio, Pietro Borsieri, Francesco Arese e una dozzina di altri personaggi in vista della vita intellettuale e mondana di Milano. Anche Giandomenico Romagnosi fu condannato, mentre Berchet e Porro Lambertenghi riuscirono a fuggire. Come nel caso di Pellico e Maroncelli, la pena capitale fu commutata nel carcere duro allo Spielberg, Confalonieri a vita (graziato nel 1835), Borsieri e Pallavicini per venti anni. Fu grazie a Teresa Casati se Confalonieri sfuggì alla forca: riuscì a commuovere l’imperatrice e volle restare fino alla morte vicino al carcere dove era rinchiuso il marito. Silvio Pellico ricevette la grazia nel 1830 e, dopo due anni, pubblicò Le mie prigioni, un resoconto (tradotto in molte lingue) degli otto anni trascorsi nel carcere-fortezza dello Spielberg: un libro che danneggiò enormemente l'immagine internazionale dell'Austria, più di una battaglia perduta, anche se certi detrattori la reputano moraleggiante e lagnosa. Pure Maroncelli, che nel 1833 riparò in Francia, avrebbe voluto editare un diario sulla detenzione, ma l’immediato successo dello scritto del compagno di sventura lo dissuase. In una lettera a un giornale francese osservò che Pellico «aveva scritto sulla sua prigionia e sulla mia un libro ammirevole che non è un libro politico, meno ancora un libro di partito, e meno ancora un libro di odio». Maroncelli scrisse una sorta di commento (lo chiamò Addizioni) a Le mie prigioni, dove tentò di spiegare le ragioni filosofiche, letterarie, estetiche che sorreggevano l’azione politica del gruppo milanese del «Conciliatore». Nelle Addizioni Maroncelli dà molte notizie sugli intellettuali liberali lombardi, esprime ammirazione per scrittori come Gabriele Rossetti, Giambattista Niccolini, Massimo d’Azeglio, ribadendo l’idea, che sarà ripresa da Mazzini, che la letteratura deve «ritemprare il carattere nazionale» e che l’arte deve essere «l’espressione dello stato civile, politico e religioso in cui trovasi un popolo». Va notato le autorità austriache, al netto della vulgata propagandistica risorgimentale, si comportarono correttamente, e non utilizzarono la tortura. Ma ciò non impedì che le vittime acquisissero lo status di martiri, specialmente dopo la pubblicazione de Le mie prigioni. L’accentuata severità della censura a cui era sottoposta la carta stampata, fece sì che nel corso degli anni Venti e Trenta media alternativi come la pittura acquistassero un’importanza crescente al fine di veicolare il sentimento patriottico. Diverse delle opere più acclamate di Hayez e dei suoi contemporanei riuscirono a raggiungere un pubblico amplissimo sotto forma di incisioni. Quando Francesco Arese (uno di quelli che avevano “cantato”) tornò a Milano dopo tre anni passati allo Spielberg, incaricò Hayez di fargli un ritratto che lo mostrasse seduto nella sua spoglia cella di pietra con le catene ai piedi. Il contrasto tra l’abito e l’atteggiamento aristocratici di Arese e l’avvilente squallore dell’ambiente era calcolato per produrre il massimo impatto emotivo. Il dipinto di argomento storico, poi, stabiliva un legame che contribuiva altresì a tracciare i contorni di una comune tradizione nazionale di cui i contemporanei potessero sentirsi gli eredi. Mentre era ancora nella cella dello Spielberg, Giorgio Pallavicino-Trivulzio decise di commissionare un dipinto a Pelagio Palagi, rivale di Hayez. Il soggetto prescelto richiamava, di nuovo, l’attenzione sul sacrificio della felicità domestica in nome di un valore più alto: il quadro doveva raffigurare Cristoforo Colombo nell’atto di salutare i due figlioletti prima di salpare dal porto di Palos. Nella Lombardia della Restaurazione si formò intorno alla figura del navigatore qualcosa che assomigliò a un culto: nel 1818 uscì a Milano una grande biografia e nel 1826 un poema epico, cui vanno aggiunti nuovi dipinti e alcune opere liriche, una delle quali scritta nel 1829 dal giovane compositore napoletano Luigi Ricci. La convinzione crescente degli storici che le origini delle nazioni europee andassero ricercate nell’epoca cruenta delle invasioni barbariche dopo il V secolo d.C. significava accendere i riflettori su un periodo colmo di messaggi contraddittori dal punto di vista del patriottismo italiano. Nel corso del XIX secolo, il modello statunitense risultò più funzionale di quello francese nel legittimare il senso di democrazia del Risorgimento. Oltreoceano la realtà italiana era un argomento d’attualità. Sovrapponendo convinzioni ideologiche a mire strategiche nel Mediterraneo, cronache, racconti e relazioni politiche sull’Italia pre-unitaria erano all’ordine del giorno. Accurati resoconti giunsero all’indomani dei moti liberali. Se le notizie delle violenze popolari suscitarono non pochi timori, i nuclei fondamentali della visione statunitense, tuttavia, verterono sulla denuncia di una società oppressa e vessata da monarchi corrotti. Nel 1833 «The American Monthly Review», nel tradurre la prima versione in inglese delle Mie prigioni di Silvio Pellico, sottolineò la «crudeltà incessante» della sua prigionia, descrivendola come una pena che avrebbe causato «la meritata ignominia su qualsiasi tiranno o governo». Le memorie dello scrittore piemontese divennero un vero e proprio bestseller negli Stati Uniti, tanto che secondo Federico Confalonieri era possibile trovarne una copia praticamente ovunque, «dalle capanne dell’Alabama a quelle del Michigan». I principali periodici statunitensi, dopo le fallite insurrezioni del 1831, continuarono a dedicare lunghe riflessioni intorno alla misera sorte politica della penisola, rilanciarono appelli di solidarietà e stigmatizzarono la condotta delle autorità asburgiche e borboniche. Scrittori di grido come James Russell Lowell, Henry Wadsworth Longfellow e William Parsons conobbero da vicino la società italiana, diventando paladini della causa risorgimentale. Nel corso dei loro soggiorni in Italia, realizzarono diari di viaggio, liriche e poemi che ritraevano un paese sospeso tra un passato splendente e un presente piegato dal dispotismo e dall’ignoranza. Anche il nascente movimento abolizionista, inizialmente riunito attorno al settimanale «The Liberator», contribuì a popolarizzare la questione dei diritti civili e delle libertà nazionali. Le relazioni tra patriottismo italiano e repubblicanesimo statunitense furono stabilite da un gruppo di detenuti politici, incarcerati per sovversivismo nel dicembre 1820. Il 4 marzo 1835 una risoluzione imperiale di Ferdinando I offrì a una ventina di prigionieri del Lombardo-Veneto la possibilità di trasferirsi negli Stati Uniti, in alternativa all’estinzione della pena nel carcere dello Spielberg. Agli inizi di agosto, a bordo del vascello Ussaro, lasciarono il porto di Trieste per giungere a New York il 16 ottobre 1836 Giovanni Albinola, Felice Argenti, Cesare Benzoni, Pietro Borsieri, Gaetano De Castillia, Felice Foresti e Luigi Tinelli. Lo sbarco dei prigionieri fu accolto con clamore e preceduto da manifestazioni di giubilo. The American Quarterly Review li definì un «acquisto per qualsiasi nazione» e li celebrò quali uomini assolutamente «degni del nostro rispetto».
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