Accadeva ottantasette anni fa.
1 gennaio 1937. Anastasio Somoza García diventa presidente del Nicaragua. La dinastia Somoza governerà ininterrottamente il paese fino al luglio del 1979. Le radici del potere della famiglia risiedono nella formazione della Guardia Nacional, nel 1933, anno in cui l'esercito statunitense d'occupazione abbandonò il paese nel quale era stato chiamato ripetutamente dal partito conservatore per sostenerlo nell'interminabile lotta con i liberali. Sin dalla metà del XIX secolo, si era accesa la disputa, diplomatica e finanziaria, circa la realizzazione di un canale navigabile tra l'Atlantico e il Pacifico. La scelta era caduta sul Nicaragua, dove si poteva sfruttare la navigabilità del Rio San Juan. Invece il canale venne realizzato a Panama, ma sin dalla metà del XIX secolo gli Stati Uniti hanno difeso l'opzione strategica di sfruttare questa via d'acqua, contendendola alla Gran Bretagna, e nel 1916 (trattato Bryan-Chamorro) hanno acquisito il diritto perpetuo di realizzare il canale. Washington ha sostenuto i governi conservatori, finanziando lo Stato in cambio dell'esazione dei diritti doganali della Repubblica (1911) e sovvertendone le vicende politiche con ripetuti interventi, diretti o coperti (1909, 1912 e 1925). Nelle file liberali emerse nel 1927 la figura carismatica di Augusto C. Sandino, fondatore dell'Ejército Defensor de la Soberanta Nacional (EDSN), leader nazionalista, massone e cultore d'occultismo, affascinato dalle religioni orientali. Con accorte tattiche di guerriglia, Sandino riuscì a sostenere la guerra costituzionalista contro le forze regolari conservatrici e a guidare la resistenza all'invasione dei marines americani sino al 1933, anno in cui le truppe d'occupazione si ritirarono e al primo dei Somoza, Anastasio Somoza Garcia, fu affidato il comando della neocostituita Guardia Nacional. Nel 1932 Sandino, al pari di un eroe dei romanzi di Garcia Marquez, ebbe un presentimento: «Non vivrò a lungo». Un anno dopo, grazie alla politica nordamericana di Buon Vicinato, si celebrava la pace. Il capo guerrigliero venne invitato dal presidente in persona a una negoziazione decisiva che si sarebbe dovuta tenere a Managua. Era una trappola: Sandino venne ucciso per strada, in un'imboscata, il 21 febbraio 1934. Anni dopo Somoza dichiarò che l'uccisione era stata ordinata dall'ambasciatore nordamericano Arthur Bliss Lane. Somoza s'installò ben presto al potere: alla sua morte, lasciò la carica ai figli, come eredità. Prima di decorarsi il petto con la fascia presidenziale, s'era autodecorato della Croce al Valore, della Medaglia di Distinzione, della Medaglia Presidenziale al Merito. Poi, una volta al potere, organizzò varie esecuzioni e grandi commemorazioni durante le quali travestiva i suoi soldati da romani, con sandali ed elmo; con le sue quarantasei piantagioni diventò il maggior produttore di caffè del paese (lui che da giovane, a quanto pare, sbarcava il lunario falsificando monete) e, in altre cinquantuno haciendas si dedicò all'allevamento del bestiame. La storia del Nicaragua è contrassegnata dall'interminabile scontro politico e militare fra le due principali città coloniali, Grenada e Leon, ossia fra gli interessi del commercio da un lato, e quello dei cereali e dell'allevamento dall'altro. Quasi la metà degli operai delle banane dell'Honduras erano salvadoregni e molti furono costretti a tornare nel loro paese dove non c'era lavoro per nessuno e dove nel 1932, nella regione di Izalco, scoppiò una grande ribellione repressa nel sangue dallo strambo dittatore ”teosofo” Martinez. Sostenuta dai pretoriani della Guardia Nacional, presente con aziende e compagnie di famiglia in tutti i rami legali e illegali dell'economia del paese, garantita da un vero e proprio monopolio politico ed economico e dal sostegno statunitense, che fece del Nicaragua lo snodo logistico delle avventure militari e diplomatiche Usa nell'istmo e nei Caraibi, paradossalmente la dinastia dei Somoza ha creato le condizioni del suo abbattimento: i possibili interlocutori sociali ed economici furono sospinti all'opposizione di quello che si configurava come un vero e proprio Stato patrimoniale, le cui risorse erano di proprietà della dinastia. Nel 1979, alla vigilia della rivoluzione, il patrimonio della famiglia Somoza era stimato dal "New York Times" in 400 milioni di dollari. Tuttavia l'attendismo delle opposizioni costituzionali non sarebbe maturato in un'opposizione attiva senza l'attivismo del Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN) sorto nel 1961 - subito dopo la rivoluzione cubana - e soprattutto del suo fondatore, Carlos Fonseca Amador, caduto in uno scontro armato con le truppe regolari sulle montagne di Zinica il 7 novembre 1976. Il FSLN subì una feroce repressione, ma trasse profitto dalla dispersione dei suoi quadri in aree geografiche e in settori sociali diversi. Tre correnti principali, scarsamente in comunicazione tra loro, si radicarono nelle zone montagnose e rurali, nelle cinte urbane delle città e nella piccola e media borghesia. Ognuna delle tre componenti estese la sua presenza organizzativa e militare, specialmente dopo il drammatico terremoto che aveva colpito la capitale Managua nel 1972 e l'appropriazione degli aiuti umanitari da parte del dittatore. Nel 1978, l'assassinio di Pedro J. Chamorro, leader dell'opposizione liberale, spinse gli oppositori alla rottura rivoluzionaria, sotto l'egemonia e la guida militare del FSLN. Il 19 luglio 1979 seicentomila persone, poco meno d'un terzo della popolazione totale, accolsero trionfalmente l'entrata dei combattenti. Né il volume di fuoco della Fanteria della Marina, né le bombe vomitate dagli aerei erano sufficienti a piegare i ribelli di Las Segovias. E non erano sufficienti neppure le calunnie che le agenzie d'informazione Associated Press e United Press - i cui corrispondenti in Nicaragua erano due nordamericani che controllavano la dogana del paese - spargevano a piene mani. Quando i sandinisti presero il potere, nazionalizzarono tutte le banche straniere tranne la Banca Commerciale del gruppo Ambrosiano. Guidato dalla prudenza che ha sempre contraddistinto la politica estera della Santa Sede, lo IOR di Marcinkus aveva oliato con milioni di dollari i “comandanti” del FSLN per l’acquisto di armi.
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