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Epistula ad Cazzullum.
Libro brutto e superficiale di un giornalista inqualificabile. Il titolo, che sembra partorito da un boomer da bar, racchiude il peggio dell'unico nazionalismo consentito agli italiani: il nazionalismo archeologico (o culinario). Il succo dell'opus cazzulliana è: allegri, Roma rivive nell'Impero Occidentale. È come se uno scimpanzé vivisezionato affermasse, darwinianamente: “Son contento perché in fondo io e voi abbiamo gli stessi antenati.” I saggi interessanti sulla storia dell'antica Roma (dai classici di Mommsen fino ai più accessibili tomi di Montanelli, passando per Mazzarino e Rostovtzeff) si sprecano. Leggete quelli, e buttate nell'umido le sconce immondizie di Aldo Pennarullo. Colgo fior da fiore:
«La Russia sentì, fin dall’inizio della sua storia, di avere una missione: la difesa della fede ortodossa, considerata l’unica e l’autentica; e la guida del mondo cristiano verso una nuova era. Forti di quella convinzione, gli eserciti degli zar arrivarono sino all’oceano Pacifico e al mar Nero [...]. Caterina la Grande sconfisse i turchi e giunse a vagheggiare la rinascita dell’impero romano d’Oriente [...] molte città dell’impero russo prendono nomi greci: Sebastopol, Melitopol, Mariupol e Cherson, nomi oggi drammaticamente noti per la guerra russo-ucraina, che rappresenta il sanguinoso pervertimento di quegli ideali.» E chi lo dice che è il "pervertimento di quegli ideali"? Cazzullo? La sua filosofia della storia a cazzo di cane? La prima scrofa ashkenazita del Dipartimento di Stato? Io boh.
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