Accadeva ottocentotré anni fa.
22 novembre 1220. Papa Onorio III incorona Federico II di Svevia imperatore del Sacro Romano Impero. Il Pontefice, debole, disarmato e in rotta con gli incostanti romani, accettò suo malgrado di consacrare Federico, il quale evitò di indugiare nell'Urbe per rispetto delle prerogative papali. Stranamente, e forse il giovane Hohenstaufen lo rimuginò, la sede naturale dell’impero era nel luogo in cui la presenza dell’imperatore era sgradita se non osteggiata. Quel giorno il clima nella città eterna era sereno e non si verificarono incidenti: guelfi e ghibellini, intenti nella loro annosa faida, incrociarono le braccia. Federico giurò a Onorio che la corona di Sicilia, ottenuta da suo padre in virtù del matrimonio contratto con la principessa normanna Costanza d'Altavilla, non sarebbe stata confusa con quella dell’Impero, e che riconosceva la subordinazione della Sicilia alla Santa Sede. Il simbolismo dell'incoronazione imperiale, con i suoi rituali e i suoi giuramenti (la promessa di proteggere la Chiesa; l’offerta di un tributo; la confessione al cardinale-vescovo di Ostia; l'unzione, con normale olio consacrato, sulle braccia e sulle spalle) suscitò non poche polemiche. Alcuni hanno ravvisato nell’assenza del crisma, e nell’omissione dell’unzione sul capo, un tentativo papale di sminuire una cerimonia che, in ogni caso, in questa forma veniva praticata già nel secolo XI. E occorre ricordare che Federico era stato consacrato imperatore ad Aquisgrana nel 1215. Essendosi presentato a Roma come monarca, la liturgia aveva l’esclusiva funzione di elevarlo dallo status di rex territoriale a quello di imperatore universale. La prassi ordinaria era superflua; ciò che contava era esibirsi al popolo adorno di mitra e del venerabile diadema di Ottone I, con scettro, spada e globo sormontato dalla croce, simboli del suo diritto di governare, della sua autorità universale e del suo potere di intervento nelle cose terrene. Non mancò di piegarsi alla discussa consuetudine di reggere al pontefice la staffa mentre saliva a cavallo e quindi guidarlo per qualche passo. Come in passato aveva intuito il Barbarossa, l’intera scena allegorizzava la sudditanza del potere temporale al potere spirituale. Il giovane Hohenstaufen rinnovò il vecchio giuramento di vestire le insegne di crociato: la critica situazione dell’esercito cristiano rinserrato in Damietta rendeva la sua partenza quanto mai urgente. Ma il giovane Hohenstaufen sembrava essersi dimenticato del voto di Aquisgrana, e ritardò la partenza in Terra Santa. Onorio minacciò di scomunicarlo, ma Federico non se ne diede per inteso. Aveva ben altre cose a cui pensare: i principi tedeschi e i baroni siciliani erano, come al solito, in fermento; i primi non volevano riconoscere il figlio dell'Imperatore, Enrico, Re di Germania, i secondi osteggiavano i tedeschi e li boicottavano. Federico ebbe ragione degli uni e degli altri e con abile mossa riuscì a unire sul capo del figlio le due corone di Germania e di Sicilia. L'Hohenstaufen s'impegnò a difendere i privilegi e il patrimonio della Chiesa e a perseguire gli eretici, contro cui erano previste la confisca dei beni e l’espulsione dalle terre in cui dimoravano. Ancora una volta tradì il voto di partire per le crociate, e si mise in marcia per la Puglia, dove riunì i baroni e riformò le leggi del Regno. La buona disposizione del nuovo imperatore a cooperare con il papato è dimostrata anche dall'emanazione, al momento dell’incoronazione, della Constitutio in Basilica Beati Petri, che garantiva la completa libertà della Chiesa: gli ecclesiastici dovevano essere esentati dalla giurisdizione dei tribunali secolari e dalla tassazione. L'esatto contrario di ciò che i sovrani inglesi avevano tentato di fare. Non mancarono capitoli favorevoli agli ultimi e ai bisognosi: la protezione dei pellegrini e dei viaggiatori alla mercé di banditi ed esattori; misure assicurative per i mercanti, minacciati da naufragi, furti e incidenti; il contadino, eternamente in difficoltà nel far valere i suoi diritti. Troviamo qui la più limpida espressione del programma federiciano, che offriva pace e sicurezza a tutti onorando al contempo la Chiesa. Dopo la solenne incoronazione, Federico si precipitò verso il “suo” Regno di Sicilia. Da Capua, porta d’accesso al Regno, emanò un primo corpo di leggi, le Assise di Capua, che suonarono come un ultimatum: fine per tutti – feudalità, Chiesa e città – d’ogni incontrollata autonomia particolaristica estranea al monarca. Terminava così la “ricreazione”, il clima d’anarchia instauratosi dal tempo della minore età di Federico e proseguito poi nella lunga sua assenza. Ai feudatari fu imposto di esibire i documenti attestanti l’effettiva titolarità dei feudi, con la conseguente distruzione dei documenti risultati falsi e l’abbattimento di fortezze e castelli costruiti senza autorizzazione regia.
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