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Accadeva quarantaquattro anni fa.
12 novembre 1979. In risposta al sequestro dell'intera ambasciata americana a Teheran, il presidente USA Jimmy Carter ordina il blocco di tutte le importazioni di petrolio dall'Iran. Prendendo a pretesto l’ingresso dello scià negli Stati Uniti (22 ottobre 1979), il 4 novembre un ristretto numero di studenti attaccò l’ambasciata statunitense a Teheran e ne prese in ostaggio il personale, tra cui lo stesso ambasciatore William Sullivan. Altre tre persone, tra cui l’incaricato d’affari Bruce Laingen, furono trattenute al ministero degli Esteri dove si trovavano per una riunione. Il 20 novembre, per accattivarsi l’opinione pubblica americana, i carcerieri rilasciarono tredici ostaggi, donne e afroamericani. Un altro fu liberato nel luglio 1980 perché malato. Nel complesso, il gruppo che assalì l’ambasciata tenne prigionieri sessantatré funzionari per 444 giorni. La crisi che ne seguì rappresentò uno snodo fondamentale per la storia dell’Iran, soprattutto a causa della rottura dei rapporti diplomatici tra Teheran e Washington e per le sanzioni. Il clamoroso gesto ai danni del “Grande Satana” fu dettato da diversi fattori: era ancora vivo negli iraniani il bruciante ricordo del colpo di Stato del 1953, condotto dai servizi occidentali contro il presidente democraticamente Mossadeq, e le torture inflitte agli oppositori dalla SAVAK, la polizia segreta dello scià addestrata e assistita dalla CIA. Per questo, l’ambasciata statunitense era considerata un «nido di spie», il bersaglio perfetto. Diversi tentativi di salvataggio non andarono a buon fine, tranne l'operazione Argo che trasse in salvo una parte degli ostaggi sfuggiti al sequestro del 4 novembre. Gli ostaggi furono liberati solo il 20 gennaio 1981, il giorno dopo l’accordo di Algeri in base al quale gli Stati Uniti non avrebbero interferito nella politica interna. iraniana e avrebbero reso nuovamente disponibili i capitali depositati nelle banche americane. Con un pretesto Washington restituì a Teheran soltanto 2,3 miliardi di dollari, trattenendone 7,7 miliardi. Tra i costi ulteriori dell'operazione occorre tenere conto dell’isolamento dell’Iran nei confronti sia degli Stati Uniti sia del resto del mondo islamico: anziché fare buona impressione sugli altri paesi musulmani e avere quindi qualche possibilità di esportare la rivoluzione, l'Ayatollah divenne simbolo di violenza e oscurantismo. Americani e iraniani non disdegnarono di combinare affari sottobanco, come dimostra il traffico di armi (basta pensare allo scandalo Irangate) utili a contrastare l'Iraq di Saddam Hussein nella guerra che impegnò i due paesi mediorientali per tutti gli anni Ottanta.
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