Accadeva centouno anni fa.
30 ottobre 1922. Mentre è in corso la marcia su Roma, il re Vittorio Emanuele III conferisce a Benito Mussolini l’incarico di formare il nuovo governo. Verso le 19,20 il neopresidente risalì le scale del Quirinale per sottoporre al sovrano l'elenco dei suoi futuri collaboratori. Oltre al capo del PNF, che si prese anche l'interim degli Interni e degli Esteri, vi figuravano tre fascisti (Oviglio alla Giustizia, De Stefani alle Finanze e Giuriati alle Terre liberate), due popolari (Tangorra al Tesoro e Cavazzoni al Lavoro), due militari (Diaz alla Guerra e Thaon de Revel alla Marina), due democratici (Carnazza ai Lavori pubblici e T. Rossi all'Industria e Commercio), un nazionalista (Federzoni alle Colonie), un demosociale (Colonna di Cesarò alle Poste), un liberale (De Capitani all'Agricoltura) e un indipendente della destra liberale-autoritaria, di indirizzo conservatore (Gentile all'Istruzione). Nel complesso il partito era stato sacrificato, ma gli furono assegnati parecchi sottosegretariati importanti: alla presidenza, all’interno, al lavoro, all’agricoltura, all’istruzione, ai lavori pubblici, alla marina e così via. In totale, su diciotto sottosegretari, nove erano fascisti, quattro popolari, due nazionalisti e demosociali e uno liberale. L'esecutivo, costituito fin dal 31 ottobre, fu presentato alla Camera il 16 novembre, giorno in cui il nuovo Presidente del Consiglio tenne il celebre discorso del “bivacco di manipoli”. Con i suoi trentanove anni, lo stempiato ex agitatore romagnolo sarà il presidente del Consiglio più giovane di un mondo dominato da gerontocrati e matusa d'ogni tipo.
Rivoluzione o pateracchio all’italiana? Nei colloqui con il giornalista tedesco Emil Ludwig, il Duce confessò: “Ho preso la democrazia come l'ho trovata, ho dato ai socialisti la possibilità di partecipare al governo. Turati, che è morto ieri, lo avrebbe forse fatto, ma Baldesi e tutti gli altri si lasciarono sfuggire ancora una volta le migliori occasioni per ostinazione. Siccome io avevo in progetto un completo rinnovamento della nazione, dovevo abituarla lentamente al nuovo corso e utilizzare le sue grandi forze. I russi poterono fare in modo diverso: trovarono il posto vuoto e poterono distruggere completamente tutto per costruire la casa nel bosco. Ma dove saremmo noi oggi se prima avessi dovuto abbattere tutto?»
Ancor prima del consenso, ad agevolare la svolta autoritaria furono la prostrazione e la voglia di normalità. Scrive Renzo De Felice: “… il popolo italiano non fece pressoché nulla per inserirsi in prima persona nella crisi in atto; né attraverso i sindacati e le formazioni politiche che sarebbero dovute essergli più congeniali, né in modo autonomo. Non si ebbero manifestazioni popolari, non si ebbero grandi scioperi di protesta, non si ebbero neppure casi significativi di resistenza armata, inutili forse, ma che avrebbero pur tuttavia avuto un loro significato. L'indifferenza con la quale fu lasciata cadere, a tutti i livelli, la proposta comunista di uno sciopero generale è indicativa e non può essere spiegata solo col "tradimento", con la "pusillanimità" di alcuni dirigenti. La spiegazione va ricercata più in profondo, deve essere più realistica, anche se più sconfortante. Tre anni e mezzo di guerra, di una guerra che aveva coinvolto - per la prima volta - milioni di uomini e di donne, al fronte come all'interno, due anni di violente agitazioni "rosse", che erano sembrate (a torto o a ragione poco importa) portare il paese sull'orlo della rivoluzione, e, infine, altri due anni di reazione fascista, vissuti nell'incubo della guerra civile e caratterizzati da quotidiane violenze che avevano insanguinato buona parte della penisola, quasi otto anni, insomma, di tensione, di sacrifici, di torbidi, di violenze continue avevano inciso non solo nelle carni ma anche negli spiriti. Un profondo senso di stanchezza pervadeva ormai tutti. La tensione morale, i grandi ideali si erano dissolti e avevano fatto posto ad uno stato d'animo di depressione, di sconforto, di confusione, al quale si sottraevano solo piccole élites, dalle idee per altro spesso poco chiare e contraddittorie e con scarsi legami con le masse.”
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