Ad Aldo Agroppi mi legano tantissimi ricordi.
In primis, quello di una simpatia travolgente, paradossalmente tipica di chi ha conosciuto il "male oscuro" della depressione.
Essere simpatici non ha quasi mai a che fare con la superficialità ridanciana ma con una terribile inquietudine che, tuttavia, il simpatico - dal greco sympatheia, parola composta da συν + πάσχω (syn + pascho = συμπάσχω) cioè capacità di entrare in connessione emotiva con l'interlocutore - essendo ben cosciente di quanto oscuri siano i suoi mali, cerca di mascherare per evitare di farsi isolare.
Aldo non era come lo vedevamo in TV, era molto meglio. Intanto, era una persona estremamente intelligente e molto più colta di quanto la sua toscanità marittima livornese - per molti votata all'humour greve e di pancia - facesse pensare. E soprattutto, era una persona generosa, di gran cuore, che ha aiutato tantissimi giornalisti della sua terra ad entrare nel mondo dello sport. Ci conoscemmo moltissimi anni fa dalle parti di San Vincenzo - paese di origine di un altro grande allenatore, Walter Mazzarri, che noi tifosi del Napoli ricordiamo molto bene - e parlammo per tanto tempo di calcio.
Un'ora di conversazione con lui e ti aveva smontato tutti i luoghi comuni che la stampa di regime - attiva anche nel calcio, ovviamente - creava, per trasformare, kafkianamente, le vittime in carnefici e viceversa.
Ci siamo tenuti in contatto per diversi anni, in cui ha avuto non pochi acciacchi di salute ai quali rispondeva, tuttavia, col consueto spirito mordace (memorabile la sua battutaccia "Lewandowski? Meglio Mettowski!" che scatenò l'ilarità durante una trasmissione regionale toscana) e con la depressione che, ad intervalli più o meno regolari, faceva capolino nella sua vita e lo portava a sparire per mesi, se non addirittura anni.
Una grave perdita di una grande persona.
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