Accadeva dodici anni fa.
20 ottobre 2011. Nella città Sirte viene ucciso e linciato dai ribelli il leader libico Muammar Gheddafi, volatilizzatosi in seguito ai bombardamenti anglo-franco-americani del mese di marzo. Il Colonnello, accentratore esasperato, non lasciò dietro di sé istituzioni solide: come tutti i despoti (il dispotismo è come il mulo: superdotato ma sterile) ha sempre temuto che gli apparati dello Stato, sfuggendo al suo controllo, avrebbero potuto minacciare il suo monopolio sul potere. «Lo Stato sono io», il celebre motto attribuito a Luigi XIV, calza a pennello al nostro personaggio. La memoria corre a quel 30 agosto del 2010 a Roma, una “giornata particolare” per festeggiare il secondo anniversario dell’accordo di amicizia e cooperazione italo-libico, siglato con l’allora presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi (che, non molto tempo dopo commenterà la fine di Gheddafi con un imbarazzato «sic transit gloria mundi»), in un tripudio di kitsch con tanto di amazzoni, tende e trenta cavalli berberi. Discendente da poveri beduini col mito di Nasser, Gheddafi fu per quarant’anni alleato e avversario dell’Italia; i governi della Prima Repubblica sopportavano pazientemente le sue bravate revansciste da “Capitan Fracassa” (copyright Bettino Craxi), come quella volta che mandò due missili Scud ad affondare nelle acque territoriali italiane, al solo scopo di potersi vantare di aver colpito Lampedusa. Ma Gheddafi fu anche il teorico e portabandiera del socialismo verde e nazionale, la Jamahiriyya; un fratello maggiore dei regimi africani; un’eminente azionista FIAT; una girella nella fase finale della guerra fredda; il salvadanaio della lotta armata, palestinese e non. Seppe ergersi a critico lucido e lungimirante del cosiddetto sud del mondo: ad Harare, dopo il raid americano su Tripoli (1986), rilevò l'assoluta inefficacia del Movimento dei paesi non allineati, incapace di far fronte comune e di opporsi seriamente alle prepotenze del ricco Occidente. Una volta liquidato il rais, riemerse la storica rivalità tra la Tripolitania e la Cirenaica, con le conseguenze nocive che stiamo sperimentando da oltre un decennio. La falsa rivoluzione del 2011, oltre a dissolvere una delle nazioni africane col più alto standard di vita, aprì le cateratte dell’immigrazione clandestina, specie dopo il 2014, con la guerra civile in Siria ha fatto esplodere il fenomeno migratorio attraverso la «rotta del Mediterraneo Centrale». Con somma soddisfazione dei teorici della società multietnica.
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