Nelle ultime ore si leggono tante cose, non sempre esatte, sul conto di Enrico Mattei (1906-1962). A destra Giorgia Meloni lo ricorda su X usando un'espressione piuttosto reticente e infelice: “ci lasciava" il 27 ottobre di sessantadue anni fa. Macché ci lasciava! Sappiamo benissimo chi e come ha provveduto a toglierlo di mezzo dopo averlo demonizzato. A sinistra, dove spesso e volentieri si confonde l'intervento statale tipico delle economie in via di sviluppo col socialismo nudo e crudo, commemorano il martirio di un “socialista.” No, cari compagni, Mattei non era dei vostri. Fu un sostenitore del regime fascista, poi partigiano cattolico e, pare, figura di spicco di Gladio; inoltre esordì come libero imprenditore e conserverà per tutta la vita la visione dell'uomo d'impresa, anche quando si ritroverà a capo di un gigantesco ente statale. Mentalità che lo porterà a sopravvalutare il peso dell'economico sul politico e a compiere scelte avventate che gli saranno fatali. Una di queste sarà l'idea di uscire dalla NATO. Probabilmente Mattei aveva fiutato l'inganno dell'anticomunismo da parata e, da pragmatico qual era, aveva fiutato le enormi potenzialità insite nei paesi non allineati e i grossi vantaggi derivanti da una cauta apertura all'URSS. In poche parole fu ucciso perché voleva violare i sacri dogmi di Jalta; fu ucciso perché non voleva essere ricco in un paese povero; fu ucciso perché desiderava fare grande l'Italia cercando di coinvolgere l'intero arco costituzionale: peccato mortale in una terra dilaniata da lotte fratricide e guerre per bande.