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Accadeva centoventotto anni fa.
5 gennaio 1896. Un giornale austriaco riporta la notizia della scoperta di un tipo di radiazione, in seguito nota come raggi X, compiuta dal fisico tedesco Wilhelm Conrad Röntgen (1845–1923). Il 10 novembre 1895, mentre eseguiva alcuni esperimenti sui raggi catodici con un tubo di Crookes, Röntgen notò che uno schermo fluorescente posto per caso nei pressi del tavolo diventava intensamente luminoso quando la corrente elettrica attraversava il tubo. Röntgen coprì il tubo con un pezzo di carta nera, ma la fluorescenza sullo schermo non scomparve, mentre un foglio sottile di metallo la eliminava completamente. Esisteva, quindi, una nuova radiazione, che chiamò raggi X, emessa dal tubo che poteva facilmente attraversare materiali opachi alla radiazione visibile. L'emissione dei raggi X è oggi interpretata come il risultato dell'urto degli elettroni veloci, che costituiscono i raggi catodici, sul bersaglio posto sulla loro traiettoria, al quale essi cedono la loro energia cinetica sotto forma di onde elettromagnetiche di piccola lunghezza d'onda. Poiché i raggi X non venivano deflessi in un campo elettrico e magnetico, non poteva trattarsi di particelle cariche, per cui Röntgen aveva supposto sin dall’inizio che essi fossero vibrazioni simili alla luce ordinaria; ma se questa supposizione fosse stata esatta, i raggi X avrebbero dovuto subire il fenomeno della diffrazione, che Röntgen non aveva osservato, dato che i metodi ottici dell'epoca non lo permettevano. Dodici anni dopo la sua scoperta, Röntgen fu invitato dal giovane fisico teorico Max von Laue (1879–1960; Premio Nobel) ad esaminare alcuni fotogrammi. A prima vista s'accorse che si trattava proprio di ciò che egli aveva cercato invano per anni, cioè delle bellissime figure di diffrazione prodotte da raggi X passando attraverso un cristallo, il quale, presentando una struttura cristallina nella quale i raggruppamenti atomici sono regolarmente disposti a distanza dell’ordine di 10-10 m, fu utilizzato come reticolo di diffrazione. Si stabilì così che i raggi X hanno una natura ondulatoria. All'inizio del 1896, il fisico francese Henri Becquerel (1852–1908), venuto a conoscenza degli studi di Röntgen sui raggi X decise di indagare se qualcosa di simile venisse emesso dalle sostanze fluorescenti che, sotto l'azione della luce, si coprono di una soffusa luminosità. Egli scelse per queste ricerche l'uranile (solfato doppio di uranio e potassio), un minerale caratterizzato da un notevole potere fluorescente. Poiché era convinto che l'illuminazione fosse il fattore responsabile della radiazione emessa da tale cristallo, lo appoggiò su una lastra fotografica, avvolse il tutto in carta nera e lo espose alla luce solare. Dopo qualche ora di esposizione, Becquerel sviluppò la lastra fotografica e questa presentava una macchia scura in sulla quale era stato appoggiato il cristallo di uranile. Ripetuto l'esperimento parecchie volte, la macchia scura ricompariva nella stessa posizione, qualunque fosse lo spessore di carta usato per ricoprire la lastra fotografica. Per puro caso, durante i soliti esperimenti, Becquerel si accorse che l'annerimento della lastra non aveva nulla a fare con l'esposizione del cristallo ai raggi solari. Si trattava, dunque, di una radiazione penetrante simile ai raggi X, ma emessa spontaneamente, senza che fosse necessaria alcuna eccitazione, presumibilmente dagli atomi dell'uranio contenuti nel cristallo di uranile. Becquerel provò a riscaldare il cristallo, a raffreddarlo, a polverizzarlo, a scioglierlo in acidi, insomma a sottoporlo a tutti i trattamenti possibili, ma l'intensità della misteriosa radiazione restava costante. Questa nuova proprietà della materia, battezzata col nome di radioattività, non aveva nulla a che vedere col trattamento chimico o fisico cui era sottoposta, ma era una proprietà intrinseca dell'atomo. Negli anni immediatamente successivi alla scoperta della radioattività, un gran numero di fisici e chimici rivolsero la loro attenzione al nuovo fenomeno.

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