Accadeva cinquecentoventotto anni fa.
3 gennaio 1496. Leonardo Da Vinci sperimenta senza successo una macchina volante. Leonardo vedeva analogie tra luce e suono, tra i rami degli alberi, i fiumi e le arterie, tra il volo e il nuoto, tra animali e macchine. Inoltre studiò a fondo l’anatomia degli uccelli per cercare di carpirne i segreti e ricavare quante più informazioni possibili che lo aiutassero a costruire delle ali. Per tutta la vita egli amò i pennuti, strumenti operanti «per legge matematica». Particolarmente caro gli era il nibbio, al quale si riferiva nel Codice Atlantico con queste parole: Questo scriver sì distintamente del nibbio par che sia mio destino, perché nella prima ricordazione della mia infanzia e’ mi parea che essendo io in culla, che un nibbio venisse a me e mi aprisse la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotesse con tal coda dentro alle labbra. Vasari, nel suo “Le vite dei più eccellenti scultori, pittori e architetti”, notò che Leonardo “spesso passando dai luoghi dove si vendevano, di sua mano cavandoli di gabbia e pagatogli a chi li vendeva il prezzo che si era richiesto, li lanciava in aria a volo, restituendogli la perduta libertà.” Lo scopo di tale interesse era la risposta a un interrogativo che lo arrovellava da tempo: può l’uomo volare? Era fattibile un’invenzione che permettesse a una persona di librarsi in aria? Il maestro eseguì i suoi esperimenti a Milano, dove in quel periodo lavorava per il duca di Milano Ludovico il Moro, sul tetto della Corte Vecchia. Realizzò disegni di grandi ali mosse da leve e macchinari che si avvitano su se stessi, e forse ne fece anche modelli in scala o a grandezza naturale. In uno dei suoi codici, Leonardo ribadisce la superiorità del disegno nei confronti della parola: O scrittore, con quali lettere scriverai tu con tal perfezione la intera figurazione qual fa qui il disegno? Nel disegno tecnico, ovvero nella rappresentazione grafica di un’idea tecnica, sembrano esserci caratteristiche di universalità che valicano i contesti culturali, i campi di applicazione e le epoche storiche. A tal proposito è interessante confrontare i taccuini di Edison con quelli di Leonardo da Vinci. Se li si analizza e li si raffronta sembra inconcepibile come “prodotti” appartenenti a due culture così distanti, il Rinascimento italiano e la seconda rivoluzione industriale statunitense, abbiano tanti punti in comune e si somiglino così tanto. Nonostante tra i due documenti vi siano quasi quattro secoli di distanza, per stile, tecnica, distribuzione e organizzazione sembrano concepiti nello stesso clima culturale. Al 1505 risale il Codice sul volo degli uccelli, conservato oggi presso la Biblioteca Reale di Torino, una raccolta di 18 fogli formato da 17 fogli di 21 x 15 cm, di disegni e scritti, perlopiù appunti alla rinfusa e confusi, a proposito del volo degli animali e di macchine per il volo umano. Leonardo concluse che l’aria è più densa sotto l’ala dell’uccello e meno sopra, più spessa davanti, meno dietro. La proprietà resistente dell’aria portò alla progettazione del paracadute, col quale “un uomo potrà gittarsi d’ogni altezza senza danno di sé”. Nel 1505 Leonardo, a Firenze, progettò una macchina volante alla quale prevede di applicare i risultati delle sue indagini: rispetto al volo ad ali battenti mosse dall'uomo con la forza dei muscoli, prese forma l'idea del volo planare realizzato con una specie di aliante. Nell’ultima pagina del Codice compare una fantasticheria in cui Leonardo immagina di tentare il primo volo umano dal Monte Ceceri, vicino a Fiesole: «Piglierà il primo volo il grande uccello, sopra del dosso del suo magnio cecero, empiendo l’universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al loco dove nacque». Si racconta che a provarci per conto di Leonardo fu Zoroastro (al secolo Tommaso Masini, un collaboratore), che avrebbe planato per mille metri prima di schiantarsi in località Camerata, rompendosi una gamba. In quel di Peretola, oggi esiste una targa che commemora l’episodio, che però non risulta mai realmente accaduto. Ma Leonardo non riuscì mai a superare un problema cruciale: nemmeno il più forzuto degli uomini potrebbe sollevarsi in volo sfruttando solamente la forza dei suoi muscoli. Per questo motivo continua a lavorarci cercando nuove strade. Le domande che in generale si pone Leonardo dimostrano la sua amplissima curiosità: perché tanto l’aria quanto l’acqua ruotano creando vortici? Da dove arriva l’acqua che sgorga dai monti? Perché la Luna risplende? Perché il cielo è azzurro? E da dove arrivano i colori dell’arcobaleno? La grande forza del fiorentino fu quella di non incaponirsi in un’idea, come fanno certi presunti dotti o certi «trombetti», come li chiama lui, che ripetono a pappagallo le idee degli altri senza mai verificarle. Leonardo, che riconosce di essere un «omo sanza lettere», si definisce «discepolo dell’esperienza»: per lui ogni discorso che non passa dall’esperienza della realtà è inutile, perché non nasce da una conoscenza diretta delle cose. «Fuggi i precetti di quei teorici che non confermano le loro ragioni con l’esperienza» soleva raccomandare. In questo fu un precursore del metodo scientifico che verrà messo a punto un secolo dopo da Cartesio e Galileo. Uno dei suoi quaderni, per esempio, si apre con un’analogia tra il piccolo mondo dell’uomo e quello grande della terra: «Il corpo della terra, a similitudine del corpo degli animali, è intessuto di ramificazioni di vene, le quali sono tutte insieme congiunte, e rappresentano il nutrimento che mantiene viva la terra e le sue creature». Ma quando i suoi studi gli dimostrano che questa analogia è forzata e non corrisponde al vero, l’abbandona e tenta una via diversa che lo aiuti a comprendere meglio.
3 gennaio 1496. Leonardo Da Vinci sperimenta senza successo una macchina volante. Leonardo vedeva analogie tra luce e suono, tra i rami degli alberi, i fiumi e le arterie, tra il volo e il nuoto, tra animali e macchine. Inoltre studiò a fondo l’anatomia degli uccelli per cercare di carpirne i segreti e ricavare quante più informazioni possibili che lo aiutassero a costruire delle ali. Per tutta la vita egli amò i pennuti, strumenti operanti «per legge matematica». Particolarmente caro gli era il nibbio, al quale si riferiva nel Codice Atlantico con queste parole: Questo scriver sì distintamente del nibbio par che sia mio destino, perché nella prima ricordazione della mia infanzia e’ mi parea che essendo io in culla, che un nibbio venisse a me e mi aprisse la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotesse con tal coda dentro alle labbra. Vasari, nel suo “Le vite dei più eccellenti scultori, pittori e architetti”, notò che Leonardo “spesso passando dai luoghi dove si vendevano, di sua mano cavandoli di gabbia e pagatogli a chi li vendeva il prezzo che si era richiesto, li lanciava in aria a volo, restituendogli la perduta libertà.” Lo scopo di tale interesse era la risposta a un interrogativo che lo arrovellava da tempo: può l’uomo volare? Era fattibile un’invenzione che permettesse a una persona di librarsi in aria? Il maestro eseguì i suoi esperimenti a Milano, dove in quel periodo lavorava per il duca di Milano Ludovico il Moro, sul tetto della Corte Vecchia. Realizzò disegni di grandi ali mosse da leve e macchinari che si avvitano su se stessi, e forse ne fece anche modelli in scala o a grandezza naturale. In uno dei suoi codici, Leonardo ribadisce la superiorità del disegno nei confronti della parola: O scrittore, con quali lettere scriverai tu con tal perfezione la intera figurazione qual fa qui il disegno? Nel disegno tecnico, ovvero nella rappresentazione grafica di un’idea tecnica, sembrano esserci caratteristiche di universalità che valicano i contesti culturali, i campi di applicazione e le epoche storiche. A tal proposito è interessante confrontare i taccuini di Edison con quelli di Leonardo da Vinci. Se li si analizza e li si raffronta sembra inconcepibile come “prodotti” appartenenti a due culture così distanti, il Rinascimento italiano e la seconda rivoluzione industriale statunitense, abbiano tanti punti in comune e si somiglino così tanto. Nonostante tra i due documenti vi siano quasi quattro secoli di distanza, per stile, tecnica, distribuzione e organizzazione sembrano concepiti nello stesso clima culturale. Al 1505 risale il Codice sul volo degli uccelli, conservato oggi presso la Biblioteca Reale di Torino, una raccolta di 18 fogli formato da 17 fogli di 21 x 15 cm, di disegni e scritti, perlopiù appunti alla rinfusa e confusi, a proposito del volo degli animali e di macchine per il volo umano. Leonardo concluse che l’aria è più densa sotto l’ala dell’uccello e meno sopra, più spessa davanti, meno dietro. La proprietà resistente dell’aria portò alla progettazione del paracadute, col quale “un uomo potrà gittarsi d’ogni altezza senza danno di sé”. Nel 1505 Leonardo, a Firenze, progettò una macchina volante alla quale prevede di applicare i risultati delle sue indagini: rispetto al volo ad ali battenti mosse dall'uomo con la forza dei muscoli, prese forma l'idea del volo planare realizzato con una specie di aliante. Nell’ultima pagina del Codice compare una fantasticheria in cui Leonardo immagina di tentare il primo volo umano dal Monte Ceceri, vicino a Fiesole: «Piglierà il primo volo il grande uccello, sopra del dosso del suo magnio cecero, empiendo l’universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al loco dove nacque». Si racconta che a provarci per conto di Leonardo fu Zoroastro (al secolo Tommaso Masini, un collaboratore), che avrebbe planato per mille metri prima di schiantarsi in località Camerata, rompendosi una gamba. In quel di Peretola, oggi esiste una targa che commemora l’episodio, che però non risulta mai realmente accaduto. Ma Leonardo non riuscì mai a superare un problema cruciale: nemmeno il più forzuto degli uomini potrebbe sollevarsi in volo sfruttando solamente la forza dei suoi muscoli. Per questo motivo continua a lavorarci cercando nuove strade. Le domande che in generale si pone Leonardo dimostrano la sua amplissima curiosità: perché tanto l’aria quanto l’acqua ruotano creando vortici? Da dove arriva l’acqua che sgorga dai monti? Perché la Luna risplende? Perché il cielo è azzurro? E da dove arrivano i colori dell’arcobaleno? La grande forza del fiorentino fu quella di non incaponirsi in un’idea, come fanno certi presunti dotti o certi «trombetti», come li chiama lui, che ripetono a pappagallo le idee degli altri senza mai verificarle. Leonardo, che riconosce di essere un «omo sanza lettere», si definisce «discepolo dell’esperienza»: per lui ogni discorso che non passa dall’esperienza della realtà è inutile, perché non nasce da una conoscenza diretta delle cose. «Fuggi i precetti di quei teorici che non confermano le loro ragioni con l’esperienza» soleva raccomandare. In questo fu un precursore del metodo scientifico che verrà messo a punto un secolo dopo da Cartesio e Galileo. Uno dei suoi quaderni, per esempio, si apre con un’analogia tra il piccolo mondo dell’uomo e quello grande della terra: «Il corpo della terra, a similitudine del corpo degli animali, è intessuto di ramificazioni di vene, le quali sono tutte insieme congiunte, e rappresentano il nutrimento che mantiene viva la terra e le sue creature». Ma quando i suoi studi gli dimostrano che questa analogia è forzata e non corrisponde al vero, l’abbandona e tenta una via diversa che lo aiuti a comprendere meglio.