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Accadeva centoventitré anni fa.
14 dicembre 1900. Venticinque anni prima del viaggio di Heisenberg a Helgoland, il fisico tedesco Max Planck pubblica i suoi studi sulla teoria quantistica. Quel giorno Planck, professore di fisica tedesco, prese per mano suo figlio, e lo portò a scuola. Mentre procedevano lungo la strada gli disse: "Oggi il papà ha fatto una scoperta grande come quella di Newton". Poteva essere solo una boutade, ma non lo fu. Aveva scoperto che l'energia non è una quantità continua: è confezionata in pacchetti, o quanti, determinati da un numero che oggi è chiamato "costante di Planck", una formula che riproduceva bene il modo, misurato in laboratorio, in cui l’energia del calore si distribuisce fra le onde di diverse frequenze. Come se l’energia si concentrasse in pacchetti; la dimensione di questi pacchetti, per fare funzionare il conto di Planck, deve essere diversa per onde di diversa frequenza: deve essere proporzionale alla frequenza dell’onda. Planck era riuscito a derivare questa formula dalle leggi generali, al prezzo però di aggiungere un’ipotesi bizzarra: che l’energia di ciascuna onda potesse essere solo un multiplo intero di una energia elementare. Planck introdusse il concetto di quanto di energia soltanto come una finzione, per riuscire a risolvere tecnicamente un problema legato alla cosiddetta "radiazione del corpo nero", ma non credeva che le cose stessero veramente così. Per qualche anno il quanto di energia rimase come sospeso nell'aria, fino a quando nel 1905 un altro scienziato e professore tedesco, Albert Einstein, propose l'idea che la luce fosse fatta di piccole particelle, oggi chiamate "fotoni". All'epoca Einstein le chiamò "quanti di luce", e li immaginò come proiettili di una scarica di mitragliatrice, che sarebbe appunto la luce. Cosa c'era di strano in questa teoria? Già Newton aveva proposto una teoria analoga, detta "corpuscolare", secondo cui la luce era composta da particelle o corpuscoli, appunto. Ma all'inizio dell'Ottocento Thomas Young aveva compiuto un esperimento, detto "della doppia fenditura", facendo passare la luce attraverso due buchi. E si era accorto che, dopo essere passata dai due buchi, la luce formava figure tipiche dell'interferenza: esattamente le stesse figure prodotte dalle onde del mare, quando si ricompongono dopo essere passate attraverso due aperture in un molo. Questo esperimento aveva dimostrato che la luce era composta da onde, e la teoria corpuscolare di Newton era stata quindi archiviata come un errore del grande fisico inglese. Einstein, dopo più di un secolo dal momento in cui si era "dimostrato" che la luce era costituita da onde, decise però che questo non era vero, e che essa era invece fatta di particelle. E lo decise perché per spiegare un certo fenomeno, chiamato "effetto fotoelettrico", era dovuto ricorrere al concetto di quanto di energia. All'epoca nessuno gli credette: nemmeno Planck, il padre del concetto di quanto. Per molti anni Einstein rimase il solo a credere all'esistenza dei fotoni, ma poi piano piano incominciò ad avere dei sostenitori. Ed è interessante notare che, in seguito, la situazione si ribaltò: col passare degli anni fu Einstein a non credere più alla correttezza della teoria che li descriveva, e quindi da suo primo fautore ne divenne un avversario. La teoria prese comunque piede, fino a diventare una delle due grandi conquiste della fisica del Novecento, a fianco della teoria della relatività di Einstein. La meccanica quantistica, tenuta a battesimo da Planck e da Einstein, fu portata a compimento da varie persone, oggi considerate i fondatori della fisica moderna. Anzitutto, Niels Bohr, che creò il modello dell'atomo a "sistema solare", con un nucleo al centro e gli elettroni che gli girano attorno come se fossero pianeti. E poi, la triade composta da Erwin Schrödinger, Werner Heisenberg e Paul Dirac, che elaborò la formulazione matematica della teoria dei quanti. Paradossalmente, esperimenti diversi sembravano confermare due diverse teorie della luce: quella ondulatoria e quella corpuscolare. A lungo si pensò che c'era qualcosa che non andava, e che si sarebbe arrivati a dover scegliere fra l'una e l'altra. Ma fu ancora Einstein ad affermare che la luce era, allo stesso tempo, fatta di onde e di corpuscoli, così come le onde del mare sono onde, ma naturalmente sono fatte anche di gocce d'acqua. Questa idea, che oggi viene chiamata "complementarità", sostiene che la natura è "duale", allo stesso tempo sia corpuscolo che onda. È un'idea che va contro la metafisica quotidiana, alla quale siamo abituati, e costituisce il contributo filosofico più duraturo della teoria dei quanti. Esattamente come l'idea dello spazio-tempo, che sostiene che lo spazio e il tempo non sono entità separate, costituisce il contributo filosofico più duraturo della relatività. Ciò dimostra che la scienza ha anche ricadute filosofiche, e che, modificando le idee ingenue che abbiamo del mondo esterno, la realtà sia molto più complicata di come la immaginiamo.

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