Accadeva centosessantadue anni fa.
16 novembre 1861. Il comitato borbonico di stanza a Marsiglia ingaggia l'ufficiale catalano José Borjes. Proveniente da una famiglia di solide radici militari e monarchiche, figlio di un ufficiale che aveva combattuto contro Napoleone e poi era stato fucilato nella prima guerra carlista del 1833, Borjes aveva partecipato nel 1840 alla lotte spagnole dalla parte dei carlisti. Nel 1861 era un esule inquieto che viveva a Parigi e scalpitava per tornare a sostenere attivamente la causa legittimista. Nella sua personalità rilucevano la spavalderia dell’hidalgo, il coraggio e la sicurezza dell’uomo d’azione tutto d’un pezzo. Da alcune lettere si deduce che Borjes era a Messina già nel febbraio del 1861, probabilmente arruolato dal principe di Scilla. L'operazione borbonica fu preceduta da una lunga serie di evasioni, compresa quella dell'ex militare borbonico e garibaldino Carmine Crocco, avvenuta nella notte fra il 3 e il 4 febbraio. Esperto di guerriglia, Borjes era, almeno in teoria, l’uomo giusto per guidare i briganti lealisti. Partito da Malta l'11 settembre, sbarcò due giorni dopo alla marina di Gerace in Calabria, vicino capo Spartivento. Lo accompagnavano un drappello di uomini, tra i quali Caracciolo di Girifalco, e il calabrese Alfonso Marra, entrambi animatori delle iniziative borboniche dell’autunno del 1860, patrocinate dal principe di Bisignano e dall’ex ministro Ajossa, già coinvolti nei due tentativi dell’anno precedente sempre nel Reggino. Gli ordini impartiti dal comandante Clary e da altri ufficiali basati a Roma manifestano il caos in cui versa il quartier generale borbonico, la sua preoccupante assenza di realismo. Sin dall’inizio la spedizione soffrì le incompatibilità caratteriali e le rivalità tra Chiavone e Tristany come tra Crocco e Borjes. Indisciplinati e dediti ai saccheggi e alle faide i primi, disciplinati e chiusi nei loro ideali schematici i secondi, che non conoscevano il Mezzogiorno e la realtà dei “cafoni”. Nell’autunno erano giunti anche altri ufficiali legittimisti, come Henri Arnous de Rivière, che si affiancarono al già conosciuto de Christen. Borjes infatti non fu l'unico a militare nella “legione straniera” di Francesco II. Diffidente verso i suoi stessi generali, convinto che stessero sempre sul punto di tradirlo, l'ex sovrano delle Due Sicilie, memore della lezione di Fra Diavolo, creò corpi di irregolari da impiegare in una vera e propria guerra per bande. Si affidò a uomini d'arme ultracattolici e legittimisti di mezza Europa, come i tedeschi Edwin Kalckenkreuth e Ludwig Richard Zimmermann: tutti militari di carriera che negli anni a venire cercheranno di dare un minimo di coordinamento a centinaia di briganti attivi sugli Appennini meridionali, tra i boschi della Daunia, sulle montagne calabresi. Gli insorgenti borbonici si illusero di poter acquisire uno status di combattenti regolari. Avevano usato divise e gradi, diffuso manifesti e proclami, rivendicato proprie regole e una linea di condotta, mobilitato alcune migliaia di civili e militari con un primo apprendistato armato. Eppure la loro controrivoluzione fu poco rilevante sul piano generale. Pur contando su un esercito convenzionale di supporto, non riuscirono mai a raggiungere un accettabile livello di espansione strategica. Ottennero qualche successo, ma non poterono mai imporre controllo politico e governi locali alternativi a quelli unitari, se non per brevissimi periodi e in aree limitate. L’insurrezione non poté riesumare la Santa Fede né mettere veramente in discussione l’ampio arcipelago nazionalista filo-italiano, ora dotato di un esercito professionale basato sulla coercizione e su notevoli forze volontarie paramilitari civili. L'effimera e sfortunata avventura controrivoluzionaria terminò l'8 dicembre 1861, quando Borjes si arrese al maggiore Enrico Franchini, il quale era riuscito a sorprenderlo nel suo rifugio a pochi chilometri dalla frontiera pontificia. Il colonnello spagnolo Lafont porse all’ufficiale italiano la spada di Borjes, ma Franchini la buttò via. Lafont allora gli si lanciò contro, ma fu intercettato da una guardia nazionale che lo uccise con la baionetta. Borjes finì fucilato alle spalle come un furfante qualunque; un’azione che venne biasimata in Italia e all’estero come «impresa vigliacca e militarmente ridicola», ma per la quale Franchini ricevette la medaglia d’oro al valor militare. Il Diario della spedizione, redatto dallo stesso Borjes, fu allegato al saggio Histoire du brigandage dans l’Italie méridionale di Marc Monnier, pubblicato nel 1862.
16 novembre 1861. Il comitato borbonico di stanza a Marsiglia ingaggia l'ufficiale catalano José Borjes. Proveniente da una famiglia di solide radici militari e monarchiche, figlio di un ufficiale che aveva combattuto contro Napoleone e poi era stato fucilato nella prima guerra carlista del 1833, Borjes aveva partecipato nel 1840 alla lotte spagnole dalla parte dei carlisti. Nel 1861 era un esule inquieto che viveva a Parigi e scalpitava per tornare a sostenere attivamente la causa legittimista. Nella sua personalità rilucevano la spavalderia dell’hidalgo, il coraggio e la sicurezza dell’uomo d’azione tutto d’un pezzo. Da alcune lettere si deduce che Borjes era a Messina già nel febbraio del 1861, probabilmente arruolato dal principe di Scilla. L'operazione borbonica fu preceduta da una lunga serie di evasioni, compresa quella dell'ex militare borbonico e garibaldino Carmine Crocco, avvenuta nella notte fra il 3 e il 4 febbraio. Esperto di guerriglia, Borjes era, almeno in teoria, l’uomo giusto per guidare i briganti lealisti. Partito da Malta l'11 settembre, sbarcò due giorni dopo alla marina di Gerace in Calabria, vicino capo Spartivento. Lo accompagnavano un drappello di uomini, tra i quali Caracciolo di Girifalco, e il calabrese Alfonso Marra, entrambi animatori delle iniziative borboniche dell’autunno del 1860, patrocinate dal principe di Bisignano e dall’ex ministro Ajossa, già coinvolti nei due tentativi dell’anno precedente sempre nel Reggino. Gli ordini impartiti dal comandante Clary e da altri ufficiali basati a Roma manifestano il caos in cui versa il quartier generale borbonico, la sua preoccupante assenza di realismo. Sin dall’inizio la spedizione soffrì le incompatibilità caratteriali e le rivalità tra Chiavone e Tristany come tra Crocco e Borjes. Indisciplinati e dediti ai saccheggi e alle faide i primi, disciplinati e chiusi nei loro ideali schematici i secondi, che non conoscevano il Mezzogiorno e la realtà dei “cafoni”. Nell’autunno erano giunti anche altri ufficiali legittimisti, come Henri Arnous de Rivière, che si affiancarono al già conosciuto de Christen. Borjes infatti non fu l'unico a militare nella “legione straniera” di Francesco II. Diffidente verso i suoi stessi generali, convinto che stessero sempre sul punto di tradirlo, l'ex sovrano delle Due Sicilie, memore della lezione di Fra Diavolo, creò corpi di irregolari da impiegare in una vera e propria guerra per bande. Si affidò a uomini d'arme ultracattolici e legittimisti di mezza Europa, come i tedeschi Edwin Kalckenkreuth e Ludwig Richard Zimmermann: tutti militari di carriera che negli anni a venire cercheranno di dare un minimo di coordinamento a centinaia di briganti attivi sugli Appennini meridionali, tra i boschi della Daunia, sulle montagne calabresi. Gli insorgenti borbonici si illusero di poter acquisire uno status di combattenti regolari. Avevano usato divise e gradi, diffuso manifesti e proclami, rivendicato proprie regole e una linea di condotta, mobilitato alcune migliaia di civili e militari con un primo apprendistato armato. Eppure la loro controrivoluzione fu poco rilevante sul piano generale. Pur contando su un esercito convenzionale di supporto, non riuscirono mai a raggiungere un accettabile livello di espansione strategica. Ottennero qualche successo, ma non poterono mai imporre controllo politico e governi locali alternativi a quelli unitari, se non per brevissimi periodi e in aree limitate. L’insurrezione non poté riesumare la Santa Fede né mettere veramente in discussione l’ampio arcipelago nazionalista filo-italiano, ora dotato di un esercito professionale basato sulla coercizione e su notevoli forze volontarie paramilitari civili. L'effimera e sfortunata avventura controrivoluzionaria terminò l'8 dicembre 1861, quando Borjes si arrese al maggiore Enrico Franchini, il quale era riuscito a sorprenderlo nel suo rifugio a pochi chilometri dalla frontiera pontificia. Il colonnello spagnolo Lafont porse all’ufficiale italiano la spada di Borjes, ma Franchini la buttò via. Lafont allora gli si lanciò contro, ma fu intercettato da una guardia nazionale che lo uccise con la baionetta. Borjes finì fucilato alle spalle come un furfante qualunque; un’azione che venne biasimata in Italia e all’estero come «impresa vigliacca e militarmente ridicola», ma per la quale Franchini ricevette la medaglia d’oro al valor militare. Il Diario della spedizione, redatto dallo stesso Borjes, fu allegato al saggio Histoire du brigandage dans l’Italie méridionale di Marc Monnier, pubblicato nel 1862.