Accadeva ottantanove anni fa.
16 ottobre 1934. In Cina inizia la Lunga Marcia (Chang Zheng). Accerchiati dall’esercito nazionalista del Kuomintang nella regione del Jiangxi, l’Armata Rossa cinese fa dietrofront al fine di sottrarsi all’ennesima «campagna d’annientamento» promossa da Chiang Kai-shek. Sarà la ritirata piú grande della storia. Già da alcuni anni i vertici del PCC avevano stabilito di abbandonare – ove necessario e utile – il territorio alle truppe nemiche in modo da costringerle a penetrare a fondo, dove la conoscenza dell’ambiente e il sostegno delle masse rurali potevano rivelarsi determinanti nella vittoria contro forze regolari largamente superiori. L’episodio aprì una nuova fase nella storia della rivoluzione comunista in Cina e allo stesso tempo pose le premesse per l’ascesa al potere di Mao Zedong. Nell’agosto del 1935 l’Armata Rossa cinese si diresse verso il grande Mare d’Erba, al confine tra Sichuan e Tibet. Quest’ultima fase della lunga marcia fu costellata da pericoli e avventure salgariane: i miliziani si trovarono costretti a inoltrarsi in aree selvagge abitate da indigeni come i mantzu e i nomadi hsifan, una minoranza guerriera del Tibet orientale. Nelle gole rocciose, i mantzu facevano rotolare giù degli enormi massi per schiacciare le colonne di miliziani. La regina dei mantzu era animata da un odio atavico e viscerale nei confronti dei cinesi, senza distinguere tra rossi e bianchi; aveva minacciato di far bollire vivo chiunque avesse favorito gli invasori. Le traversie proseguirono nel “mare d’erba”, sovente paludoso a causa delle piogge. Il 20 ottobre del 1935, un anno dopo la partenza dal Jiangxi, l’Armata Rossa cinese entrò nello Shaanxi settentrionale, proprio sotto la Grande Muraglia. I numeri della Lunga Marcia riportati dal giornalista americano Edgar Snow nel suo libro “Stella rossa sulla Cina” sono sbalorditivi. I rossi affrontarono in media uno scontro armato al giorno e, nel complesso, sostennero quindici intere giornate di battaglie impegnative. Su un totale di 368 giorni, 235 furono di marce diurne e 18 di marce notturne. Su cento giorni di sosta molti li trascorsero in scaramucce. Il percorso medio quotidiano fu di circa 35 km: si tratta di un ritmo medio eccezionale per un grosso esercito con trasporti pesanti che si avventuri su uno dei terreni più accidentati del mondo. In totale furono valicate 18 catene montane, cinque delle quali ammantate da nevi eterne, e oltrepassati 24 fiumi. Furono attraversate 12 province, occupate 62 città e rotti gli accerchiamenti di dieci eserciti dei signori della guerra delle varie province, eludendo e ingannando le truppe che il governo nazionalista di Nanchino aveva mandato contro di loro. Si introdussero in sei distretti abitati da tribù aborigene, in zone dove da decenni (forse secoli) non si avventurava nessun esercito cinese. A trent’anni esatti dall’incredibile epopea, il 16 ottobre 1964 la Repubblica Popolare Cinese poté testare la sua prima bomba atomica.
16 ottobre 1934. In Cina inizia la Lunga Marcia (Chang Zheng). Accerchiati dall’esercito nazionalista del Kuomintang nella regione del Jiangxi, l’Armata Rossa cinese fa dietrofront al fine di sottrarsi all’ennesima «campagna d’annientamento» promossa da Chiang Kai-shek. Sarà la ritirata piú grande della storia. Già da alcuni anni i vertici del PCC avevano stabilito di abbandonare – ove necessario e utile – il territorio alle truppe nemiche in modo da costringerle a penetrare a fondo, dove la conoscenza dell’ambiente e il sostegno delle masse rurali potevano rivelarsi determinanti nella vittoria contro forze regolari largamente superiori. L’episodio aprì una nuova fase nella storia della rivoluzione comunista in Cina e allo stesso tempo pose le premesse per l’ascesa al potere di Mao Zedong. Nell’agosto del 1935 l’Armata Rossa cinese si diresse verso il grande Mare d’Erba, al confine tra Sichuan e Tibet. Quest’ultima fase della lunga marcia fu costellata da pericoli e avventure salgariane: i miliziani si trovarono costretti a inoltrarsi in aree selvagge abitate da indigeni come i mantzu e i nomadi hsifan, una minoranza guerriera del Tibet orientale. Nelle gole rocciose, i mantzu facevano rotolare giù degli enormi massi per schiacciare le colonne di miliziani. La regina dei mantzu era animata da un odio atavico e viscerale nei confronti dei cinesi, senza distinguere tra rossi e bianchi; aveva minacciato di far bollire vivo chiunque avesse favorito gli invasori. Le traversie proseguirono nel “mare d’erba”, sovente paludoso a causa delle piogge. Il 20 ottobre del 1935, un anno dopo la partenza dal Jiangxi, l’Armata Rossa cinese entrò nello Shaanxi settentrionale, proprio sotto la Grande Muraglia. I numeri della Lunga Marcia riportati dal giornalista americano Edgar Snow nel suo libro “Stella rossa sulla Cina” sono sbalorditivi. I rossi affrontarono in media uno scontro armato al giorno e, nel complesso, sostennero quindici intere giornate di battaglie impegnative. Su un totale di 368 giorni, 235 furono di marce diurne e 18 di marce notturne. Su cento giorni di sosta molti li trascorsero in scaramucce. Il percorso medio quotidiano fu di circa 35 km: si tratta di un ritmo medio eccezionale per un grosso esercito con trasporti pesanti che si avventuri su uno dei terreni più accidentati del mondo. In totale furono valicate 18 catene montane, cinque delle quali ammantate da nevi eterne, e oltrepassati 24 fiumi. Furono attraversate 12 province, occupate 62 città e rotti gli accerchiamenti di dieci eserciti dei signori della guerra delle varie province, eludendo e ingannando le truppe che il governo nazionalista di Nanchino aveva mandato contro di loro. Si introdussero in sei distretti abitati da tribù aborigene, in zone dove da decenni (forse secoli) non si avventurava nessun esercito cinese. A trent’anni esatti dall’incredibile epopea, il 16 ottobre 1964 la Repubblica Popolare Cinese poté testare la sua prima bomba atomica.