Succede di tutto in questa "Terza Guerra Mondiale a pezzi" e a puntate. Il bollito del Cremlino “prova a moderare l'Iran”, effettua scambi di prigionieri con i briganti Ukro-Nato mentre questi ultimi cercano di sfondare a Kursk. “Eh ma lo sfondamento è fallito”, esultano i filorussi. Certo, ma ha inequivocabilmente dimostrato che per i senza onore di Mosca le linee rosse possono essere violate. E ora, come se non bastasse, cercano di imporre la medesima strategia temporeggiatrice – e inconcludente – a Iran e Siria, da anni sottoposti a un vero e proprio stillicidio. Lavrov è volato a Teheran per mettere le cose in chiaro: evitare attacchi in grande stile in grado di infliggere gravi danni a strutture e personale militare americano e israeliano; limitatevi alle scaramucce dimostrative. Insomma, non bisogna fornire al nemico il pretesto per allargare il conflitto bensì attendere la sua inevitabile implosione, recita il piano della talpa moscovita che manda in sollucchero i putiniani occidentali, quasi tutti conservatori liberali o cattocomunisti più o meno spretati abbagliati dalla leggenda dello statista moderato. Io ritengo che il rischio di implosione riguardi innanzitutto l'Iran, il quale potrebbe finire psicologicamente schiacciato da provocazioni sempre più audaci e umilianti. E poi, secondo voi, Tel Aviv e l'Occidente combinato si lascerebbero strangolare senza sferrare un attacco preventivo? Suvvia, a chi volete darla a bere. Ma l'establishment russo non vuole sentire ragioni e raccomanda ai suoi “alleati” di continuare a fare il solletico agli anglo-talmudici con droni e razzetti. La guerra ormai è inevitabile, ma Putin e Co. traccheggiano e rinviano. Un suicidio vero e proprio, un deliberato atto di autosabotaggio. Forse un giorno capiremo la vera entità dei danni causati dai rabbini della cricca di San Pietroburgo.