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Il forum dei patrioti italiani

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Accadeva ottocentocinquantatré anni fa
29 dicembre 1170. Tommaso Becket, arcivescovo di Canterbury, viene assassinato nella Cattedrale dagli uomini del re Enrico II Plantageneto. Enrico II, un sovrano inglese mezzo francese e dai costumi continentali, sulle orme del nonno Enrico I gettò le basi del governo centrale, germe dello stato nazionale in opposizione al feudalesimo che Guglielmo il Conquistatore aveva ampliato dopo il 1066, della common law e dell'autogoverno di tipo anglo-sassone. Tommaso era di sangue normanno, nacque in una benestante – poi dissestata – famiglia mercantile londinese. Era un chierico di Teobaldo, arcivescovo di Canterbury, quando quest'ultimo lo segnalò a Enrico che lo nominò prima cancelliere e poi, con la scomparsa di Teobaldo, arcivescovo (1162), con lo scopo di soggiogare l'episcopato. Da fidato Cancelliere, Tommaso introdusse lo scutage, una tassa che soppiantava il servizio militare indebolendo l'ordine feudale, e si batté per l'acquisizione della Bretagna (attualmente francese, dove in virtù di diritti di successione ereditati era molto più potente del re francese dell'epoca). Da arcivescovo, invece, Tommaso cambiò drasticamente registro divenendo l'inflessibile campione della Chiesa contro la Corona nel risorgente scontro tra Papato e Impero. Enrico II non riuscì a emanciparsi da Roma, malgrado le Costituzioni di Clarendon (1164), a cui Becket oppose un netto rifiuto. Convocato davanti al Gran Concilio, negò l'autorità reale (“Devo offendere Iddio o il re”? Scelta scontata) e si pose sotto la protezione del papa. Da quel momento in poi, per sei anni si sottopose a esilio volontario in Francia. Le questioni poste dalla lotta per le investiture erano scottanti. Il sovrano era investito dall'autorità papale o da quella divina? A chi spettava nominare i vescovi? Il vescovo, che era “anche” un feudatario e un proprietario terriero provvisto di uomini in armi, poteva scomunicare gli altri feudatari, magari proprio quelli fedeli alla Corona. Insomma, il rischio che il vescovo fosse un pericoloso usurpatore o una quinta colonna pontificia era molto concreto. Ma in ballo c'era pure la questione dei tribunali civili e di quelli ecclesiastici: spesso i chierici erano solo interessati a farsi giudicare dall'autorità religiosa, cioè ambivano all'impunità. Solo nel 1170 a Fréteval, nella Turenna, un'apparente conciliazione. Da entrambe le parti abbondavano le rivendicazioni di principio: Enrico non menzionò i suoi diritti e costumi; all'arcivescovo non si chiese un giuramento, e gli si promise un Pacifico ritorno e il pieno possesso della propria sede. Re e Primate si incontrarono per l'ultima volta nell'estate del 1170. “Mio signore”, disse Tommaso, “il cuore mi dice che vi lascio come uno che mai più in questa vita rivedrete”. “Dunque mi credete un traditore” domandò il re. “Dio ne guardi, signor mio” ribatté l'arcivescovo; ma rientrò a Canterbury deciso a chiedere al Papa poteri illimitati di scomunica con cui disciplinare le forze ecclesiastiche. “Più potente e orgoglioso è il principe, più sono necessari un forte bastone e una salda catena per legarlo". Frattanto, in assenza di Becket, Enrico decise di assicurare la pacifica successione del figlio facendolo incoronare anzitempo. Di quest'atto Beckett si risentì aspramente come di una violazione dei diritti dopo l'accordo di Fréteval. L'accoglienza in patria riservata all'arcivescovo dopo gli anni di esilio fu impressionante: era un sentimento nazionale, nonché religioso, quello che conduceva le moltitudini all’altare di Becket, il primo inglese che, dopo la Conquista normanna, si era mostrato irriducibile ai tiranni stranieri. “Sono venuto a morire fra voi” affermò nel suo sermone; e ancora, presago: “In questa chiesa ci sono dei martiri è presto Dio ne aumenterà il numero”. Attraversò Londra in un trionfale corteo distribuendo elemosine alla folla supplice e delirante; quindi rinnovò la scomunica dei prelati che avevano preso parte all'incoronazione del giovane figlio di re Enrico. Il Plantageneto, raggiunto dalla notizia in Normandia, fu preso da violenta ira: “Che branco di sciocchi e codardi ho allevato in casa mia se nessuno mi vendicherà di questo turbolento prete” (un'altra versione attesta “di questo scrivano venuto su dal nulla”). Malauguratamente un pugno di cavalieri udì le aspre parole pronunciate dal re e, recatisi nella Cattedrale di Canterbury, il 29 dicembre 1170 soppressero l'arcivescovo. Tommaso li affrontò con croce e mitra, impavido e risoluto; dopo breve discussione, i quattro gli balzarono addosso e lo abbatterono a colpi di spade. L'assassinio scombussolò i piani e i delicati equilibri preparati da Enrico, che dovette faticare non poco per riappacificarsi con la Chiesa e a mostrarsi uno dei troni più acquiescenti nei riguardi della Santa Sede. Tommaso fu proclamato santo e martire a furor di popolo, e attorno a lui si sviluppò un culto a base di miracoli e reliquie. Il pellegrinaggio a Canterbury fu un aspetto importante del folklore inglese fino all'avvento della Chiesa Anglicana.

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