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Il forum dei patrioti italiani

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Accadeva settecentoventinove anni fa.
13 dicembre 1294. Papa Celestino V abdica, compiendo il “gran rifiuto” che Dante Alighieri eternò nella Divina Commedia (anche se Boccaccio dubiterà dell’identità del misterioso personaggio), ponendo il dimissionario addirittura nel vestibolo dell’Inferno, a espiare in eterno la colpa fra gli ignavi:

Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto,

vidi e conobbi l’ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto.
Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta de’ cattivi
a Dio spiacenti ed a’ nemici sui.


In seguito alla morte di Nicolò IV,
occorsa nell’aprile 1292, i cardinali del Sacro Collegio si erano raccolti nel palazzo dei Savelli a Roma, presso la basilica di Santa Sabina. Discordie, beghe politiche senza fine, persino le febbri malariche sopraggiunte con l’arrivo dell’estate congiurarono nel ritardare l'esito del conclave. Alle calamità naturali si aggiungevano quelle provocate dai vizi umani. I porporati subivano l’assedio del re di Napoli, Carlo II d’Angiò. Questo sovrano di origine francese governava sull’Italia meridionale, ma il suo dominio aveva perduto una parte importante, l’isola di Sicilia, sottratta dagli aragonesi dieci anni prima durante la rivolta dei Vespri, e ormai regno indipendente governato da Federico III. Carlo II tormentava i cardinali raccolti in conclave, che in teoria – ma non nella pratica – dovevano essere isolati da tutto: voleva che fossero sensibili alle sue richieste e che in futuro la Sicilia potesse tornare a lui. Chiedeva che eleggessero un papa disposto a compiere questo passo. Federico III, dal canto suo, insidiava il conclave per la ragione opposta: la Sicilia gli veniva per diritto di conquista, dopo una sommossa scoppiata a Palermo. Il 5 luglio 1294 il cardinale Latino Malabranca,
Decano del Sacro Collegio, riferì agli altri una visione prodigiosa che li riguardava tutti: lo Spirito Santo aveva visitato un pio eremita annunciando che il Giudizio Universale si sarebbe abbattuto sul mondo se non fosse stato presto eletto un nuovo pontefice. Benedetto Caetani, cardinale grande esperto di diritto canonico, era soprannominato il Signore della Curia per il modo approfondito in cui ne conosceva gli ingranaggi e la perizia nell’usarli a suo vantaggio. Prese la parola e chiese maliziosamente se per caso l’eremita abruzzese visitato dalla visione non fosse quel Pietro che la gente chiamava da Morrone. Il 5 luglio 1294, dopo ventisei mesi di sede vacante, i cardinali decisero di eleggere all’unanimità al soglio apostolico proprio quell’umile eremita del tutto digiuno di politica e diplomazia, convinti che fosse stato spinto o illuminato da un’ispirazione divina. In molti furono sinceramente convinti che la sua elezione avesse avverato la profezia fatta un secolo prima dal mistico Gioacchino da Fiore. Nella grotta dove conduceva una vita da asceta, Pietro da Morrone ricevette il “decreto elettivo”, la lettera ufficiale con cui la Curia Romana lo informava che doveva ritenersi papa. L'augurio era che il sant'uomo riuscisse a trasformare la Chiesa. Al contrario, lo schivo e anziano ottantacinquenne si lasciò ingenuamente manovrare dal re di Napoli: sette dei suoi dodici primi cardinali erano francesi e quattro di loro sudditi siciliani di Carlo II. Celestino era un profeta, fondatore di una fraternità di eremiti con forti legami con il francescanesimo più radicale. Egli, quindi, rappresentava proprio quella posizione della Chiesa del XIII secolo che più detestava la ricchezza, la mondanità e gli intrecci del papato con la politica. La sua elezione alimentò le speranze apocalittiche in un papa angelicus che avrebbe purificato la Chiesa e preparato l'umanità all'avvento di Cristo. L'idea di un papa estraneo alle mondanità, comunque, pareva a quel tempo quasi una contraddizione. Tre quarti di secolo prima, Innocenzo III aveva cercato di tenere uniti monarchia e carisma; ora però l'elezione di Celestino metteva in evidenza quanto incompatibili fossero divenute queste due visioni di Chiesa. Celestino intendeva abitare accanto alla tomba di Pietro; ma Carlo II d’Angiò era contrario. Lo sedusse, lo circuì con promesse, lo convinse che doveva trasferirsi a Napoli, e lì fissare la residenza della Santa Sede. Così Celestino V si insediò a Castelnuovo, la reggia fortificata sul mare. Il castello però era troppo lussuoso per lui; messo sul trono papale di prepotenza, almeno nello stretto privato voleva mantenere le abitudini di eremita. Si fece quindi costruire una piccola e sobria cella di legno, dove potesse sentirsi come in convento. Il gesto del papa, che si era rinchiuso in quella celletta di legno per non vedere nessuno e restare isolato dalla Curia, lo rendeva secondo lui simile a un fagiano, uccello che nasconde la testa fra le piume credendo in tal modo di sfuggire ai cacciatori; così facendo diventa una preda ancor più facile. Alle prese con grovigli politici e finanziari che la preghiera e il digiuno non riuscivano a districare, Celestino gettò la spugna, anzi la mitria dopo sei mesi. Il suo discorso di abdicazione fu scritto per lui dal cardinale Caetani, che poi fu eletto al suo posto col nome di Bonifacio VIII. Determinato a evitare qualsiasi pericolo di scisma derivante da quei gruppi spirituali di punta nella Chiesa che avevano riposto in Celestino le speranze di riscatto del papato, Bonifacio VIII snidò il suo predecessore, che era tornato alla sua antica vita eremitica, e lo tenne prigioniero in condizioni assai precarie fino alla sua morte, all'età di novant'anni.

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