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Il forum dei patrioti italiani

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Accadeva sessantacinque anni fa.
7 dicembre 1958. Viene inaugurato il primo tratto dell'Autostrada del Sole, da Milano a Parma. Nel settembre del 1956 Mediobanca, insieme a Lehmann Brothers, organizzò un viaggio di studio in America per Fedele Cova e altri dirigenti della Società Autostrade, al fine di copiare il sistema autostradale a pedaggio di quel paese e porre le premesse per un prestito obbligazionario. In poco più di dieci anni a partire dal 1944, per iniziativa di alcuni uomini politici (uno dei quali fu il senatore Albert Gore senior, padre del futuro vicepresidente “verde” Al Gore), gli Stati Uniti avevano costruito oltre 13.000 chilometri di autostrade. Le ferrovie erano soppiantate da linee di autobus economici a lunga percorrenza, i Greyhound (levrieri). L'operazione aveva cambiato profondamente il costume e prodotto grandi sconvolgimenti sociali, pensiamo alla cultura on the road (il romanzo di Jack Kerouac è del 1957), ma rimaneva in linea con la mobilità generalizzata come peculiarità nazionale americana, già rilevata da Alexis de Tocqueville nel XIX secolo. La delegazione italiana prese nota delle lunghe arterie stradali a quattro e a sei corsie interamente recintate, che passavano lontano dai centri abitati e prevedevano al loro interno tutti i servizi necessari alla circolazione (pompe di benzina, officine, punti di ristoro, telefoni, toilette, motel, ecc.) riuniti in aree di servizio distanziate di almeno quaranta chilometri. La progettazione dell’Autostrada del Sole seguì i principi e gli standard delle autostrade americane, con pochi adattamenti. Respinta la piattaforma a tre corsie, si optò invece per le due carreggiate sempre separate, divise da uno spartitraffico centrale e dotate di due corsie più una di emergenza per ogni senso di marcia. Sullo spartitraffico era costruito anche il pilone centrale dei cavalcavia di attraversamento, difeso alla base da un guardrail di cemento. Poiché, nonostante la protezione, molti automobilisti andarono a sbattere contro i piloni, dopo Bologna fu deciso di eliminare il montante centrale dei cavalcavia (oggi nuovamente inserito, ma più protetto, con l’allargamento a tre corsie). A Firenze, punto di incontro fra Roma e Milano, sarebbe stato collocato il computer centrale di fabbricazione americana Remington Rand. In assenza di statistiche sul traffico, fu costituito in fretta un ufficio studi che si avvalse della consulenza esterna di funzionari ministeriali a riposo. L’Anas, con cui era stata stipulata la convenzione e che doveva approvare i piani di costruzione, era in difficoltà nell’esaminare un progetto così insolito, avventuroso e faraonico. I funzionari dell’Anas erano turbati dall’eliminazione dei paracarri e temevano un movimento d’opinione che avrebbe richiesto la loro abolizione anche sulle strade normali. L’Anas scongiurò di mantenerli e l’unico sistema fu di dire di sì e poi non farlo; una soluzione collaudata. Altri problemi sollevò il guardrail, che rappresentava un oggetto misterioso. Al fine di dimostrare la loro validità, le nuove barriere furono applicate all’Autodromo di Monza in occasione del Gran premio automobilistico del 1956. Per fabbricare in Italia i cosiddetti guardrail flex-beam, nel 1957 fu appositamente costituita una società dell’Iri, la Armco-Finsider: Finsider più Armco Steel Corp., di Middletown, Ohio. Quanto alle aree di servizio, L’Eni avrebbe volentieri voluto per sé il monopolio; la prudenza volle che tutte le imprese petrolifere fossero rappresentate nelle aree di servizio, anche se l’Eni ne ottenne comunque la quota più alta. Pressata dal governo, il consiglio di amministrazione Anas approvò le caratteristiche e gli standard dell’Autostrada del Sole e, implicitamente, di tutte le autostrade future comprese le superstrade che la stessa Anas avrebbe in seguito costruito. Si ripeteva così il copione della modernizzazione televisiva, in cui le pressioni dell’esecutivo, che si rendeva conto di avere tra le mani una leva per generare nuovo consenso, avevano spianato la strada agli sforzi dei tecnici Rai. I lavori dell’autostrada, divisi in lotti e aggiudicati a varie imprese, procedettero molto spediti; contrariamente alle tradizioni burocratiche delle opere pubbliche italiane, la progettazione esecutiva era molto elastica e si avvaleva di professionisti e tecnici dei luoghi attraversati, anche per attutire lo sforzo richiesto dall'opera e allargare il consenso attorno ad essa. Per comprensibili ma non commendevoli – e particolaristici – motivi di concorrenza, le Ferrovie dello Stato non permisero mai che i sottopassi a proprie linee ferroviarie fossero costruiti dalle stesse ditte che avevano in appalto la costruzione di quel tratto di autostrada; esse infatti richiedevano di affidare gli appalti ad imprese di loro fiducia, che quasi mai erano quelle che lavoravano sul posto. Ritardi e incomprensioni nel coordinamento fra le varie ditte non mancarono. Anche la disponibilità dei terreni richiedeva lunghe procedure di fronte ad una grande quantità di proprietari da indennizzare. Si scelse, com’era prevedibile, la procedura di esproprio per ragioni di pubblica utilità, col ricorso ai decreti (fino a Bologna furono necessari 2.135 decreti!) prefettizi di occupazione d’urgenza. Il risultato di queste procedure napoleoniche fu che dal dicembre 1958 l’autostrada era percorribile fino a Parma, con l’eccezione del lungo ponte sul Po. Per risparmiare tempo fu proposta una struttura in cemento armato precompresso: una tecnica allora innovativa, in cui le travi in cemento venivano costruite altrove e poi appoggiate sui piloni del ponte. La larghezza del fiume richiedeva un ponte lungo 1.176 metri e largo 18,50 (si era rinunziato alla corsia di sosta d’emergenza) e servivano 14 travi da 75 metri, una dimensione eccezionale per i tempi, più due agli estremi di 63 metri ciascuna. Il ponte fu fatto e per collaudarlo l’esercito mandò dieci carri armati che insieme a molti camion pieni di ghiaia si schierarono lungo le carreggiate. Il 15 giugno 1959 il ponte fu aperto al traffico.

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