Negli ultimi mesi spesso ci siamo chiesti se l’Italia potesse fare a meno del gas russo.
La risposta è chiara da subito: no. Nessun paese, nemmeno i più potenti e organizzati, possono rimpiazzare una rete energetica strutturata da decenni attorno alle importazioni e prezzi concordati dalla Russia. Questo spiega il rialzo dei prezzi applicato dalla Norvegia, che non è membro dell’Unione Europea, ma è membro NATO e dello Spazio Economico Europeo e come tale potrebbe optare per maggiore moderazione; spiega la speculazione finanziaria ben coccolata nei Paesi Bassi; spiega la corsa della Francia a cercar di arginare la rivalità russa nelle ex colonie africane, da cui proviene buona parte dell’uranio che tiene accese le centrali nucleari. Così, i due paesi più dipendenti dal gas russo (anche per questioni macro-economiche) rimangono l’Italia e la Germania, entrambe paesi orientati, in un passato non troppo lontano, all’esportazione di prodotti industriali.
Bankitalia è stata molto chiara: senza il gas russo l’Italia dovrà tagliare le stime del PIL del 2023 al -1,5%. L’ipotesi ipotizzava un totale blocco del gas russo e una spirale inflattiva su materie prime e prodotti importati causata indirettamente dallo stop delle importazioni energetiche.
Difficile dare credibilità a chi propone una volata in ambito ecologico o sul nucleare. Nel primo caso i tempi sono lunghi e l’ammanco energetico tale da richiedere investimenti e tempi insostenibili al momento: magari in futuro, magari in un prossimo futuro, ma farlo in sei mesi è impossibile. Per quanto riguarda il nucleare, al di là di questioni legali vedi referendum ed eventuali contestazioni dei cittadini, ci sarebbero i tempi per ricreare tecnici competenti, personale preparato, scegliere il sito, organizzare la filiera, lo stoccaggio delle scorie, da sommare a tempi e investimenti per una centrale nucleare. Quindi, l’unica soluzione potrebbe essere aumentare l’importazione di gas da altri paesi instabili. Sappiamo che l’Algeria è paese molto vicino alla Russia, con cui condivide esercitazioni militari, e grande esportatore di gas in Europa, la Libia è una polveriera, la Turchia -dove dovrebbe passare un futuro gasdotto russo- è un paese che nei confronti dell’Europa sta diventando sempre più sfidante, tutti i gasdotti provenienti dal Medio Oriente passano tra Israele, Turchia, Libano, Siria e Iraq, paesi ben altro che stabili; per non parlare dell’Azerbaigian in passato coinvolto in uno scandalo di corruzione e sparizione di giornalisti proprio legati all’esportazione del gas in Europa.
Esiste la possibilità di importare il gas, tramite nave, anche da paesi lontani: magari dalla Cina che lo comprerà dalla Russia a prezzo ribassato e lo rivenderà a noi (come fatto in passato dagli Emirati Arabi Uniti con petrolio e gas iraniani) o di comprarlo da altri fornitori diretti, ma comunque permangono dei limiti tecnici: tempo, soldi e volontà di costruire rigassificatori.
Dobbiamo essere realistici: non vogliamo uno shock energetico ed economico. Fino ad ora siamo stati molto fortunati col il clima, ma dobbiamo pensare sul lungo periodo sia alla tenuta climatica, sia alla nostra produzione industriale, sia all’inflazione (e quindi al tenore di vita della popolazione e alla tenuta sociale delle scelte politiche).
Quello che sappiamo per certo è che la Russia troverà sempre buoni compratori per le sue risorse energetiche (i mercati asiatici festeggiano anzi la chiusura europea), è molto difficile che l’Europa o l’Italia trovino un fornitore altrettanto sicuro e vicino.
Esistono triangolazioni commerciali via San Marino, Turchia o Kazakistan che permettono ai nostri imprenditori di giungere ancora sul mercato russo, ma tutti quei prodotti sono legati per quantità e qualità all’accesso all’energia a basso costo, la quale è inesorabilmente legata per i prossimi anni al gas russo.
La risposta è chiara da subito: no. Nessun paese, nemmeno i più potenti e organizzati, possono rimpiazzare una rete energetica strutturata da decenni attorno alle importazioni e prezzi concordati dalla Russia. Questo spiega il rialzo dei prezzi applicato dalla Norvegia, che non è membro dell’Unione Europea, ma è membro NATO e dello Spazio Economico Europeo e come tale potrebbe optare per maggiore moderazione; spiega la speculazione finanziaria ben coccolata nei Paesi Bassi; spiega la corsa della Francia a cercar di arginare la rivalità russa nelle ex colonie africane, da cui proviene buona parte dell’uranio che tiene accese le centrali nucleari. Così, i due paesi più dipendenti dal gas russo (anche per questioni macro-economiche) rimangono l’Italia e la Germania, entrambe paesi orientati, in un passato non troppo lontano, all’esportazione di prodotti industriali.
Bankitalia è stata molto chiara: senza il gas russo l’Italia dovrà tagliare le stime del PIL del 2023 al -1,5%. L’ipotesi ipotizzava un totale blocco del gas russo e una spirale inflattiva su materie prime e prodotti importati causata indirettamente dallo stop delle importazioni energetiche.
Difficile dare credibilità a chi propone una volata in ambito ecologico o sul nucleare. Nel primo caso i tempi sono lunghi e l’ammanco energetico tale da richiedere investimenti e tempi insostenibili al momento: magari in futuro, magari in un prossimo futuro, ma farlo in sei mesi è impossibile. Per quanto riguarda il nucleare, al di là di questioni legali vedi referendum ed eventuali contestazioni dei cittadini, ci sarebbero i tempi per ricreare tecnici competenti, personale preparato, scegliere il sito, organizzare la filiera, lo stoccaggio delle scorie, da sommare a tempi e investimenti per una centrale nucleare. Quindi, l’unica soluzione potrebbe essere aumentare l’importazione di gas da altri paesi instabili. Sappiamo che l’Algeria è paese molto vicino alla Russia, con cui condivide esercitazioni militari, e grande esportatore di gas in Europa, la Libia è una polveriera, la Turchia -dove dovrebbe passare un futuro gasdotto russo- è un paese che nei confronti dell’Europa sta diventando sempre più sfidante, tutti i gasdotti provenienti dal Medio Oriente passano tra Israele, Turchia, Libano, Siria e Iraq, paesi ben altro che stabili; per non parlare dell’Azerbaigian in passato coinvolto in uno scandalo di corruzione e sparizione di giornalisti proprio legati all’esportazione del gas in Europa.
Esiste la possibilità di importare il gas, tramite nave, anche da paesi lontani: magari dalla Cina che lo comprerà dalla Russia a prezzo ribassato e lo rivenderà a noi (come fatto in passato dagli Emirati Arabi Uniti con petrolio e gas iraniani) o di comprarlo da altri fornitori diretti, ma comunque permangono dei limiti tecnici: tempo, soldi e volontà di costruire rigassificatori.
Dobbiamo essere realistici: non vogliamo uno shock energetico ed economico. Fino ad ora siamo stati molto fortunati col il clima, ma dobbiamo pensare sul lungo periodo sia alla tenuta climatica, sia alla nostra produzione industriale, sia all’inflazione (e quindi al tenore di vita della popolazione e alla tenuta sociale delle scelte politiche).
Quello che sappiamo per certo è che la Russia troverà sempre buoni compratori per le sue risorse energetiche (i mercati asiatici festeggiano anzi la chiusura europea), è molto difficile che l’Europa o l’Italia trovino un fornitore altrettanto sicuro e vicino.
Esistono triangolazioni commerciali via San Marino, Turchia o Kazakistan che permettono ai nostri imprenditori di giungere ancora sul mercato russo, ma tutti quei prodotti sono legati per quantità e qualità all’accesso all’energia a basso costo, la quale è inesorabilmente legata per i prossimi anni al gas russo.
Al di là degli atlantismi a oltranza, l’Italia ha bisogno del gas russo, che lo si voglia ammettere o meno.