Scrive Qiao Liang in "L'arco dell'Impero. Con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità":
Joseph E. Stiglitz, premio Nobel ed ex capo economista della Banca Mondiale. Dopo lo scoppio della crisi finanziaria nel Sudest asiatico, il governo cinese, dal 6 al 25 aprile 1998, inviò una missione finanziaria per comprenderne le cause, facendola arrivare in Thailandia, Indonesia, Singapore e Corea del Sud. Poiché il governo cinese aveva fornito loro assistenza disinteressata, tutti e tre i Paesi raccontarono la storia della crisi finanziaria senza alcuna riserva. Ma è interessante notare come ci fosse solo una cosa che si sono rifiutati di mostrare alla delegazione cinese, un documento il cui contenuto era quasi identico per tutti e tre i Paesi, nessuno dei quali l’ha fatto vedere alla delegazione cinese. Da un lato, erano del tutto disposti a fornire informazioni, dall’altro però non lasciavano leggere quel documento. Cosa conteneva? Stiglitz lo rivelò tempo dopo: era una condizione imposta dall’FMI (Fondo monetario internazionale) ai Paesi colpiti dalla crisi finanziaria asiatica. Si trattava di una condizione molto simile al trattato di Nanchino che la Cina firmò con la Gran Bretagna dopo la sconfitta della Guerra dell’Oppio, ovvero una vergogna per qualsiasi stato sovrano. Stiglitz aveva rivelato il segreto, cosa c’era quindi nel documento?
L’FMI richiedeva al Paese beneficiario di fare quanto segue:
1. privatizzare e aprire del tutto il settore finanziario, quello delle telecomunicazioni e tutti gli altri servizi pubblici e le industrie nazionali strategiche. In altre parole, consentire e facilitare l’acquisizione arbitraria e la fusione di capitali internazionali;
2. liberalizzare i mercati dei capitali per far entrare e uscire dal Paese il capitale internazionale senza alcun ostacolo o limite. Se si chiede a questi Paesi di aumentare i prezzi dei prodotti essenziali alla vita della gente, come quelli alimentari, dell’acqua potabile e del gas naturale, il risultato finale saranno una serie di manifestazioni, proteste e rivolte, seguite da una massiccia fuga di capitali. E quello che rimane è un bene piuttosto economico in attesa di essere comprato da altri. In realtà, quello che abbiamo visto da allora è una corsa da parte di alcuni dei più grandi consorzi aziendali negli Stati Uniti e in Occidente per acquistare questi beni di buona qualità a basso costo;
3. il libero scambio. I mercati di questi Paesi sono stati aperti all’Europa e agli Stati Uniti, quindi gli americani sono potuti entrare in questi luoghi come niente fosse.
Ma non era questa la cosa più sorprendete, per Stiglitz. Ciò che lo ha davvero stupito è stato scoprire, quando era consigliere economico capo della Banca Mondiale, che le politiche perseguite a livello internazionale dall’FMI in collaborazione con il Tesoro degli Stati Uniti erano tutte il contrario di quelle che gli Stati Uniti stavano perseguendo in patria.
Joseph E. Stiglitz, premio Nobel ed ex capo economista della Banca Mondiale. Dopo lo scoppio della crisi finanziaria nel Sudest asiatico, il governo cinese, dal 6 al 25 aprile 1998, inviò una missione finanziaria per comprenderne le cause, facendola arrivare in Thailandia, Indonesia, Singapore e Corea del Sud. Poiché il governo cinese aveva fornito loro assistenza disinteressata, tutti e tre i Paesi raccontarono la storia della crisi finanziaria senza alcuna riserva. Ma è interessante notare come ci fosse solo una cosa che si sono rifiutati di mostrare alla delegazione cinese, un documento il cui contenuto era quasi identico per tutti e tre i Paesi, nessuno dei quali l’ha fatto vedere alla delegazione cinese. Da un lato, erano del tutto disposti a fornire informazioni, dall’altro però non lasciavano leggere quel documento. Cosa conteneva? Stiglitz lo rivelò tempo dopo: era una condizione imposta dall’FMI (Fondo monetario internazionale) ai Paesi colpiti dalla crisi finanziaria asiatica. Si trattava di una condizione molto simile al trattato di Nanchino che la Cina firmò con la Gran Bretagna dopo la sconfitta della Guerra dell’Oppio, ovvero una vergogna per qualsiasi stato sovrano. Stiglitz aveva rivelato il segreto, cosa c’era quindi nel documento?
L’FMI richiedeva al Paese beneficiario di fare quanto segue:
1. privatizzare e aprire del tutto il settore finanziario, quello delle telecomunicazioni e tutti gli altri servizi pubblici e le industrie nazionali strategiche. In altre parole, consentire e facilitare l’acquisizione arbitraria e la fusione di capitali internazionali;
2. liberalizzare i mercati dei capitali per far entrare e uscire dal Paese il capitale internazionale senza alcun ostacolo o limite. Se si chiede a questi Paesi di aumentare i prezzi dei prodotti essenziali alla vita della gente, come quelli alimentari, dell’acqua potabile e del gas naturale, il risultato finale saranno una serie di manifestazioni, proteste e rivolte, seguite da una massiccia fuga di capitali. E quello che rimane è un bene piuttosto economico in attesa di essere comprato da altri. In realtà, quello che abbiamo visto da allora è una corsa da parte di alcuni dei più grandi consorzi aziendali negli Stati Uniti e in Occidente per acquistare questi beni di buona qualità a basso costo;
3. il libero scambio. I mercati di questi Paesi sono stati aperti all’Europa e agli Stati Uniti, quindi gli americani sono potuti entrare in questi luoghi come niente fosse.
Ma non era questa la cosa più sorprendete, per Stiglitz. Ciò che lo ha davvero stupito è stato scoprire, quando era consigliere economico capo della Banca Mondiale, che le politiche perseguite a livello internazionale dall’FMI in collaborazione con il Tesoro degli Stati Uniti erano tutte il contrario di quelle che gli Stati Uniti stavano perseguendo in patria.