Una volta io e mio padre passeggiavamo con l'auto per le strade di Napoli e, ad un certo punto, vediamo due persone prendersi a botte, ma pesantemente. L'istinto mio era quello di fermare l'auto e andare a dividerli, ma mio padre mi fulminò con lo sguardo e mi disse "Non permetterti minimamente". "Papà, ma ci scappa il morto se continuano così". Papà, in tutta risposta, mi disse "Hai una pistola? Sei il loro datore di lavoro? No. Quindi non serve a niente intervenire. Si interviene in una rissa solo quando si è più forti di quelli che stanno litigando o si ha il potere di decidere il loro destino, altrimenti questi hanno un coltello e una pistola e magari ammazzano te. Non sono affari tuoi, non hai l'obbligo di dividere due persone, ci deve pensare la Polizia nel caso".
Il senso del discorso è molto semplice: si interviene in una situazione critica quando si ha la forza di poterla interrompere. Si prenda per esempio l'annoso e frequente caso in cui più fratelli si contendono un'eredità. Un giudice, in forza della legge e del fatto che può inviare uomini armati che rendano esecutiva la sua decisione, può dirimere la controversia. Il comune mortale, no. Non può fare assolutamente nulla, ed anzi casomai se tra le parti volano cazzotti, coltellate e pallottole, chi si mette in mezzo può pure rischiare la pelle.
Se si vuole avere voce in capitolo, bisogna o essere più forti delle parti in causa o avere il potere di fargli del male, creandogli problemi molto gravi. Per tutto il resto, bisogna pensare agli affari propri.
Di solito, quando si predica l'egoismo, ci si cattiva sempre la condanna morale dell'opinione pubblica. Mi capita sistematicamente, per esempio, quando parlo della vicenda tra Israele e Palestina. La mia tesi è che noi, in quanto italiani, non possiamo fare nulla per risolvere il problema, tanto più che tanto l'una quanto l'altra parte hanno alleati che non hanno alcun interesse a giungere ad una pace definitiva e, dunque, tanto vale lasciarli scannare tra di loro, almeno fin quando non ci faremo forti a sufficienza per avere un ruolo.
Le condanne morali "Israele è uno stato genocida" "No, è Hamas ad essere uno stato terrorista", per quanto umanamente comprensibili da parte chi ha cuore le sorti dell'uno o dell'altro popolo, producono un rumore di fondo a somma zero che lascia tale e quale la situazione, infatti è da quando sono nato, e ormai sono più di quarant'anni, che sento parlare di questa storia e non se ne viene mai a capo.
Tutto questo noioso pippone introduttivo per dire che le stramaledizioni contro "Trump che mette i dazi" vanno viste per quel che sono: sciocchezze. Di cui, peraltro, non mi stupisco. Da decenni veniamo sottoposti ad un radioattivo bombardamento con conseguente lavaggio del cervello che ci ha convinti che noi dobbiamo intrometterci in tutte le questioni del mondo, anche a scapito dei nostri interessi personali. Nel Burundi c'è un bambino morto di fame? Mandiamo venti euro a qualche associazione umanitaria per mondarci la coscienza, senza poi fare un effettivo controllo - che va di moda definire "fact checking" - del fatto che i soldi arrivino a destinazione. A Gaza c'è una strage? Mettiamo la bandierina sul profilo e spacciamoci per conoscitori di vicende che richiedono competenze geopolitiche e studi decennali, quando in realtà non facciamo altro che diffondere la propaganda di gente a cui, della sorte dei palestinesi, interessa meno di zero.
Il nostro finto impegno per le cause umanitarie ci consente di avere la coscienza a posto e di ignorare magari le sorti - per le quali noi potremmo davvero fare qualcosa - casomai del vicino di casa che ha perso il lavoro, ha perso la casa e dorme in mezzo ad una strada e che, un giorno, quel vicino potremmo essere noi. Il che avrebbe senso se poi la gente effettivamente si disinteressasse dei problemi personali. Ma gli stessi che ci tormentano sul dramma dei migranti, sarebbero i primi a ribellarsi se venisse approvata una legge che ci imponesse, a spese nostre, di adottare un immigrato clandestino. Perché alla fine, la gente pensa soltanto ai fatti propri. E dal momento che l'universalismo morale è tipico di tutte le potenze mondiali, gli USA possono certamente aver avuto, ad un certo momento, l'interesse di coinvolgere gli alleati nelle proprie questioni spacciandole per vitali. Solo che quando queste continue intromissioni si accompagnano ad una sistematica trascuranza degli interessi dei propri cittadini, ecco che gente come Trump in America, ma anche la Le Pen in Francia, l'AFD in Germania e le destre radicali in Italia, conquistano il potere perché propongono un mondo ove l'interesse nazionale venga prima dei temi globali.
Trump è certamente diventato presidente degli Stati Uniti per effetto di una grande fame di potere, tipica degli uomini che arrivano ad un certo livello come lui. Ma quel potere, tuttavia, si mantiene realizzando le aspettative di chi ce lo dà. E chi lo ha votato si è semplicemente stancato di dover sobbarcarsi i costi del mondo, che è poi la benzina che muove tutti i sovranismi. L'America, un tempo, aveva la forza di far saltare per aria regimi, far fallire paesi. Oggi questa forza non ce l'ha più oppure sono emersi altri interlocutori nel dibattito geopolitico che, di fatto, hanno ridotto gli spazi di manovra dello Zio Sam. In sovrappiù, il vecchio Donald ha capito che le imprese americane non sono in grado di reggere la concorrenza di quelle degli altri paesi e, dunque, ha deciso di applicare i dazi. Cosa sono i dazi? Sono una sorta di barriera artificiale che uno Stato decide di introdurre nel proprio paese per evitare che le imprese di un altro paese, soprattutto se con questo non vi sono buoni rapporti, possano battere quelle del proprio in virtù di una tassazione più favorevole o di leggi molto meno protettive in tema di sfruttamento di manodopera. Il dazio è, sostanzialmente, una tassa che serve a fare in modo che chi compra i prodotti da un'azienda straniera che li produce a costi ridotti, venga scoraggiato da farlo, preferendo quelli del proprio paese. L'ideologia che ispira il dazio è il cosiddetto "protezionismo". Che, sia chiaro, non sempre è una scelta saggia, soprattutto se il paese al quale lo applichiamo, a sua volta può reagire diventando protezionista contro di me. Se un paese compra il 70% dei miei prodotti, non è saggio mettere i dazi sui prodotti che noi, a nostra volta, compriamo dalle sue imprese. E infatti la convinzione di molti è che l'Europa possa, a sua volta, reagire mettendone altri sui prodotti americani. Ma è davvero così? L'Europa può davvero fare molto male all'economia americana? Trump è impazzito? L'America rischia il fallimento con questo provvedimento? In questo senso, molti economisti anche non sospettabili di estremismo filoeuropeista, sono divisi. Ma il punto non è tanto se sia una scelta saggia o meno quella di Trump, ma se sia legittima. E la risposta è: sì, è legittima.
Perché Trump non è il presidente del mondo o dell'Europa ma degli Stati Uniti d'America. Tra quattro anni, chi ne raccoglierà l'eredità - perché, a meno di modifiche costituzionali, il Biondo non potrà ricandidarsi - risponderà non di quanto si sia occupato, più o meno bene, dei problemi del mondo, ma se avrà reso più prosperi gli americani. E se l'attuale inquilino della Casa Bianca è convinto che gli interessi americani siano molto meglio rappresentati dalla sua amministrazione, è del tutto ovvio, prima ancora che legittimo, che se ne infischi di quelli italiani, francesi, tedeschi, giapponesi, spagnoli, polacchi e così via.
I dazi ci sono sempre stati nella storia e hanno sempre avuto l'obiettivo di fare gli interessi del proprio paese. E se Trump dice "First America" e poi effettivamente gli americani vedranno migliorato il proprio tenore di vita, si sarà assicurato la conferma del suo successore o la propria. Se poi questo manda in fallimento l'Europa, Trump se ne interesserà solo se questo provocherà danni all'America. Se non li provocherà, se ne fregherà.
I paesi europei sono chiamati ad una prova di maturità uguale a quella, difficilissima, di chi, ad un certo momento della propria vita, si ritrova orfano. O ha come campare oppure crepa. E la cosa, al mondo, fregherà più o meno come un lieve prurito.
Il senso del discorso è molto semplice: si interviene in una situazione critica quando si ha la forza di poterla interrompere. Si prenda per esempio l'annoso e frequente caso in cui più fratelli si contendono un'eredità. Un giudice, in forza della legge e del fatto che può inviare uomini armati che rendano esecutiva la sua decisione, può dirimere la controversia. Il comune mortale, no. Non può fare assolutamente nulla, ed anzi casomai se tra le parti volano cazzotti, coltellate e pallottole, chi si mette in mezzo può pure rischiare la pelle.
Se si vuole avere voce in capitolo, bisogna o essere più forti delle parti in causa o avere il potere di fargli del male, creandogli problemi molto gravi. Per tutto il resto, bisogna pensare agli affari propri.
Di solito, quando si predica l'egoismo, ci si cattiva sempre la condanna morale dell'opinione pubblica. Mi capita sistematicamente, per esempio, quando parlo della vicenda tra Israele e Palestina. La mia tesi è che noi, in quanto italiani, non possiamo fare nulla per risolvere il problema, tanto più che tanto l'una quanto l'altra parte hanno alleati che non hanno alcun interesse a giungere ad una pace definitiva e, dunque, tanto vale lasciarli scannare tra di loro, almeno fin quando non ci faremo forti a sufficienza per avere un ruolo.
Le condanne morali "Israele è uno stato genocida" "No, è Hamas ad essere uno stato terrorista", per quanto umanamente comprensibili da parte chi ha cuore le sorti dell'uno o dell'altro popolo, producono un rumore di fondo a somma zero che lascia tale e quale la situazione, infatti è da quando sono nato, e ormai sono più di quarant'anni, che sento parlare di questa storia e non se ne viene mai a capo.
Tutto questo noioso pippone introduttivo per dire che le stramaledizioni contro "Trump che mette i dazi" vanno viste per quel che sono: sciocchezze. Di cui, peraltro, non mi stupisco. Da decenni veniamo sottoposti ad un radioattivo bombardamento con conseguente lavaggio del cervello che ci ha convinti che noi dobbiamo intrometterci in tutte le questioni del mondo, anche a scapito dei nostri interessi personali. Nel Burundi c'è un bambino morto di fame? Mandiamo venti euro a qualche associazione umanitaria per mondarci la coscienza, senza poi fare un effettivo controllo - che va di moda definire "fact checking" - del fatto che i soldi arrivino a destinazione. A Gaza c'è una strage? Mettiamo la bandierina sul profilo e spacciamoci per conoscitori di vicende che richiedono competenze geopolitiche e studi decennali, quando in realtà non facciamo altro che diffondere la propaganda di gente a cui, della sorte dei palestinesi, interessa meno di zero.
Il nostro finto impegno per le cause umanitarie ci consente di avere la coscienza a posto e di ignorare magari le sorti - per le quali noi potremmo davvero fare qualcosa - casomai del vicino di casa che ha perso il lavoro, ha perso la casa e dorme in mezzo ad una strada e che, un giorno, quel vicino potremmo essere noi. Il che avrebbe senso se poi la gente effettivamente si disinteressasse dei problemi personali. Ma gli stessi che ci tormentano sul dramma dei migranti, sarebbero i primi a ribellarsi se venisse approvata una legge che ci imponesse, a spese nostre, di adottare un immigrato clandestino. Perché alla fine, la gente pensa soltanto ai fatti propri. E dal momento che l'universalismo morale è tipico di tutte le potenze mondiali, gli USA possono certamente aver avuto, ad un certo momento, l'interesse di coinvolgere gli alleati nelle proprie questioni spacciandole per vitali. Solo che quando queste continue intromissioni si accompagnano ad una sistematica trascuranza degli interessi dei propri cittadini, ecco che gente come Trump in America, ma anche la Le Pen in Francia, l'AFD in Germania e le destre radicali in Italia, conquistano il potere perché propongono un mondo ove l'interesse nazionale venga prima dei temi globali.
Trump è certamente diventato presidente degli Stati Uniti per effetto di una grande fame di potere, tipica degli uomini che arrivano ad un certo livello come lui. Ma quel potere, tuttavia, si mantiene realizzando le aspettative di chi ce lo dà. E chi lo ha votato si è semplicemente stancato di dover sobbarcarsi i costi del mondo, che è poi la benzina che muove tutti i sovranismi. L'America, un tempo, aveva la forza di far saltare per aria regimi, far fallire paesi. Oggi questa forza non ce l'ha più oppure sono emersi altri interlocutori nel dibattito geopolitico che, di fatto, hanno ridotto gli spazi di manovra dello Zio Sam. In sovrappiù, il vecchio Donald ha capito che le imprese americane non sono in grado di reggere la concorrenza di quelle degli altri paesi e, dunque, ha deciso di applicare i dazi. Cosa sono i dazi? Sono una sorta di barriera artificiale che uno Stato decide di introdurre nel proprio paese per evitare che le imprese di un altro paese, soprattutto se con questo non vi sono buoni rapporti, possano battere quelle del proprio in virtù di una tassazione più favorevole o di leggi molto meno protettive in tema di sfruttamento di manodopera. Il dazio è, sostanzialmente, una tassa che serve a fare in modo che chi compra i prodotti da un'azienda straniera che li produce a costi ridotti, venga scoraggiato da farlo, preferendo quelli del proprio paese. L'ideologia che ispira il dazio è il cosiddetto "protezionismo". Che, sia chiaro, non sempre è una scelta saggia, soprattutto se il paese al quale lo applichiamo, a sua volta può reagire diventando protezionista contro di me. Se un paese compra il 70% dei miei prodotti, non è saggio mettere i dazi sui prodotti che noi, a nostra volta, compriamo dalle sue imprese. E infatti la convinzione di molti è che l'Europa possa, a sua volta, reagire mettendone altri sui prodotti americani. Ma è davvero così? L'Europa può davvero fare molto male all'economia americana? Trump è impazzito? L'America rischia il fallimento con questo provvedimento? In questo senso, molti economisti anche non sospettabili di estremismo filoeuropeista, sono divisi. Ma il punto non è tanto se sia una scelta saggia o meno quella di Trump, ma se sia legittima. E la risposta è: sì, è legittima.
Perché Trump non è il presidente del mondo o dell'Europa ma degli Stati Uniti d'America. Tra quattro anni, chi ne raccoglierà l'eredità - perché, a meno di modifiche costituzionali, il Biondo non potrà ricandidarsi - risponderà non di quanto si sia occupato, più o meno bene, dei problemi del mondo, ma se avrà reso più prosperi gli americani. E se l'attuale inquilino della Casa Bianca è convinto che gli interessi americani siano molto meglio rappresentati dalla sua amministrazione, è del tutto ovvio, prima ancora che legittimo, che se ne infischi di quelli italiani, francesi, tedeschi, giapponesi, spagnoli, polacchi e così via.
I dazi ci sono sempre stati nella storia e hanno sempre avuto l'obiettivo di fare gli interessi del proprio paese. E se Trump dice "First America" e poi effettivamente gli americani vedranno migliorato il proprio tenore di vita, si sarà assicurato la conferma del suo successore o la propria. Se poi questo manda in fallimento l'Europa, Trump se ne interesserà solo se questo provocherà danni all'America. Se non li provocherà, se ne fregherà.
I paesi europei sono chiamati ad una prova di maturità uguale a quella, difficilissima, di chi, ad un certo momento della propria vita, si ritrova orfano. O ha come campare oppure crepa. E la cosa, al mondo, fregherà più o meno come un lieve prurito.
I dazi sono semplicemente il ritorno alla realtà che ci dice che il mondo può fare benissimo a meno dell'Europa. Almeno fin quando dalle nostre parti non ci si darà una sana svegliata.
Franco Marino
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