In questi giorni sto facendo un sacco di sogni strani. Ma ce n'è uno che mi ha colpito particolarmente. Ho sognato che l'America si sfaldava e che il suo crollo iniziava con la spinta separatista di uno stato: la Lombardia. Come mi sia venuto in mente di associare una regione italiana ad un paese straniero, non so spiegarlo, se non magari con la subliminale convinzione che siamo una colonia americana. La cosa strana è che al risveglio questo sogno me lo sono ricordato e dunque mi sono fatto questa domanda: ma come sarebbe il mondo se un giorno crollassero gli Stati Uniti esattamente come, trentacinque anni fa crollò l'URSS?
Nel corso di questi anni, mi sono fatto una fama - immeritata - di antiamericano. Invece, non solo apprezzo molte cose di quella cultura e di quel paese, ma, quando ci penso, mi rendo conto che il mio è proprio uno stile di vita molto da americano: ho una totale insofferenza per tutto ciò che sia Stato, collettività, interesse pubblico e, invece, credo nel privato, nel libero mercato, nel diritto di possedere un'arma, tutta roba che, per dire, con una Russia o una Cina o magari con i paesi arabi, non c'entra nulla. Insomma, molti hanno confuso le mie critiche all'invadenza americana con un'ostilità agli Stati Uniti che, almeno per conto mio, non c'è mai stata. Semplicemente, sono un anti-imperialista: il giorno in cui la Federazione Russa diventasse una minaccia, scriverei le stesse cose ostili che ho scritto sugli USA negli anni. Identiche. E dunque, venendo al sodo, come sarebbe il mondo senza l'America?
Per chi ha vissuto i primi anni della sua vita in un mondo unipolare, dove gli Stati Uniti avrebbero rappresentato, secondo Fukuyama, l'anomalia definitiva che avrebbe posto fine alla storia, il crollo dell'URSS è stato una tragedia. E prima che qualcuno mi dia del nostalgico del comunismo, basta ricordare che a sostenere questa tesi furono insospettabili esponenti del pentapartito - architrave dell'anticomunismo italiano - e intellettuali di destra, liberali. All'indomani del crollo dell'URSS, festeggiarono tutti, ma proprio tutti, tranne gli anticomunisti. Mentre gli ex-comunisti, che già nel 1989 avevano ufficializzato la fine del PCI e la sua conversione in PDS, volendo far credere che loro erano sempre stati filoamericani, che si erano opposti a Stalin, a Kruscev et cetera, facevano a gara a chi portava più velocemente la pantofola allo Zio Sam, dall'altra parte gli ambienti conservatori inglesi, rigidamente anticomunisti, erano, tuttavia, tutt'altro che felici di questa notizia. E qui da noi molte figure fecero sobbalzare chi li considerava bandiere dell'anticomunismo. Andreotti disse che amava così tanto la Germania che ne preferiva due, Craxi disse che si sarebbe creato un vuoto di potere e che i postcomunisti avrebbero amoreggiato con gli USA, Cossiga picconava la politica italiana un giorno sì e l'altro pure, ricordando - con la saggezza e il realismo tipicamente democristiani - che se la DC non si fosse seriamente riformata, sarebbe stata travolta dal cambiamento, per finire con Montanelli che, non sospettabile di simpatie filosovietiche ed anzi liberale a ventiquattro carati, arrivò addirittura ad auspicare che fosse ricostruito il muro di Berlino.
Questi grandi personaggi, naturalmente, non è che fossero impazziti o cosa. Semplicemente, avevano capito che la fine del blocco sovietico avrebbe avviato una resa dei conti anche all'interno delle strutture politiche occidentali, oltre a togliere di mezzo un nemico che, proprio per la pretesa da parte degli Stati Uniti - che si percepivano come l'incarnazione del Bene - di attribuirgli la qualifica di impero del Male, costringeva l'America a dover mostrare il volto migliore di sé. E quanto in questo paradosso ci fosse del vero, è testimoniato da tutto ciò che è accaduto negli ultimi trent'anni, nei quali il venir meno del grande nemico ideologico, ha permesso agli USA di mostrare il proprio volto di paese che pur di fare i propri interessi non esiterebbe a mandare in rovina quegli stessi alleati un tempo protetti. Ma, e qui bisogna rendersene conto, è la stessa cosa che accadrebbe se, a collassare, fossero gli USA. Chi pensa che la fine dell'atlantismo coinciderà con il benessere e la pace in Europa, rischia una pesantissima smentita fattuale.
Del resto, in natura, quando dalla piramide biologica si estingue un grande predatore, la conseguenza è l'alterazione di moltissimi equilibri con conseguenze potenzialmente pericolose per tutto il pianeta. Questo giustifica - al netto di qualche eccesso ideologico - l'attenzione degli scienziati affinché non si estinguano alcune specie viventi. Di conseguenza, il crollo degli USA provocherebbe una serie di effetti a catena molto pericolosi. Tanto per cominciare, sarebbe in pericolo l'Europa che ha sempre goduto della protezione economica e militare dello Zio Sam e che si troverebbe, all'improvviso, esposta alla possibilità - tutt'altro che teorica - che non tanto la Federazione Russa quanto entità orientali di vario genere possano sferrare attacchi pieni di rancore contro un Vecchio Continente che, d'altra parte, nel corso della storia, le ha sempre guardate dall'alto in basso. Ma soprattutto, la trasformazione del regime unipolare americano in un sistema multipolare coinciderebbe con un periodo di lunghissima instabilità. Si favoleggia tanto dei BRICS, di una sorta di NATO orientale, che dovrebbe soppiantare la NATO originale. Ma la realtà è che i paesi non atlantisti, sono uniti soltanto dall'insofferenza nei confronti del sistema americano. Perché, per il resto, i rapporti tra Cina e Federazione Russa sono tutt'altro che buoni - a dispetto dei sorrisi e delle pacche sulle spalle tra Putin e Xi Jinping che sono amici esattamente come lo erano Putin e Bush senza che questo abbia impedito che nascessero tensioni tra i due paesi - come del resto tutt'altro che buoni lo sono anche tra India e Cina. Oltre dunque al fastidio per gli Stati Uniti, non c'è altro. Non c'è una visione del mondo alternativa, anche perché la Federazione Russa, spacciata come erede dell'URSS, è in realtà un paese dove vige un'economia di mercato di impostazione liberale, che tuttavia semplicemente pretende di non essere infiltrata dai paesi stranieri. E se a questo si aggiunge che il sovranismo è, intrinsecamente, l'ideologia dell'interesse nazionale sopra ogni visione globale, è difficile pensare che si possa costituire - come qualcuno auspica - un'internazionale sovranista come, a suo tempo, si crearono l'internazionale socialista e l'equivalente atlantico del globalismo finanziario.
Poi c'è anche un altro punto: l'Europa, piaccia o meno, ha vissuto sulle spalle dell'american way of life, basato su capisaldi che, invece, vengono negati dalle realtà alternative, che potrebbero attrarre certamente l'Europa dei primi del Novecento, povera, affamata, ma non quella edonistica del 2025.
La realtà è che l'Europa non è preparata a fare a meno degli Stati Uniti. Questa, per chi come il sottoscritto ha sempre sperato in un'uscita dalla NATO e dalle sovrastrutture economiche e finanziarie americane, è una cosa dura da ammettere. Ma dalla quale si può uscire in due modi: o gli Stati Uniti capiscono che invece di parassitare l'Europa è molto meglio aiutarla a costruirsi un'indipendenza reale, magari anche sulla base di una solida alleanza, oppure i paesi europei capiscono che è il momento di porre le basi per un futuro di indipendenza energetica, finanziaria, militare e culturale. Un processo molto lungo e che verrebbe sabotato non soltanto dagli Stati Uniti ma anche e soprattutto da quelle realtà che oggi l'ala miope e irrazionale - e purtroppo maggioritaria - del sovranismo, idealizza come cavalieri che verranno a salvarci.
Nel corso di questi anni, mi sono fatto una fama - immeritata - di antiamericano. Invece, non solo apprezzo molte cose di quella cultura e di quel paese, ma, quando ci penso, mi rendo conto che il mio è proprio uno stile di vita molto da americano: ho una totale insofferenza per tutto ciò che sia Stato, collettività, interesse pubblico e, invece, credo nel privato, nel libero mercato, nel diritto di possedere un'arma, tutta roba che, per dire, con una Russia o una Cina o magari con i paesi arabi, non c'entra nulla. Insomma, molti hanno confuso le mie critiche all'invadenza americana con un'ostilità agli Stati Uniti che, almeno per conto mio, non c'è mai stata. Semplicemente, sono un anti-imperialista: il giorno in cui la Federazione Russa diventasse una minaccia, scriverei le stesse cose ostili che ho scritto sugli USA negli anni. Identiche. E dunque, venendo al sodo, come sarebbe il mondo senza l'America?
Per chi ha vissuto i primi anni della sua vita in un mondo unipolare, dove gli Stati Uniti avrebbero rappresentato, secondo Fukuyama, l'anomalia definitiva che avrebbe posto fine alla storia, il crollo dell'URSS è stato una tragedia. E prima che qualcuno mi dia del nostalgico del comunismo, basta ricordare che a sostenere questa tesi furono insospettabili esponenti del pentapartito - architrave dell'anticomunismo italiano - e intellettuali di destra, liberali. All'indomani del crollo dell'URSS, festeggiarono tutti, ma proprio tutti, tranne gli anticomunisti. Mentre gli ex-comunisti, che già nel 1989 avevano ufficializzato la fine del PCI e la sua conversione in PDS, volendo far credere che loro erano sempre stati filoamericani, che si erano opposti a Stalin, a Kruscev et cetera, facevano a gara a chi portava più velocemente la pantofola allo Zio Sam, dall'altra parte gli ambienti conservatori inglesi, rigidamente anticomunisti, erano, tuttavia, tutt'altro che felici di questa notizia. E qui da noi molte figure fecero sobbalzare chi li considerava bandiere dell'anticomunismo. Andreotti disse che amava così tanto la Germania che ne preferiva due, Craxi disse che si sarebbe creato un vuoto di potere e che i postcomunisti avrebbero amoreggiato con gli USA, Cossiga picconava la politica italiana un giorno sì e l'altro pure, ricordando - con la saggezza e il realismo tipicamente democristiani - che se la DC non si fosse seriamente riformata, sarebbe stata travolta dal cambiamento, per finire con Montanelli che, non sospettabile di simpatie filosovietiche ed anzi liberale a ventiquattro carati, arrivò addirittura ad auspicare che fosse ricostruito il muro di Berlino.
Questi grandi personaggi, naturalmente, non è che fossero impazziti o cosa. Semplicemente, avevano capito che la fine del blocco sovietico avrebbe avviato una resa dei conti anche all'interno delle strutture politiche occidentali, oltre a togliere di mezzo un nemico che, proprio per la pretesa da parte degli Stati Uniti - che si percepivano come l'incarnazione del Bene - di attribuirgli la qualifica di impero del Male, costringeva l'America a dover mostrare il volto migliore di sé. E quanto in questo paradosso ci fosse del vero, è testimoniato da tutto ciò che è accaduto negli ultimi trent'anni, nei quali il venir meno del grande nemico ideologico, ha permesso agli USA di mostrare il proprio volto di paese che pur di fare i propri interessi non esiterebbe a mandare in rovina quegli stessi alleati un tempo protetti. Ma, e qui bisogna rendersene conto, è la stessa cosa che accadrebbe se, a collassare, fossero gli USA. Chi pensa che la fine dell'atlantismo coinciderà con il benessere e la pace in Europa, rischia una pesantissima smentita fattuale.
Del resto, in natura, quando dalla piramide biologica si estingue un grande predatore, la conseguenza è l'alterazione di moltissimi equilibri con conseguenze potenzialmente pericolose per tutto il pianeta. Questo giustifica - al netto di qualche eccesso ideologico - l'attenzione degli scienziati affinché non si estinguano alcune specie viventi. Di conseguenza, il crollo degli USA provocherebbe una serie di effetti a catena molto pericolosi. Tanto per cominciare, sarebbe in pericolo l'Europa che ha sempre goduto della protezione economica e militare dello Zio Sam e che si troverebbe, all'improvviso, esposta alla possibilità - tutt'altro che teorica - che non tanto la Federazione Russa quanto entità orientali di vario genere possano sferrare attacchi pieni di rancore contro un Vecchio Continente che, d'altra parte, nel corso della storia, le ha sempre guardate dall'alto in basso. Ma soprattutto, la trasformazione del regime unipolare americano in un sistema multipolare coinciderebbe con un periodo di lunghissima instabilità. Si favoleggia tanto dei BRICS, di una sorta di NATO orientale, che dovrebbe soppiantare la NATO originale. Ma la realtà è che i paesi non atlantisti, sono uniti soltanto dall'insofferenza nei confronti del sistema americano. Perché, per il resto, i rapporti tra Cina e Federazione Russa sono tutt'altro che buoni - a dispetto dei sorrisi e delle pacche sulle spalle tra Putin e Xi Jinping che sono amici esattamente come lo erano Putin e Bush senza che questo abbia impedito che nascessero tensioni tra i due paesi - come del resto tutt'altro che buoni lo sono anche tra India e Cina. Oltre dunque al fastidio per gli Stati Uniti, non c'è altro. Non c'è una visione del mondo alternativa, anche perché la Federazione Russa, spacciata come erede dell'URSS, è in realtà un paese dove vige un'economia di mercato di impostazione liberale, che tuttavia semplicemente pretende di non essere infiltrata dai paesi stranieri. E se a questo si aggiunge che il sovranismo è, intrinsecamente, l'ideologia dell'interesse nazionale sopra ogni visione globale, è difficile pensare che si possa costituire - come qualcuno auspica - un'internazionale sovranista come, a suo tempo, si crearono l'internazionale socialista e l'equivalente atlantico del globalismo finanziario.
Poi c'è anche un altro punto: l'Europa, piaccia o meno, ha vissuto sulle spalle dell'american way of life, basato su capisaldi che, invece, vengono negati dalle realtà alternative, che potrebbero attrarre certamente l'Europa dei primi del Novecento, povera, affamata, ma non quella edonistica del 2025.
La realtà è che l'Europa non è preparata a fare a meno degli Stati Uniti. Questa, per chi come il sottoscritto ha sempre sperato in un'uscita dalla NATO e dalle sovrastrutture economiche e finanziarie americane, è una cosa dura da ammettere. Ma dalla quale si può uscire in due modi: o gli Stati Uniti capiscono che invece di parassitare l'Europa è molto meglio aiutarla a costruirsi un'indipendenza reale, magari anche sulla base di una solida alleanza, oppure i paesi europei capiscono che è il momento di porre le basi per un futuro di indipendenza energetica, finanziaria, militare e culturale. Un processo molto lungo e che verrebbe sabotato non soltanto dagli Stati Uniti ma anche e soprattutto da quelle realtà che oggi l'ala miope e irrazionale - e purtroppo maggioritaria - del sovranismo, idealizza come cavalieri che verranno a salvarci.
E invece, non esistono salvatori. Oggi l'Europa non ha amici, soltanto bestie feroci che ambiscono a sgozzare un maiale grasso pieno di sé, ricco soltanto della propria storia ma povero di tutto ciò che serve per vivere in totale indipendenza.
Franco Marino
Se ti è piaciuto questo articolo, sostienici con un like o un commento all'articolo all'interno di questo spazio e condividendolo sui social.