Il buon Fais, direttore del Detonatore, mi chiede per il suo mensile un pezzo dedicato all'amore perché è il mese di San Valentino e proprio in prossimità di questo giorno, mi è stato chiesto da qualcuno, alla luce di alcuni miei ultimi articoli, come un individuo cosiddetto "cinico" come me, viva i propri sentimenti. A tal proposito, "cinico" - che ha un'accezione negativa - ha semmai a che fare con un qualcosa che invece, con accezione positiva, potrebbe considerarsi semplicemente "realista". E dal momento che non conosco, nella mia ignoranza, un vocabolo che definisca, asetticamente, chi ha la mia visione di questa come di altre cose, forse è meglio andare direttamente alla ciccia della questione, ossia cosa sia l'amore per uno come me, così da mettere d'accordo sia chi detesta il mio cinismo, sia chi ama il mio realismo.
Cos'è davvero l'amore? Quando si vuole davvero tentare l'ardua impresa di dare una definizione esplicativa che faccia chiarezza, nell'oceano della retorica, circa questo ed altri temi, la prima cosa da fare è spogliarli di tutte le sovrastrutture che ricoprono la visione dell'umanità in generale.
La prima sovrastruttura è che gli esseri umani siano o sinceri o bugiardi. In realtà, nessuna di tutte e due. Si dividono, invece, in coscienti di sé e incoscienti. Tanto il sincero quanto il bugiardo consapevoli di sé sono rarissimi. Per il solito, in tanti vivono in un perenne iato tra ciò che credono - anche sinceramente - di essere e ciò che sono. Su questo presupposto, molti dicono con convinzione di desiderare l'amore quando tutto ciò che vogliono è la forsennata ricerca di un benessere psicofisico che può tanto concretarsi in un consistente aumento della propria autostima - cioè stare con qualcuno solo perché, dicendoci quest'ultimo che siamo belli dentro e fuori, ci fa sentire meglio - tanto sfociare in benefici economici e patrimoniali, sistemandosi con chi è molto più abbiente di noi, tanto ridursi al puro e selvaggio piacere di farsi una scopata con un corpo molto eccitante.
Ad essere a favore di una tesi così materialista c'è il fatto che sopravviviamo grazie alla riproduzione. E dunque, tanto il maschio ha l'esigenza di spargere i propri geni e dunque sceglierà compagne che considererà adatte a generare prole, tanto la femmina vorrà un compagno che abbia quei requisiti di forza ed intelligenza tali da far sì che il bimbo - o in qualche caso i bimbi - che porterà in grembo, sia forte come il padre. E poiché abbiamo risorse limitate - e dunque dovremo fare una selezione - inevitabilmente la scelta cadrà sul meglio che abbiamo a disposizione.
Una volta che si è chiarito questo, i dolci fiumi carsici delle letture romantiche si perdono nel salatissimo mare del vissuto. Si sognano corpi e menti che non ci guarderebbero manco di striscio e alla fine ci si mette con qualcuno soltanto perché rappresenta il "meno peggio". E questa dinamica influenzerà la coppia anche quando sarà formata. Anche quando vediamo coppie apparentemente felici, entrambi continueranno ad assumere pose come se fossero sempre a caccia. Lei, anche se ormai dice di aver trovato il compagno con cui sarà felice, continuerà a vestirsi in maniera provocante perché in fondo spera di trovare qualcuno di migliore e lui farà lo splendido nell'attesa di una compagna più appetibile.
Che questi, al netto di alcune sfumature certo non contemplabili in un articolo di giornale che non voglia annoiare il lettore più di quanto già non rischi di fare, siano gli scenari che dominano la maggioranza dei rapporti lo si osserva da una rapida scorsa a tutti i gruppi social e forum sul tema, da sconsigliare a chi abbia un approccio idealistico alle dinamiche umane e casomai vuole una speranza a cui abbarbicarsi. In ogni singolo e fottuto post dove lui o lei si rivolgono ad una platea di sconosciuti per avere suggerimenti, non ce n'è uno ove l'autore chieda, per esempio, "il mio compagno è in difficoltà, come posso aiutarlo?". Si va, così, dalle lamentazioni di lei che denunzia scarse attenzioni di lui, di lui che si lamenta perché lei gli succhia troppo poco il sacro augiello, lei che è arrabbiata perché lui ha perso il lavoro oppure lavora troppo poco e dunque lei non può fare la bella vita di un tempo, e lui che si infastidisce dei troppi peli superflui di lei o della sua maniacale attenzione all'ordine. In un delirio egoistico dove non c'è il minimo spazio per quel romanticismo con cui si riempiono i cinema attraverso commedie sentimentali tanto ben fatte sul piano tecnico quanto poco realistiche. Se poi ci si reca presso le comunità che raccolgono padri separati distrutti da un matrimonio andato a male, ci rendiamo conto di quanto una donna possa essere spietata con un uomo, riducendolo a vivere in macchina e togliendogli ogni contatto con i figli, e un campionario di amenità che sembrerebbero esortare qualsiasi maschio sano di mente a dare le dimissioni da qualsiasi parvenza di socialità intersessuale.
E la paura del tradimento? Niente che abbia a che fare con l'amore per il compagno. Molti hanno paura di essere traditi solo perché vedono nella persona amata che giace con un altro più prestante, più attraente, la certificazione della propria sostituibilità, del proprio scarso valore.
E tuttavia, dopo questo profluvio di considerazioni ciniche o realiste, rimane una domanda: esiste l'amore vero favoleggiato da molti? Quello in cui lui e lei si adorano e si amano fino alla fine dei loro tempi, per cinquanta, sessanta, settant'anni e che ha, come unico evento terribile, quello in cui uno dei due muore e l'altro, vittima della disperazione, lo segue dopo pochi mesi?
Sì, c'è. Ma per arrivarvi, occorre una cosa che, normalmente, subentra ad una certa età quando i furori testosteronici o progesteronici calano: la decostruzione del proprio ego. Arrivati ai quarant'anni o ai cinquanta, dopo aver perso tempo prezioso ad inseguire qualcosa che forse neanche c'è, ci rendiamo conto che il monumento eretto in nostro onore dalle tante volpi che, come nella favola di Esopo, ci dicevano che avevamo una bella voce affinché facessimo cadere il formaggio che avevamo in bocca, si logora, sovrappopolato da piccioni con grossi problemi intestinali. L'invecchiamento ci deteriora e capiamo che quella cosa che noi chiamavamo amore, altro non era che "l'attesa di una gioia che quando arriva annoia".
Questo sentimento, visto dagli occhi di un aspirante contadino, che vorrebbe ricomprarsi il terreno del nonno e che nel frattempo si esercita con l'orticello di casa sua, è seminare senza attendersi che la pianta e il frutto corrispondano con l'oggetto dei propri sogni e soprattutto accettando il rischio che il seme non prenda, come, a volte può capitare, o che i frutti arrivino dopo molto più tempo di quello atteso.
Amare significa, sostanzialmente e paradossalmente, l'esatto opposto di ciò che si legge e si vede in giro. Non è un castello incantato ove ci si sente forti e sicuri ma è una strada sterrata ove ci si scopre totalmente vulnerabili, ma a casa propria, anche se magari si vive sotto un ponte, al fianco di quella persona in grado di sopportare le nostre debolezze e alla quale carezziamo la mano - non importa se sia quella della nostra donna, di un nostro parente o di un amico - pur sapendo che è facilissimo perderla e non per le tentazioni della vita ma per gli agguati della sorte. E sentirci, per effetto di questo, prossimi alla solitudine ma grati di tanta bellezza. Perché la vera perdita avviene proprio quando amiamo ciò che perdiamo più di noi stessi e il vero amore è quello che ci tiene vivi anche quando una malattia o un incidente ce lo porta via. Ed essere, tuttavia, grati, alla vita, per averlo avuto. Perché si può essere soli in uno stadio ed essere in compagnia nel deserto. Tutti coloro che abbiamo amato e che ci hanno amato, li portiamo dentro noi anche se non ci sono più. E con loro non siamo mai davvero soli.
Amare è annullare il proprio ego, rendendolo funzionale alla felicità dell'oggetto del proprio amore, proprio come quel Cristo che, sulla Croce, nonostante venisse riempito di sputi da quell'umanità che ha guarito attraverso tanti miracoli fino a quello definitivo della Resurrezione, non fece nulla per salvare se stesso ma conservò intatta la funzione per cui fu mandato sulla Terra: salvare l'umanità dalla morte. Amare è incrociare qualcuno che abbia la medesima concezione dell'amore, sempre tenendo presente che, quando la troviamo, tutto può svaporarsi nel giro di poche ore, quelle di un sogno bellissimo dal quale ci si risveglia, ripiombando nelle miserie del reale, ben coscienti tuttavia che, finché quella dimensione onirica decora la nostra esistenza, bisogna lottare per difenderla, ed anche che, spesso, le delusioni le riceviamo proprio da chi si presenta spacciando una somiglianza con questo ideale, come il fungo velenoso che, ad un occhio poco attento, si presenta molto simile ad un semplice prataiolo. Tutto il resto è solo il nutrimento di un ego mortale, al servizio di una vanagloria che verrà presto smentita dalla durezza del nostro cammino.
L'amore non ha niente a che fare con l'idolatria di se stessi ma col sacrificio che Gesù, sulla croce, compie per un'umanità che non lo meriterebbe ma che forse, proprio per questo, decide di compiere.
Cos'è davvero l'amore? Quando si vuole davvero tentare l'ardua impresa di dare una definizione esplicativa che faccia chiarezza, nell'oceano della retorica, circa questo ed altri temi, la prima cosa da fare è spogliarli di tutte le sovrastrutture che ricoprono la visione dell'umanità in generale.
La prima sovrastruttura è che gli esseri umani siano o sinceri o bugiardi. In realtà, nessuna di tutte e due. Si dividono, invece, in coscienti di sé e incoscienti. Tanto il sincero quanto il bugiardo consapevoli di sé sono rarissimi. Per il solito, in tanti vivono in un perenne iato tra ciò che credono - anche sinceramente - di essere e ciò che sono. Su questo presupposto, molti dicono con convinzione di desiderare l'amore quando tutto ciò che vogliono è la forsennata ricerca di un benessere psicofisico che può tanto concretarsi in un consistente aumento della propria autostima - cioè stare con qualcuno solo perché, dicendoci quest'ultimo che siamo belli dentro e fuori, ci fa sentire meglio - tanto sfociare in benefici economici e patrimoniali, sistemandosi con chi è molto più abbiente di noi, tanto ridursi al puro e selvaggio piacere di farsi una scopata con un corpo molto eccitante.
Ad essere a favore di una tesi così materialista c'è il fatto che sopravviviamo grazie alla riproduzione. E dunque, tanto il maschio ha l'esigenza di spargere i propri geni e dunque sceglierà compagne che considererà adatte a generare prole, tanto la femmina vorrà un compagno che abbia quei requisiti di forza ed intelligenza tali da far sì che il bimbo - o in qualche caso i bimbi - che porterà in grembo, sia forte come il padre. E poiché abbiamo risorse limitate - e dunque dovremo fare una selezione - inevitabilmente la scelta cadrà sul meglio che abbiamo a disposizione.
Una volta che si è chiarito questo, i dolci fiumi carsici delle letture romantiche si perdono nel salatissimo mare del vissuto. Si sognano corpi e menti che non ci guarderebbero manco di striscio e alla fine ci si mette con qualcuno soltanto perché rappresenta il "meno peggio". E questa dinamica influenzerà la coppia anche quando sarà formata. Anche quando vediamo coppie apparentemente felici, entrambi continueranno ad assumere pose come se fossero sempre a caccia. Lei, anche se ormai dice di aver trovato il compagno con cui sarà felice, continuerà a vestirsi in maniera provocante perché in fondo spera di trovare qualcuno di migliore e lui farà lo splendido nell'attesa di una compagna più appetibile.
Che questi, al netto di alcune sfumature certo non contemplabili in un articolo di giornale che non voglia annoiare il lettore più di quanto già non rischi di fare, siano gli scenari che dominano la maggioranza dei rapporti lo si osserva da una rapida scorsa a tutti i gruppi social e forum sul tema, da sconsigliare a chi abbia un approccio idealistico alle dinamiche umane e casomai vuole una speranza a cui abbarbicarsi. In ogni singolo e fottuto post dove lui o lei si rivolgono ad una platea di sconosciuti per avere suggerimenti, non ce n'è uno ove l'autore chieda, per esempio, "il mio compagno è in difficoltà, come posso aiutarlo?". Si va, così, dalle lamentazioni di lei che denunzia scarse attenzioni di lui, di lui che si lamenta perché lei gli succhia troppo poco il sacro augiello, lei che è arrabbiata perché lui ha perso il lavoro oppure lavora troppo poco e dunque lei non può fare la bella vita di un tempo, e lui che si infastidisce dei troppi peli superflui di lei o della sua maniacale attenzione all'ordine. In un delirio egoistico dove non c'è il minimo spazio per quel romanticismo con cui si riempiono i cinema attraverso commedie sentimentali tanto ben fatte sul piano tecnico quanto poco realistiche. Se poi ci si reca presso le comunità che raccolgono padri separati distrutti da un matrimonio andato a male, ci rendiamo conto di quanto una donna possa essere spietata con un uomo, riducendolo a vivere in macchina e togliendogli ogni contatto con i figli, e un campionario di amenità che sembrerebbero esortare qualsiasi maschio sano di mente a dare le dimissioni da qualsiasi parvenza di socialità intersessuale.
E la paura del tradimento? Niente che abbia a che fare con l'amore per il compagno. Molti hanno paura di essere traditi solo perché vedono nella persona amata che giace con un altro più prestante, più attraente, la certificazione della propria sostituibilità, del proprio scarso valore.
E tuttavia, dopo questo profluvio di considerazioni ciniche o realiste, rimane una domanda: esiste l'amore vero favoleggiato da molti? Quello in cui lui e lei si adorano e si amano fino alla fine dei loro tempi, per cinquanta, sessanta, settant'anni e che ha, come unico evento terribile, quello in cui uno dei due muore e l'altro, vittima della disperazione, lo segue dopo pochi mesi?
Sì, c'è. Ma per arrivarvi, occorre una cosa che, normalmente, subentra ad una certa età quando i furori testosteronici o progesteronici calano: la decostruzione del proprio ego. Arrivati ai quarant'anni o ai cinquanta, dopo aver perso tempo prezioso ad inseguire qualcosa che forse neanche c'è, ci rendiamo conto che il monumento eretto in nostro onore dalle tante volpi che, come nella favola di Esopo, ci dicevano che avevamo una bella voce affinché facessimo cadere il formaggio che avevamo in bocca, si logora, sovrappopolato da piccioni con grossi problemi intestinali. L'invecchiamento ci deteriora e capiamo che quella cosa che noi chiamavamo amore, altro non era che "l'attesa di una gioia che quando arriva annoia".
Questo sentimento, visto dagli occhi di un aspirante contadino, che vorrebbe ricomprarsi il terreno del nonno e che nel frattempo si esercita con l'orticello di casa sua, è seminare senza attendersi che la pianta e il frutto corrispondano con l'oggetto dei propri sogni e soprattutto accettando il rischio che il seme non prenda, come, a volte può capitare, o che i frutti arrivino dopo molto più tempo di quello atteso.
Amare significa, sostanzialmente e paradossalmente, l'esatto opposto di ciò che si legge e si vede in giro. Non è un castello incantato ove ci si sente forti e sicuri ma è una strada sterrata ove ci si scopre totalmente vulnerabili, ma a casa propria, anche se magari si vive sotto un ponte, al fianco di quella persona in grado di sopportare le nostre debolezze e alla quale carezziamo la mano - non importa se sia quella della nostra donna, di un nostro parente o di un amico - pur sapendo che è facilissimo perderla e non per le tentazioni della vita ma per gli agguati della sorte. E sentirci, per effetto di questo, prossimi alla solitudine ma grati di tanta bellezza. Perché la vera perdita avviene proprio quando amiamo ciò che perdiamo più di noi stessi e il vero amore è quello che ci tiene vivi anche quando una malattia o un incidente ce lo porta via. Ed essere, tuttavia, grati, alla vita, per averlo avuto. Perché si può essere soli in uno stadio ed essere in compagnia nel deserto. Tutti coloro che abbiamo amato e che ci hanno amato, li portiamo dentro noi anche se non ci sono più. E con loro non siamo mai davvero soli.
Amare è annullare il proprio ego, rendendolo funzionale alla felicità dell'oggetto del proprio amore, proprio come quel Cristo che, sulla Croce, nonostante venisse riempito di sputi da quell'umanità che ha guarito attraverso tanti miracoli fino a quello definitivo della Resurrezione, non fece nulla per salvare se stesso ma conservò intatta la funzione per cui fu mandato sulla Terra: salvare l'umanità dalla morte. Amare è incrociare qualcuno che abbia la medesima concezione dell'amore, sempre tenendo presente che, quando la troviamo, tutto può svaporarsi nel giro di poche ore, quelle di un sogno bellissimo dal quale ci si risveglia, ripiombando nelle miserie del reale, ben coscienti tuttavia che, finché quella dimensione onirica decora la nostra esistenza, bisogna lottare per difenderla, ed anche che, spesso, le delusioni le riceviamo proprio da chi si presenta spacciando una somiglianza con questo ideale, come il fungo velenoso che, ad un occhio poco attento, si presenta molto simile ad un semplice prataiolo. Tutto il resto è solo il nutrimento di un ego mortale, al servizio di una vanagloria che verrà presto smentita dalla durezza del nostro cammino.
L'amore non ha niente a che fare con l'idolatria di se stessi ma col sacrificio che Gesù, sulla croce, compie per un'umanità che non lo meriterebbe ma che forse, proprio per questo, decide di compiere.
Il resto è solo un business retto sulla moneta inflazionata dell'ego.
Franco Marino
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