Ho aspettato qualche giorno che la canea sulla fiction in questione si sgonfiasse, per vedere questa serie ed analizzarla con un punto di vista scevro sia dalle disonestà antifasciste che dai rigurgiti postfascisti. Ma questo richiede di separare le critiche razionali da quelle sbracate.
Con questa premessa, "Il figlio del secolo" è fatto molto bene sul piano squisitamente tecnico. Luca Marinelli, che interpreta il Duce, è sicuramente uno dei più bravi attori del panorama italiano e gli insulti ricevuti sul disagio che avrebbe confidato nell'interpretare Mussolini vanno viste per le scemenze che sono. Quando Claudio Gioè fece Totò Riina nella famosa biografia de "Il Capo dei Capi", lui stesso affermò quanto la cosa non lo facesse certo stare bene e tuttavia la sua interpretazione fu così fenomenale che ricevette i complimenti dello stesso boss. Tanti artisti di sinistra come Amendola o Zingaretti hanno interpretato un fascista staccandosi dalla propria connotazione ideologica perché non è che un bravo attore deve affiliarsi a Cosa Nostra per essere credibile come mafioso o iscriversi a Casapound o Forza Nuova per vestire i panni di un camerata. Questa è una scemenza.
Ma allora qual è la critica che, di fatto, ci porta a stroncare quest'opera? Che siamo di fronte all'ennesima riproposizione dello schema cowboy contro indiani, buoni contro cattivi, Bene contro il Male, che caratterizza qualsiasi monografia su un personaggio controverso, scritta da un autore che attacca il carro dove vuole il padrone e che non ha, quindi, la freddezza dello storico desideroso di ammantare la propria opera di un vestito veritativo, dunque cosciente di come le dinamiche della politica siano enormemente complesse. L'autore del libro da cui è tratta la serie è Scurati che anche nella vicenda del Donbass si è distinto per una lettura improntata sul becero e macchiettistisco schema di buoni contro cattivi, che dalla fine del fascismo domina il dibattito in tutte le sue dimensioni. Ed è esattamente la ragione per cui da cento anni non si capisce una cippa né di ciò che davvero è avvenuto nel Ventennio né di ciò che accade in quei posti dove, secondo la narrazione ufficiale, "c'è la mafia". Ma perché?
Come ho scritto diverse volte, la pandemia è stata catartica nel mettermi dinnanzi al fatto compiuto di una realtà molto avvilente: il popolo è una merda. Merdosi sono quelli che si sono bevuti tutte le cazzate dei cinegiornali nazisanitari, invocando campi di sterminio per i non vaccinati - etichettati sommariamente come novax - ed esibendo il loro marchio sui social, atteggiandosi a sbirri civici che perseguitavano qualsiasi povero cristo non avesse indossato perbene la mascherina. Ma merdosi sono stati pure tutti quelli che hanno tratto profitto da un finto dissenso composto da narcisi intenti a contarsi i propri follower, per poi spenderli per qualche carriera da tribuni della plebe.
Se il popolo si fosse ribellato in massa, tutto questo non sarebbe accaduto. Anche la tirannia più spietata nulla può fare senza il consenso di una massa di codardi che, pertanto, è complice delle dittature, nella misura in cui le approva e in quella, meno ovvia, in cui non fa niente per contrapporsi concretamente, che non siano post e articoli incendiari. E così come le grandi masse sono state complici dei deliri pandemici, così lo sono di ogni totalitarismo, così lo sono del crimine organizzato. Tutta la letteratura monografica rivolta al Satana del momento esiste per assolvere la plebe dalla sua grettezza, dalla sua complicità, dalla sua connivenza col sistema che dice di voler contrastare, attraverso una sorta di Dynasty ove le persone comuni scompaiono e rimangono i brutti ceffi che incarnano il Male. Immaginate un Grande Fratello, dove i protagonisti invece di essere eliminati dal televoto, si eliminano reciprocamente a colpi di lupara. L'unica serie che azzarda - con una certa onestà intellettuale, nonostante l'impronta marcatamente antidemocristiana - un'analisi sociologica del fenomeno criminale è "Il camorrista" di Joe Marrazzo, nel quale la figura del "Professore 'e vesuviano" appare in tutta la sua crudeltà ma anche seduttività di Masaniello in fondo animato anche da un intento politico che va oltre il desiderio di arricchirsi ed intende, invece, crescere sulla fame dei propri seguaci per poter ricamare il proprio potere. Perché la verità che noi non vogliamo proprio confessare a noi stessi è che l'umanità, salvo un 1% scarso, non va oltre l'orbita visiva del proprio naso, l'estensione del proprio corpo e del proprio conto in banca.
Sicché, un regime non sorge, per caso, in un paese sano e prospero ma quando le masse si percepiscono - per effetto delle proprie convinzioni o della propaganda di chi cerca di rovesciare la classe dirigente dominante - in pericolo. I nazionalsocialismi non si diffusero in una Germania o in un Italia di panciapiena ma in paesi dove il ceto medio e la borghesia si videro aggredite dai nuclei proletari che cercavano di appropriarsi dei loro risparmi e del loro patrimonio. Per i medesimi motivi, quando le condizioni economiche tedesche e italiane iniziarono a peggiorare e, soprattutto, sempre più gente capì che non aveva senso rischiare il sedere per una guerra che, dopo l'ingresso di USA e URSS, tutti avevano capito che avremmo perso, nacquero ovunque resistenze - foraggiate dalle stesse potenze che avevano appoggiato i regimi, che così caddero.
Stesso discorso, Cosa Nostra e camorra, che riempiono i vuoti generati dalle aspettative di chi è incapace di prendersi cura di se stesso e aspetta sempre, al di fuori della propria dimensione individuale, un'entità che lo protegga, col risultato che quando lo Stato, gravato da pretese irrealistiche, non riesce a fare tutti felici e contenti, sul terreno dell'inevitabile insoddisfazione proliferano loschi individui disposti a prenderne il posto. Così anche di fronte alla diatriba fascisti/antifascisti, lo schema è il medesimo: c'è il Cattivo di turno che è sempre e solo cattivo, che non può aver fatto niente di buono, che un bel giorno ha sequestrato un popolo che altrimenti sarebbe stato felice e che ha fatto tutto da solo, con la gente che per vent'anni ha vissuto impaurita e non, invece, come tutti sanno, dato un consenso pressoché totale, dovuto anche al fatto che, comunque, viveva nel benessere, almeno fin quando non è scoppiata la guerra.
E' difficile per tutti ammettere che, in realtà, la gente non ha idee ma solo interessi, e che sarà fedele sempre e solo a coloro che permetteranno loro di soddisfarli senza sforzi. E' proprio questo il nucleo di morte di tutte le monografie sul Male Assoluto di turno. Che non è tanto di concentrarsi sul protagonista ma di ignorare il ruolo della "gente comune", assolvendo il cittadino dai propri peccati di codardia. Una volta indicato nel Nemico Pubblico, il plebeo può tornare a casa propria e digitare dal proprio smartphone la propria indignazione, trovando nella dopamina generata dai like quel "cibo" fondamentale per non dover confrontarsi con la propria mediocrità.
Finché fiction come questa non andranno oltre l'infantile rappresentazione di un cattivo col ghigno feroce, che al mattino, davanti allo specchio, si gratta la testa chiedendosi "chi dobbiamo ammazzare?", noi continueremo a non capire cosa siano i fenomeni che crediamo di combattere. Il tutto mentre si dimenticano le pericolose derive totalitarie di coloro che si definiscono antifascisti. Non so se qualcuno l'ha saputo, ma pare che, a Bressanone, il titolare abbia cacciato dal proprio albergo Alexander Gauland, il leader di Alternative For Deutschland, il partito della destra tedesca. E allora la domanda sorge spontanea: in cosa si distinguerebbe dai totalitarismi chi, violando la legge, caccia qualcuno per le sue opinioni che, controverse o meno, vengono comunque ammesse nell'arco costituzionale di una democrazia?
Se il compito degli intellettuali e dei politici era quello di annullare la destra, il successo di quest'ultima, ad una persona sana e razionale, dovrebbe dimostrare che, forse, viene combattuta nel modo sbagliato.
Con questa premessa, "Il figlio del secolo" è fatto molto bene sul piano squisitamente tecnico. Luca Marinelli, che interpreta il Duce, è sicuramente uno dei più bravi attori del panorama italiano e gli insulti ricevuti sul disagio che avrebbe confidato nell'interpretare Mussolini vanno viste per le scemenze che sono. Quando Claudio Gioè fece Totò Riina nella famosa biografia de "Il Capo dei Capi", lui stesso affermò quanto la cosa non lo facesse certo stare bene e tuttavia la sua interpretazione fu così fenomenale che ricevette i complimenti dello stesso boss. Tanti artisti di sinistra come Amendola o Zingaretti hanno interpretato un fascista staccandosi dalla propria connotazione ideologica perché non è che un bravo attore deve affiliarsi a Cosa Nostra per essere credibile come mafioso o iscriversi a Casapound o Forza Nuova per vestire i panni di un camerata. Questa è una scemenza.
Ma allora qual è la critica che, di fatto, ci porta a stroncare quest'opera? Che siamo di fronte all'ennesima riproposizione dello schema cowboy contro indiani, buoni contro cattivi, Bene contro il Male, che caratterizza qualsiasi monografia su un personaggio controverso, scritta da un autore che attacca il carro dove vuole il padrone e che non ha, quindi, la freddezza dello storico desideroso di ammantare la propria opera di un vestito veritativo, dunque cosciente di come le dinamiche della politica siano enormemente complesse. L'autore del libro da cui è tratta la serie è Scurati che anche nella vicenda del Donbass si è distinto per una lettura improntata sul becero e macchiettistisco schema di buoni contro cattivi, che dalla fine del fascismo domina il dibattito in tutte le sue dimensioni. Ed è esattamente la ragione per cui da cento anni non si capisce una cippa né di ciò che davvero è avvenuto nel Ventennio né di ciò che accade in quei posti dove, secondo la narrazione ufficiale, "c'è la mafia". Ma perché?
Come ho scritto diverse volte, la pandemia è stata catartica nel mettermi dinnanzi al fatto compiuto di una realtà molto avvilente: il popolo è una merda. Merdosi sono quelli che si sono bevuti tutte le cazzate dei cinegiornali nazisanitari, invocando campi di sterminio per i non vaccinati - etichettati sommariamente come novax - ed esibendo il loro marchio sui social, atteggiandosi a sbirri civici che perseguitavano qualsiasi povero cristo non avesse indossato perbene la mascherina. Ma merdosi sono stati pure tutti quelli che hanno tratto profitto da un finto dissenso composto da narcisi intenti a contarsi i propri follower, per poi spenderli per qualche carriera da tribuni della plebe.
Se il popolo si fosse ribellato in massa, tutto questo non sarebbe accaduto. Anche la tirannia più spietata nulla può fare senza il consenso di una massa di codardi che, pertanto, è complice delle dittature, nella misura in cui le approva e in quella, meno ovvia, in cui non fa niente per contrapporsi concretamente, che non siano post e articoli incendiari. E così come le grandi masse sono state complici dei deliri pandemici, così lo sono di ogni totalitarismo, così lo sono del crimine organizzato. Tutta la letteratura monografica rivolta al Satana del momento esiste per assolvere la plebe dalla sua grettezza, dalla sua complicità, dalla sua connivenza col sistema che dice di voler contrastare, attraverso una sorta di Dynasty ove le persone comuni scompaiono e rimangono i brutti ceffi che incarnano il Male. Immaginate un Grande Fratello, dove i protagonisti invece di essere eliminati dal televoto, si eliminano reciprocamente a colpi di lupara. L'unica serie che azzarda - con una certa onestà intellettuale, nonostante l'impronta marcatamente antidemocristiana - un'analisi sociologica del fenomeno criminale è "Il camorrista" di Joe Marrazzo, nel quale la figura del "Professore 'e vesuviano" appare in tutta la sua crudeltà ma anche seduttività di Masaniello in fondo animato anche da un intento politico che va oltre il desiderio di arricchirsi ed intende, invece, crescere sulla fame dei propri seguaci per poter ricamare il proprio potere. Perché la verità che noi non vogliamo proprio confessare a noi stessi è che l'umanità, salvo un 1% scarso, non va oltre l'orbita visiva del proprio naso, l'estensione del proprio corpo e del proprio conto in banca.
Sicché, un regime non sorge, per caso, in un paese sano e prospero ma quando le masse si percepiscono - per effetto delle proprie convinzioni o della propaganda di chi cerca di rovesciare la classe dirigente dominante - in pericolo. I nazionalsocialismi non si diffusero in una Germania o in un Italia di panciapiena ma in paesi dove il ceto medio e la borghesia si videro aggredite dai nuclei proletari che cercavano di appropriarsi dei loro risparmi e del loro patrimonio. Per i medesimi motivi, quando le condizioni economiche tedesche e italiane iniziarono a peggiorare e, soprattutto, sempre più gente capì che non aveva senso rischiare il sedere per una guerra che, dopo l'ingresso di USA e URSS, tutti avevano capito che avremmo perso, nacquero ovunque resistenze - foraggiate dalle stesse potenze che avevano appoggiato i regimi, che così caddero.
Stesso discorso, Cosa Nostra e camorra, che riempiono i vuoti generati dalle aspettative di chi è incapace di prendersi cura di se stesso e aspetta sempre, al di fuori della propria dimensione individuale, un'entità che lo protegga, col risultato che quando lo Stato, gravato da pretese irrealistiche, non riesce a fare tutti felici e contenti, sul terreno dell'inevitabile insoddisfazione proliferano loschi individui disposti a prenderne il posto. Così anche di fronte alla diatriba fascisti/antifascisti, lo schema è il medesimo: c'è il Cattivo di turno che è sempre e solo cattivo, che non può aver fatto niente di buono, che un bel giorno ha sequestrato un popolo che altrimenti sarebbe stato felice e che ha fatto tutto da solo, con la gente che per vent'anni ha vissuto impaurita e non, invece, come tutti sanno, dato un consenso pressoché totale, dovuto anche al fatto che, comunque, viveva nel benessere, almeno fin quando non è scoppiata la guerra.
E' difficile per tutti ammettere che, in realtà, la gente non ha idee ma solo interessi, e che sarà fedele sempre e solo a coloro che permetteranno loro di soddisfarli senza sforzi. E' proprio questo il nucleo di morte di tutte le monografie sul Male Assoluto di turno. Che non è tanto di concentrarsi sul protagonista ma di ignorare il ruolo della "gente comune", assolvendo il cittadino dai propri peccati di codardia. Una volta indicato nel Nemico Pubblico, il plebeo può tornare a casa propria e digitare dal proprio smartphone la propria indignazione, trovando nella dopamina generata dai like quel "cibo" fondamentale per non dover confrontarsi con la propria mediocrità.
Finché fiction come questa non andranno oltre l'infantile rappresentazione di un cattivo col ghigno feroce, che al mattino, davanti allo specchio, si gratta la testa chiedendosi "chi dobbiamo ammazzare?", noi continueremo a non capire cosa siano i fenomeni che crediamo di combattere. Il tutto mentre si dimenticano le pericolose derive totalitarie di coloro che si definiscono antifascisti. Non so se qualcuno l'ha saputo, ma pare che, a Bressanone, il titolare abbia cacciato dal proprio albergo Alexander Gauland, il leader di Alternative For Deutschland, il partito della destra tedesca. E allora la domanda sorge spontanea: in cosa si distinguerebbe dai totalitarismi chi, violando la legge, caccia qualcuno per le sue opinioni che, controverse o meno, vengono comunque ammesse nell'arco costituzionale di una democrazia?
Se il compito degli intellettuali e dei politici era quello di annullare la destra, il successo di quest'ultima, ad una persona sana e razionale, dovrebbe dimostrare che, forse, viene combattuta nel modo sbagliato.
Franco Marino
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