Paolo Villaggio raccontava divertito che, quando lo fermavano per la strada, gli dicevano che in Fantozzi rivedevano un proprio collega ma nessuno ammetteva mai di essere egli stesso Fantozzi. Flaubert, invece, ebbe l'onestà - abituato com'era a narrare in terza persona - di dire che Madame Bovary, la dolente protagonista di una storia che la vede rovinata dal proprio romanticismo, "c'est moi", cioè Flaubert stesso.
Non tutti hanno l'onestà di ammettere di rappresentare un modello che criticano. E nel mio piccolo, senza ovviamente essere Flaubert, alle volte quasi mi vergogno di tenere da oltre vent'anni uno spazio giornaliero dal quale intrattenere i miei lettori e accorgermi del fatto che per quasi nessuno dei temi di cui parlo, posseggo i titoli per dare un parere autorevole. Mi chiedo spesso chi sono per avere la pretesa di avere qualcosa da dire e che qualcuno riesca persino ad ascoltarmi. E quasi rido di me stesso, l'inutile e irrilevante signor nessuno che abita in un quartiere popolare alla periferia orientale di Napoli che parla dei massimi sistemi come se fosse un incrocio tra Montanelli e Scalfari.
Ma quando la sindrome dell'impostore e la vergogna stanno per sopraffarmi, mi consola la consapevolezza che questa enorme vampata di narcisismo ha avviluppato il 99% degli esseri viventi con una connessione ad Internet e dunque perdono me stesso, potendo confessare che "Chiara Ferragni c'est moi" con la serenità di chi ben sa che "Chiara Ferragni c'est nous", siamo tutti noi. Con questa confessione non si vuole soltanto apparire con le mani pulite di fronte al lettore quando si tratta un determinato tema ma anche offrire una visione ravvicinata di qualcosa che non riguarda soltanto i grandi influencer ma anche il comune mortale che in questi anni, in un modo o nell'altro, abbia intrattenuto il dibattito pubblico e al quale anch'io ho dato e sto dando il mio contributo, fermo restando che almeno qualcosa di non malvagio credo di averlo dato, soprattutto gratis. E provare a far luce non tanto sul perché del successo - e anche della caduta - di questa influencer, quanto di come la sua parabola in realtà rappresenti tutti noi.

I social esistono perché chi li ha fondati ha capito che l'essere umano ha bisogno di sentirsi apprezzato. I like sono la criptovaluta con la quale giornalmente pettiniamo la nostra vanità, nei punti dove crediamo di essere maggiormente apprezzati. Chi è stato baciato da Madre Natura di un bell'aspetto, pubblicherà le sue foto a torso nudo, cattivandosi i belluini desideri della fauna del sesso opposto e talvolta dello stesso sesso. Chi, come il sottoscritto, scrive magari non benissimo ma comunque in maniera sufficiente ad indurre il pensiero in chi mi legge di aver perlomeno superato la prima elementare, scriverà il proprio punto di vista. Chi ha una vena comica, la metterà in mostra attraverso battute. Ognuno di noi frequenta Facebook, Twitter, Youtube, Instagram, TikTok, Telegram, perché sente il bisogno di vendersi per avere qualcosa in cambio, che siano soldi o "mi piace". Ed esattamente come "i soldi chiamano altri soldi", il successo chiama altro successo, in un meccanismo del tutto analogo allo schema Ponzi che ha successo proprio perché ormai gli investitori sono così tanti che quando qualcuno decide di prelevare i propri fondi, il creatore della truffa può comunque pagarlo con i soldi di altri ignari investitori, fino a quando non accade l'evento che determina il fuggi fuggi, sotto forma di un pandoro spacciato per pegno di beneficenza.
L'ambito per il quale Chiara Ferragni è diventata famosa lo conosco pochissimo. Non saprei dire, per esempio, in cosa, nei momenti di grande spolvero della sua immagine, fosse brava ad "influenzare". Quel che so è che non fa niente di diverso da quello che fanno, in piccola scala, la quasi totalità dei frequentatori dei social. Ed è dunque stucchevole sia porsi con aria superba e sprezzante nei confronti di una figura che ha avuto semplicemente la bravura di monetizzare il proprio narcisismo per poi, come succede sempre quando non si possiede una profonda cultura, esagerare, incorrendo nella hybris, nell'eccesso che irrita gli dei, attraverso l'errore, magari anche banale, ma che lo azzoppa per sempre, sia pretendere di inserirsi in una diatriba coniugale della quale non sappiamo nulla, se non pettegolezzi di amici vicini alla coppia, di giornalisti interessati non a portare pace ma soltanto ottenerne un ritorno di immagine, interpretando ora la parte del retroscenista che sa tutto, ora quella della moralista dai buoni sentimenti.
La sua parabola non può spiegarsi se non confessando a noi stessi, comuni mortali, quanta esibizione c'è quando ammanniamo giornalmente, all'occhio di una platea animata dal medesimo fuoco, lo spettacolo di una vita inesistente; se non ricordando che quelli che noi chiamiamo "social", sottintendendo chissà quale vocazione comunitarista da parte di chi li ha fondati, non sono altro che un mercato ove ogni dì, consci della cosa o no, abbiamo l'ossessione di vendere noi stessi. C'è chi, pur di avere un apprezzamento in più, dice cose che non pensa, tarocca foto che non svelano i propri difetti estetici, inventa storie che non ha vissuto e addirittura chi, abbandonando ogni cautela, espone i propri figli all'occhio indagatorio di tutti gli abitanti del globo terracqueo senza lontanamente porsi il problema di come questi, se avessero la coscienza di realizzare la cosa, potrebbero reagire, frattanto divenuti grandi, nello scoprire di essere stati usati come mezzo per vendere meglio. Per non parlare dei tanti - troppi - che usano i social per sfogarsi contro l'ex di turno. In cosa, costoro, sarebbero migliori della Ferragni o di Fedez? Solo nel fatto di non aver avuto l'occasione che fa l'uomo ladro e di fare soldi sulla propria vita.

La Ferragni ha soltanto, come tantissimi altri influencer, tratto enormi profitti da qualcosa che il comune mortale fa quotidianamente, senza avere la malizia di accompagnare alla divulgazione - più o meno corrispondente al vero - della propria vita, un prodotto da vendere in cambio di soldi.
Criticarla non ha il minimo senso se prima, attraverso un onesto esame di coscienza, non realizziamo che Chiara Ferragni siamo tutti noi. Che tutti noi ci vendiamo per quel che non siamo, per conquistare un posto al sole che non meritiamo. L'unica cosa che cambia è che la proporzione infinitesimale del nostro nulla ci preserva dalla prospettiva che qualcuno compri un pandoro sovrapprezzo solo perché c'è il nostro volto. Altrimenti, statene certi, di casi come quello del pandoro Balocco ce ne sarebbero milioni.
Perché Chiara Ferragni c'est nous. E la disonestà di non ammetterlo dice soltanto che, al posto suo, avremmo fatto truffe ben peggiori della sua.
E se c'è qualcuno che non si riconosce e dice "parle pour toi, je ne suis pas", me ne compiaccio sinceramente per lui.


Franco Marino


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Comments

Mah… condivisibile in parte
Ho sempre seguito pochissimo la Ferragni e mi ha sempre stupita il suo successo e le numerosissime ragazze che la prendevano come esempio
L’ho sempre definita la Wanna Marchi del presente… una semplice truffatrice abilissima nel marketing e i canali di comunicazione favorevoli rispetto a 30 anni fa
Ho peccato di presunzione molto spesso sui social… “ le cose sono come dico io e tu non le hai capite e questo tuo non capire danneggia me”
Ho straparlato , ho esagerato ma non ho mai venduto fumo
È’un mezzo di comunicazione che ho conosciuto tardi e l’ho utilizzato come una sorta di diario segreto… delle mie riflessioni, dei miei stadi d’animo, dei miei sfoghi
Da piccola non ho mai avuto un diario … pensa te
E’una cosa che ho sempre odiato
Vogliamo metterci in mostra? Non sempre
A volte non se ne sente la necessità
Vogliamo consenso? Sì se per questo si intende scambiare due sane opinioni con gente che ha il tuo stesso punto di vista
La Ferragni è uno dei tanti prodotti che hanno una fine
C’è chi lo aveva capito molto tempo prima
 
La Ferragni è stata elevata e poi scaricata, credo poco al narcismo e alla “fortuna”del saperci fare ,ora come una comune mortale paga un qualcosa che “deve” a qualcuno.
 
Io questo caso la fortuna non c’è stata… e’nata in un epoca molto favorevole dal punto di vista della velocità della comunicazione… avviata dalla madre che era direttrice di Una famosissima casa di moda
Quando sin da piccola il tuo ambiente è un po’ quello e i colleghi di tua madre sono grandi stilisti il gioco è fatto
Se di fortuna si vuole parlare e’esclusivamente questa
Poche capacità di saper gestire completamente tutto … infatti la situazione le è sfuggita di mano
Ma ha ragione Franco … c’è stato un momento in cui tutte volevano essere lei … io no
Non lo dico per fare bella figura, giuro, non me ne frega niente
Quello che voglio dire che ho sempre ragionato così e ho sempre benedetto l’anonimato
Concludo dicendo che non c’è niente di male ad avere dei miti oppure sognare un grandissimo successo
Semplicemente non mi è mai interessato
Ho sempre amato una vita normale… la tranquillità E’una conquista da non sottovalutare
E probabilmente ragiono male io … Amen
Grazie a Dio ognuno vive come desidera
 
Anche io sono daccordo con Giorgia, ti dirò di più ho smesso di comprare Pantene da quando lei ha fatto la testimonial, idem per il pandoro. Non sopporto sia lei che Fedez
 
Io ho smesso di comprare lo shampoo da quando ho conosciuto uno dei principali ingegneri chimici della P@G😂😂
Uso altri prodotti non famosi grazie ai loro suggerimenti
Pensa che io gli ho suggerito cosa migliorare anche di altri prodotti 😎
Mi hanno risposto che le mie osservazioni le avevano notate😏
 
Ho avuto la fortuna di nascere, crescere, lavorare in un periodo quando i social non esistevano. Nella mia attività non puntavo ai "like" ma al successo nel lavoro e, di conseguenza, ai soldi che guadagnavo con le mie capacità. I giornali di settore parlavano di me. Li ho raccolti, catalogati ed ogni tanto me li guardo. Forse, un giorno i miei figli, i miei nipoti o bisnopoti li guarderanno. Sono la testimonianza che sono esistita. Ciò che ho fatto é esistito. I "like" scompaiono e così chi si é dato tanto da fare per averli non ne ha memoria. Non é esistito.
 
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