Da ragazzi crediamo che le persone si dividano in due categorie: quelli che sono quel che dicono di essere e quelli che non sono quel che dicono di essere. Diventando adulti, ci accorgiamo che ne esiste anche una terza: quelli che credono, senza esserlo davvero, di essere quel che dicono di essere e tuttavia, credendoci, riescono a vendere l'inganno di essere tali. Soprattutto, scopriamo che è maggioritaria rispetto alle altre due. Chi vi appartiene, della prima categoria non ha il coraggio e della seconda non ha la lucidità. Per essere se stessi, occorre un coraggio che appartiene a pochissime persone. E per essere coscienti che la propria immagine è una finzione, bisogna perlomeno avere un disegno da compiere che può anche essere nobile. Invece chi fa parte della terza categoria, vive una vita parallela completamente diversa dalla propria essenza e di cui perde la cognizione, facendo credere agli altri cose non vere di sé.
Proprio per questo, non è dalle parole che dobbiamo capire come funziona una persona bensì dalle azioni che la qualificano per quel che è davvero. In tanti, per esempio, si definiscono liberali. Ma, soprattutto in Italia, sono così pochi che la stragrande maggioranza di essi, non appena apre bocca, mostra immediatamente di che pasta è fatta. Non è neanche questione di essere comunisti o meno. Gli italiani sono sempre stati un popolo di dominati, incapaci di pensarsi padroni del proprio destino. Così, il lapsus ricorrente dell'intellettuale di destra è di ricopiare la sinistra nei suoi aspetti deteriori, tra cui l'idea, tipicamente totalitaria, che il cittadino sia un besugo da indottrinare attraverso una sorta di educazione.
Tutto questo ha un nome ben noto: "egemonia culturale". Ma di cosa si tratta?

La persona di buonsenso, tollerante e democratica, sa che la cultura non ha colore politico e che la politica non è altro che la gestione dei rapporti tra gli interessi del cittadino e quelli dello stato. Tanto per cominciare, la sua biblioteca è piena di autori conservatori e progressisti, di artisti considerati vicini alla destra o alla sinistra, così da prendere il meglio degli uni e degli altri. Ed è consapevole che i più grandi intellettuali che questo paese abbia mai avuto, quale che fosse l'orientamento di ciascuno, spesso sono stati ortodossi sul piano ideologico ed eterodossi su quello partitico. Basti pensare tutte le difficoltà che hanno incontrato, chi per un verso e chi per l'altro, gente come Montanelli, Guareschi, Pasolini e altri, per quella caratteristica, tipica di un vero intellettuale, di essere fermi nella difesa dei propri principi e riottosi ai diktat dei partiti considerati più vicini ai loro valori.
Politicamente, il suo approccio alle cose non è distante da quello del condomino che, in base ai problemi del suo palazzo, deve decidere quale linea seguire per votare. Se, per esempio, a fronte delle follie delle norme sulle case green, decidessi di votare a favore degli ecobonus nel mio palazzo, non lo farei certo perché io sia un sostenitore di questa cosa - che, in linea di principio, reputo folle - ma perché il mio interesse mi dice che se non si dovesse approvare il bonus, dovrei sborsare di tasca mia dalle 50 ai 100 mila euro. Che non ho. In questo senso, il mio approccio favorevole agli ecobonus è meramente pratico e per nulla ideologico, perché si tratta del mio interesse personale.
Viceversa, il fanatico sostiene che la cultura debba servire il potere e che, soprattutto, non debba esserci spazio per altre visioni del mondo e che ogni interesse personale vada sacrificato in nome dell'ideologia. Non occorre un genio per rendersi conto che questo modo di vedere sia la quintessenza di una visione tirannica. Non a caso, il principale teorico della "egemonia culturale" fu Gramsci che teorizzava la necessità, da parte del Partito Comunista - animato da una visione messianica delle vicende umane e dunque destinato a divenire, come poi effettivamente fu, "un partito a metà tra la caserma e la Chiesa" (cit. Montanelli) - di dettare le idee da imporre al popolo, occupando tutti i gangli della società civile, scuole, università, uffici pubblici, cinema, teatro. Di conseguenza, una destra che intende opporsi a questa visione, dovrebbe distruggere il principio di egemonizzare la società, così che la cultura non abbandoni la politica - perché questo è impossibile - ma le logiche dei partiti e dunque quelle della propaganda. Per esempio, io da una destra liberale mi aspetto non che colonizzi i media, quindi comportandosi come la sinistra, ma che incentivi l'autoproduzione, l'editoria fai da te, la libera iniziativa e che dunque abbandoni le logiche mafiose tipiche del progressismo.
In questo senso, oggi, una vera cultura liberale in Italia non c'è. Come si esce dalla dimensione lobbistica della sinistra, si entra in quella chiusa e settaria della destra, per cui noi abbiamo da una parte il progressismo che ha raggiunto le note vette psichiatriche e dall'altra il cristianfascismo reazionario per cui si stava meglio quando si stava peggio e non c'erano i social, salvo scriverlo sui social stessi, senza nemmeno rendersi conto della ridicola dissonanza cognitiva di fare i nostalgici sul simbolo per eccellenza della postmodernità. Qualche giorno fa, ho litigato con un mio contatto storico, una suora spogliata del dissenso, che ad un certo punto si è messa a parlare di emergenza abitativa come una zecca di sinistra qualsiasi. E io ho, così, avuto l'ennesima conferma del perché il dissenso è destinato a restare, in eterno, residuale. Perché l'infezione statalistica contagia anche chi, in teoria, dovrebbe comprenderne la pericolosità, a maggior ragione se è stata una paladina della lotta al green pass e all'obbligo vaccinale.

Il salto che bisognerebbe aspettarsi dalla destra è composto da cose che nessuno farà mai: abolire, per esempio, l'Ordine dei Giornalisti, il finanziamento all'editoria, soprattutto quella cartacea - che ormai sta in piedi soltanto grazie ai contributi statali - si dovrebbe privatizzare la RAI (affidandola ad un imprenditore italiano, non a Murdoch) e, in generale, fissare il principio che stai in piedi se sei in grado di piacere alla gente, sennò chiudi e basta. In sintesi, invece di cianciare di "egemonia culturale della destra", bisognerebbe abolire proprio il concetto stesso di egemonia culturale, capendo che per il semplice fatto di essere stato teorizzato da Gramsci, cioè da uno dei fondatori di un partito satellite di quell'incubo totalitario che fu l'URSS, dovrebbe scomparire non dico dal vocabolario ma addirittura dalla mente di chiunque. Ma occorrerebbe un popolo antropologicamente diverso dal nostro, capace di comprendere che l'altra faccia della libertà è proprio il senso di responsabilità. Ma a questa maturità, noi italiani non siamo ancora arrivati.


Franco Marino


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