Gianni non è morto oggi ma una decina di giorni fa.
Ho aspettato qualche giorno prima di scrivere una riflessione perché, oltre alla mazzata ricevuta quando ho saputo della sua scomparsa, non ero riuscito ad elaborare uno scritto che rendesse giustizia sia alla sua persona che alla sua importanza per me, sia che confortasse la moglie Alida, tributandogli dunque il giusto omaggio a quello che, prima ancora di essere il riferimento principale di tutti coloro che lo hanno letto, è stato suo marito, l'uomo della sua vita.
Non avevo coccodrilli pronti sulla sua morte. Il coccodrillo, come si sa, è un pezzo scritto in anticipo per la morte di un personaggio pubblico, con cui non si condivide la propria affettività ed interiorità ma che serve unicamente a definire il nostro giudizio sulle sue parole ed opere. L'articolo sulla scomparsa di Berlusconi, per esempio, lo avevo già scritto mesi prima, quando era chiaro che il trapasso sarebbe stato questione di poco. Per Gianni, invece, benché sapessi già da tempo che non stava bene e nonostante il ragguardevole traguardo anagrafico raggiunto, non mi ero preparato niente. Quando si vuol bene a qualcuno, si spera sempre che se la cavi, anche se, razionalmente, si sa che è rimasto poco. Non siamo mai preparati ad accettare che quelli a cui teniamo, se ne vadano.

Fatta questa premessa, chi era Gianni Pardo?
Ho, spesso, pensato che lui fosse, sia per le idee liberali che per il suo atlantismo, l'erede di Montanelli e che fosse, per la blogsfera, ciò che Indro fu per il giornalismo. In sintesi, era un blogger. Ma ciò significherebbe non onorarlo adeguatamente. Perché la verità è che, oltre alle differenze temperamentali tra i due che di fatto annacquerebbero qualsiasi accostamento, Gianni non ha maestri né lascia eredi. Ed è questa la cifra della sua grandezza.
Certamente, chiunque lo frequentasse, sapeva come i suoi due maestri fossero sia il vecchio Indro che Augusto Guerriero, detto Ricciardetto. Ma del primo non aveva né il narcisismo e il temperamento fegatoso tipicamente toscano né la doppiezza di un uomo che, muovendosi nella palude della politica italiana, ad un certo momento fu costretto a dover prendere posizioni antitetiche rispetto alla sua storia personale. E dell'altro non aveva l'asciuttezza stilistica irpina. Era, anzi, il più plastico rappresentate della sua sicilianità: un'apparenza cordiale e gentile e una sostanza diffidente, selettiva, riservata, propensa a cercare non le luci della ribalta ma le oscurità di un mondo, il proprio, nel quale l'accesso era consentito a pochi eletti. D'altra parte, non bisogna copiare nessuno ma avere un proprio stile, quale che sia. Ci sarà sempre chi ci amerà alla follia. È il proprio format a renderci unici e lui era unico. E me ne accorsi sin dal primo momento che lo lessi. Era più o meno il 2003 quando, durante il governo Berlusconi, di cui sono stato un sostenitore perlomeno fin quando il Cavaliere dava l'idea di rappresentare i valori in cui credevo, nel marasma di tutto l'acido antiberlusconismo che dominava l'etere tradizionale ma anche postmoderno, andavo alla ricerca di intellettuali berlusconiani ma credibili. La guerra civile fredda in nome di Silvio vedeva da un lato una corte di lacchè che ne hanno vampirizzato lo straordinario patrimonio energetico, danaroso e politico e dall'altro un luridume antiberlusconiano che non odorava di bucato ma di invidia sociale e di moralismo.
Viceversa, il berlusconismo di Gianni era intelligente e lucido. Non lo sosteneva col fanatismo del fedele che, adorante, portava la pantofola al padrone quanto, semmai, con la convinzione che, della cappa mafiosa che ha sempre soffocato ogni personale iniziativa, Berlusconi fosse una vittima o al massimo uno che si ribella ad un'aggressione politica e giudiziaria e che per quanto il personaggio si portasse appresso parecchi scheletri nell'armadio, questi si facessero preferire alle mutrie moralistiche e sussiegose degli avversari.

Naturalmente, le diatribe su Sua Emittenza occupavano a voler essere generosi, l'1% della sua immensa produzione ma le cito perché fu proprio questo suo schierarsi con onestà, mai per partigianeria, ad avermi convinto che da Gianni potesse arrivarmi acqua sempre pulita, anche quando accadeva che il sapore risultasse sgradevole, specialmente su alcuni temi come la geopolitica o come il covid, dove le nostre posizioni differivano radicalmente. Nove volte su dieci leggevo avidamente i suoi articoli ed ero d'accordo. Ci univa la nostra comune appartenenza liberale e libertaria. Ma ci sono state anche aspre ancorché civili frizioni. Si farebbe torto alla sua figura se a Gianni riservassimo melasse celebrative che, poco avvezzo alle smancerie com'era. Non gli piacerebbero. Non sempre il nostro rapporto è stato rose e fiori e, soprattutto, non sempre certi suoi atteggiamenti mi erano graditi. Forse l'unica cosa che trovavo un po' meno gradevole era l'evidente iato tra una certa falsa modestia - caratteristica che già di per sé tende ad irritarmi - associata alla cortese, ma palese consapevolezza, nelle tenzoni che si verificavano con i suoi interlocutori, di essere ad un gradino molto più alto rispetto alla media. Gianni era una mente superiore, di elegantissime letture, di studi di altissimo livello e, a dispetto di tutti quei post in cui amava presentarsi come un fallito, un incapace, uno che non aveva mai combinato nulla, era perfettamente cosciente del proprio valore. Quando si discuteva con lui da basi diametralmente opposte, non di rado avevo la sensazione, non sempre piacevole e agevole, di avere a che fare col gatto (lui) che giocava col topo (chi non la pensava come lui) in una sorta di maieutica al rovescio, dove, a differenza di Socrate che faceva emergere l'intelligenza dell'interlocutore, di questi con Gianni, senza probabilmente neanche volerlo e comunque sempre con eleganza, semmai ne emergeva l'idiozia. E sempre con quell'humour archetipico del suo stile, sottilissimo, di cui lì per lì non si sentiva la bucatura, ma di cui ci si accorgeva quando il sangue usciva dalla propria pelle. D'altra parte, erano rudezze necessarie nella comunicazione digitale, in cui proliferano indisturbati quegli "odioti" (uno dei tanti neologismi da lui coniati) a cui se si concede il dito, si rischia che prendano tutto il braccio. Nel contempo, però, le sue argomentazioni mi costringevano, giocoforza, a rafforzare le mie. Perché la sua cartesiana forma di pensiero rappresentava una spina ficcata nel fianco di chiunque, di un determinato tema, avesse un punto di vista incrollabile. In questo senso, potremmo paragonare Gianni ad un virus che, intrufolatosi in un pc, a poco a poco distruggeva il suo software, costringendolo a riprogrammarsi.
E comunque non rifiutava mai il confronto. Perché l'altra disgrazia generata dalla fine dei blog e dall'esplosione dei social è la fine della discussione. I micidiali algoritmi hanno trasformato un'umanità che già scrive - e male - molto più di quanto legga, in narcisisti convinti, al decimo "mi piace", di essere ad un passo dal divenire gli eredi di Montanelli o Berlusconi. Viceversa, Gianni detestava Facebook, Twitter e via socialeggiando, dai quali si è sempre tenuto lontano. Forse, proprio per questo, riuscì a mantenersi un abilissimo conversatore che, anche nelle rare circostanze in cui non si era allineati alle sue opinioni, ci costringeva a riflettere. E anche dopo uno scontro, non ti abbandonava mai. Quando capitava che uno dei due esagerasse con i toni - ma, tanto per essere chiari, parliamo comunque sempre di dissidi condotti con estrema civiltà, almeno se paragonata ai pollai dei media moderni e di quelli tradizionali (non ci siamo mai insultati, per dire) - era sempre pronto a scrivermi in privato per sdrammatizzare e fare pace. Questo, nell'era in cui basta una distanza di vedute per rompere amicizie secolari, conta molto di più la salvaguardia di quell'angolo dove risiedono quei sentimenti che convenzionalmente chiamiamo "cuore", del veder confermati i capisaldi della mia weltanschauung.

Infine, sono entrato in contatto col Pardo intimo, che non mostrava a tutti, di cui ebbi contezza quando qualche anno fa, appena superati i quarant'anni, una violenta depressione travolse la mia vita, ebbi l'istinto - non so ancora come e perché - di scrivergli per chiedergli un parere su come avrebbe affrontato una situazione come la mia. Avrebbe potuto rispondermi seccamente o freddamente o addirittura non replicare, come del resto era - e ci mancherebbe - suo pieno diritto. Invece mi riservò una lunga ed affettuosa email nella quale, con l'accoglienza dell'amico e senza mai assumere le pose dell'intellettuale, mi offriva una sua originale angolazione che senz'altro attingeva dal suo razionalismo avulso da ogni speranza in qualsiasi trascendenza - che era poi la struttura di tutta la sua scrittura - ma anche da una partecipazione emotiva che non vedo nemmeno in quei credenti che si sbracciano a parlare di fede senza che nelle loro azioni vi sia alcuna traccia di quell'umanità di cui spesso, in maniera insopportabilmente arbitraria, sostengono di essere i soli depositari. Mi colpirono, in particolare, le parti della sua e-mail dedicate ad Alida, dalle quali non solo si evinceva la dolorosa coscienza che, essendo di diversi anni più anziano, ben presto l'avrebbe dovuta lasciare, ma anche quanto la scelta di donarsi a lei per la vita, non fosse figlia della paura di rimanere da solo - circostanza che caratterizza, ahinoi, molte coppie - bensì di un sincero e profondo amore. Infatti, sempre nella stessa epistola, scrisse "Se non avessi incontrato mia moglie, non sarei per questo stato depresso". Non era una dichiarazione di menefreghismo o di esibita razionalità, ma, al contrario, la meravigliosa descrizione dell'amore, per la sua donna, di un signore che non credeva nel destino e nella volontà di Dio, ma in quel Caso, che poi lo avrebbe portato a conoscere colei con la quale ha condiviso gli ultimi decenni della propria parabola vivente e a decidere di affidarle una vita che non avrebbe mai messo nelle mani del passante.
Una mente libera, lucida, amante dei propri spazi, capace di porre fine al suo primo matrimonio - non svelo nulla di segreto, lui stesso ne ha parlato più volte - con tutto ciò che ne consegue, non decide di legarsi a qualcuno, di riprovarci, se non ne è profondamente innamorato. E, giustappunto, l'altra grande massima che il buon Gianni ripeteva sempre era che ad una coppia non si augura di essere felici ma di "farsi buona compagnia".

In questo pragmatismo, in questa sua totale allergia alla vieta retorica e al vuoto e bieco sentimentalismo c'era tutto il Gianni che conosciamo, tutto dell'influenza che ha esercitato in me e nella mia attività di blogger e nelle centinaia se non migliaia di persone che hanno avuto l'onore di conoscerlo, tutto della sua capacità di interpretare le vicende di attualità. Quando consentiamo a qualcuno di influenzarci, gli diamo la parte più importante di noi. Alcuni non sanno approfittarne o, meglio (anzi, peggio) ne approfittano entrando nel nostro cammino e lasciando, quando va bene, il deserto e, quando va molto meno bene, danni da cui si fa seria fatica a riprendersi.
Gianni invece mi ha reso migliore. È stato un maestro di saper scrivere e vivere, di dialettica, senza il quale probabilmente non ci sarebbe nemmeno lo spazio dal quale, da vent'anni, cerco di intrattenere quei lettori che mi onorano delle loro attenzioni e che, dunque, se esiste, è anche un po' "colpa" sua. Con lui se ne va un altro pezzo di un mondo nel quale, detta come va detta, vivo sempre meno piacevolmente.


Franco Marino


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Pochi Uomini sanno riconoscere tanto valore nell'altro.
Mi dispiace per questa tua perdita e ti ringrazio per questo ricordo scritto con tanta ispirazione per un uomo di valore ma di cui pochi avrebbero ritratto professione e personalità con tanto trasporto, riconoscenza e capacità di osservazione minuziosa.
Sei una bella persona, limpida e sensibile e molto intelligente.
 
Ti leggo sempre con grande attenzione e, sopratutto, piacere. Bellissime parole del cui cui ormai sembra smarrito il senso. Del mio mondo ormai si sono smarriti tanti pezzi, non solo un altro. E, seppure tristemente, mi associo nell' accettare quel che del tempo mi resta sempre meno piacevolmente.
 
Franco la vita non è una staffetta, certi incontri,i buoni maestri , le persone che noi stimiamo probabilmente sono avvenuti affinché noi avessimo la giusta direzione… sono stati una guida
Ognuno di noi ha i suoi e niente finisce con lui anche se sicuramente è il momento del dolore e sarà sempre una mancanza
Quello che siamo oggi è ovviamente il frutto di tutto questo e continuerà ad esistere perché ha lasciato traccia
Una meravigliosa traccia
 
Mi spiace tanto, una persona così è un piacere averla incontrata, anche se adesso non c'è più ti rimane davvero tanto di lui, e lo tirerai fuori man mano che ne senti l'esigenza. Di contro lui ha lasciato talmente tanto che non morirà mai.
 

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