Il lettore avrà notato che ho scritto spesso del caso di Filippo Turetta. Le ragioni sono molte. Tanto per cominciare, se ne è parlato talmente tanto che, a momenti, ho avuto la sensazione di ritrovarmi i protagonisti all'uscio di casa. Se ancora oggi i giornali parlano di "primo anniversario della scomparsa di Giulia Cecchettin", manco fosse morta una diva del cinema, capite bene di cosa parliamo. E poi perché, mai come in questa vicenda, si sono scatenate mute rabbiose di venditori di assoluzioni dell'una e dell'altra fazione, tutti protesi a trasformare un banalissimo (beninteso, nella sua tragicità) fatto di cronaca, in una "lotta di classe" tra l'universo maschile e quello femminile, in una costante "prostituzione intellettuale" - per citare Mourinho - che fa letteralmente stomacare chiunque sia ancora in possesso di un apparato digerente performante.
Ma c'è una ragione per la quale - in una rivista che, almeno in teoria, dovrebbe parlare d'altro - tratto spesso questo tema. Da un po' di tempo scorgo, in molte persone, la circolarità e ciclicità di un'irrazionalità che inquina anche l'approccio a tematiche ben più vicine allo spirito di questa pagina e che si riassume nell'incapacità di saper guardare le cose da una prospettiva realistica e di vedere quanti venditori di assoluzioni e di sogni sguazzino su ogni tema.

Turetta, sia detto sin dal principio, è un assassino. In quanto tale, per quello che ha fatto, merita di passare il resto della sua vita in prigione. Ma è anche una vittima. Di se stesso - perché questa è la fine che fa un uomo che non impara a dominare i suoi istinti - e di un tempo e di uno spazio che gli hanno fatto credere tutta una serie di cose che non sono mai state vere, neanche nel tempo della post-verità polisessuale e delle "magnifiche sorti e progressive". Prima tra tutte, che siamo tutti potenzialmente unici, speciali, meravigliosi, intelligentissimi, bellissimi e che abbiamo tutti quanti diritto alla donna più bella dell'universo che però, non si sa perché, si dovrebbe accontentare di noi e diventare la dependance della nostra famiglia d'origine, ignorando le differenze biologiche tra i due contesti.
L'idea che siamo tutti speciali, che tutti possiamo farcela, che basti essere affamati e folli, per dirla con la buonanima di Steve Jobs, che c'è un'unicità in ciascuno di noi, pronta ad essere servita da un principe o una principessa che sembrano vivere soltanto per noi - da ammazzare se poi scopriamo che hanno una propria individualità da soddisfare - è figlia di un certo spiritualismo sincretista di marca americana. Nella realtà, l'individuo razionale sa che, nella quasi totalità dei casi, è mediocre sia dentro che fuori. Si pone continuamente dubbi sul fatto di meritare quelle poche cose buone che gli capitano ed è così stupito quando gli arriva una botta di fortuna, che la prende e la rinchiude in una cassaforte e se la gode finché può, perché tanto, tranne rarissimi casi, non dura a lungo. Sa benissimo che non deve attendersi nulla dal prossimo, salvo la personale cortesia di quest'ultimo, sa che quando ha bisogno di una mano, la trova solo in fondo al proprio braccio.
Quello che ha vissuto Turetta, l'acre sensazione di essere divenuto l'impiccio e non più la gioia della vita di una persona, lo proviamo talmente tante volte nella vita che se non fossimo capaci di razionalizzarlo, praticamente sarebbe già scoppiata una guerra civile tra maschi e femmine. Invece, la persona risolta con se stessa, ben presto scopre che può vivere anche senza essere idolatrata da un'altra persona o dagli altri in generale. Essere scartati dal prossimo non è una cosa così grave, anzi è la norma ed è ben poca cosa rispetto ai drammi che la vita ci pone davanti. Tanto che Woody Allen ha potuto ironizzare saporitamente dicendo che le parole più belle che uno possa desiderare di sentire non sono più "ti amo", ma "Non si preoccupi, è benigno".
Questa scuola di realismo è terribile, è durissima. Ma ci salva in tutte le circostanze in cui il Male ci colpisce duramente. Quando veniamo rifiutati, allontanati, cacciati da qualcuno, non dobbiamo accusare "il mondo femminile" di essere troppo emancipato, "il mondo del lavoro" di essere troppo spietato. Bisogna semplicemente rialzarsi, salire sul ring e riprendere a combattere. Senza aspettarsi la Bella che scovi in noi Bestie una bellezza che non esiste o il Principe Azzurro che ci salvi da un avvenire da guattere nei fondaci dell'esistenza.
Poi tutto questo - e torniamo al motivo per cui ho sentito di scrivere qualcos'altro su Turetta - si applica anche a temi ben più complicati come la politica internazionale, per esempio. Un luogo dove non ci sono guarentigie, diritti reali - che vadano oltre la propaganda woke - ma soltanto rapporti di forza e dove il pesce più grande divora quello più piccolo, lasciando soltanto le lische e talvolta manco quelle. E invece anche lì i nostri favolisti, venditori di assoluzioni (putiniani, antiputiniani, trumpiani, gretiani, harrisiani, grillini) sperano in un irenico pianeta dove non esistono conflitti, dove ci si può allegramente disarmare, dove miliardi di persone possano consumare a sbafo risorse non rinnovabili, contando sempre su un debito rinnovabile.

Se Turetta avesse avuto me come padre - vent'anni di differenza di età ci possono stare - avrei passato tutto il tempo a catechizzarlo su queste cose, non lo avrei illuso di essere un ragazzo speciale come, invece, va di moda oggi dire anche al più brutto e antipatico degli sgorbi, gli avrei detto che alla morte mia e della madre sarebbe rimasto completamente solo, che una donna non è un sostitutivo della madre ma semplicemente una compagna che lo sceglie dopo averne scartati in quantitativo direttamente proporzionale al proprio valore e comunque, sempre in mancanza di meglio. Non gli avrei dipinto un mondo dove tutti si vogliono bene ma gli avrei fatto presente che il posto nel cuore della gente è una conquista così ardua che, talvolta, nemmanco vale la pena vivere per costruire il monumento di se stessi, nella beata speranza che, giunti alla cima, molti ci idolatrino. A che serve tutta questa esigenza di voler somigliare a tutti i costi a Dio? Anche osservando come il successo - ed è il motivo per cui molte persone famose alla fine impazziscono - non ci conduca all'amore ma soltanto verso un oceano di cortigiani, pronti a parassitare tutto ciò che abbiamo per poi scaricarci quando le cose vanno male, scopriremo che c'è molta più soddisfazione nel vedere la magia di un'alba e di un tramonto, nel mangiare una tavoletta di cioccolato al mattino, nell'inventarsi nuove ricette per fare un caffè più buono, nel coltivare un progetto ma non con lo spirito di chi vuole rifarsi su un mondo che non ci ha capiti, in una tavolata goliardica tra amici, nel vedere il mare e odorare quei pini che, poco lontano, lo rimirano, insomma nell'essere un Diogene che l'unica lotta che conduce è quella per bastare a se stesso e per, seguendo gli insegnamenti di Epicuro, vivere nascosti, invece che inseguire le paturnie di un'altra persona, soprattutto quando queste poi, lungi dal portarci verso un illusorio psichedelico paradiso dei sensi, alla fine ci consegnano ad una gattabuia dove, stramaledetti dal mondo, veniamo sacrificati come capro espiatorio di una società che ne ha bisogno per mascherare tutti i propri limiti.

A Turetta avrei fatto di tutto per insegnare quel realismo che ha protetto la mia lucidità dalle tante follie idealistiche che il mondo ama raccontare sulle guerre, sulle vicende di attualità, su quelle della politica, al fine di trasformare le persone in militanti di cause che in realtà servono soltanto gli interessi di una delle cosche in campo, in sintesi dai tanti agguati che il Male, nelle sue multiformità, ha sferrato alla mia vita, almeno per ora, per fortuna, perdendo.

Franco Marino


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Comments

Se fossi madre insegnerei ai miei figli come si gestisce un dolore, cercherei di dargli gli strumenti per elaborare un lutto ( la fine di un amore potrebbe essere paragonata ad un lutto perché il dolore è simile) e questo non si dovrebbe mai tradurre nell’’esaltazione di un figlio criminalizzando l’altra parte che ha avuto la “ colpa” di queste lacrime
Nella vita queste cose possono capitare e se non si ha la fortuna di trovare a 20 anni la propria anima gemella comunque si deve andare avanti … c’è tutto un futuro da vivere , ci devono essere sempre sogni da realizzare perché sono questi che ci tengono sostanzialmente in vita.
io ho ragionato così tutta la vita , anzi, soprattutto venticinque anni fa dove bastava un niente per farmi emozionare ma con altrettanta facilità bastava una parola per farmi disamorare
Ovviamente a 45 anni abbiamo una maturità diversa e soprattutto diverse consapevolezze … quei pianti di ragazzina oggi mi fanno sorridere
Ma viva Dio
 
E quando dico consapevolezze diverse mi riferisco ad una diversa maturità che mi fa ridimensionare ogni problema, ogni dolore… si impara con la crescita e ci mancherebbe che non fosse così
Molti adulti non ci riescono e infatti reagiscono come il ragazzo e come ha descritto benissimo Franco si tratta di persone non risolte e che purtroppo per loro pagheranno a vita questa immaturità
Non ci si trasforma in una notte e si diventa assassini … non ci ho mai creduto
 
Io invece ogni giorno che passa continuo a ritenere sempre più plausibile la tesi della non esistenza di Filippo Turetta. Sia chiaro, non ne ho la prova inconfutabile e nemmeno la totale convinzione a livello psicologico, ma sono tanti gli indizi che mi portano a considerare questa possibilità, rendendomela ogni giorno più probabile. Quando avvengono simili omicidi la vita dell'assassino e della vittima vengono scandagliate in ogni minimo dettaglio, con interviste a parenti, amici e conoscenti, accompagnate da un mare magnum di video e immagini. Nessuno invece pare conoscere Filippo Turetta, nemmeno i vicini di casa. Le rare immagini, sempre le stesse, raffigurano soggetti palesemente diversi tra loro. Nei giornali è stato scritto che Turetta giocava a pallavolo nella Libertas Volley Torreglia ed è stato pure intervistato un dirigente di questa società per chiedergli che ricordo avesse di Filippo. Si tratta di una delle poche volte in cui è stato intervistato qualcuno che conosce Turetta. Nel sito internet della società sportiva sono presenti le rose e le foto dei giocatori di anni passati. Di Turetta però non c'è traccia, eppure secondo quanto scritto nei giornali, al tempo faceva parte di quella squadra. Come mai? Qualcuno me lo spieghi. Aggiungiamo che il caso Turetta è diventato l'archetipo di una presunta "emergenza patriarcato", con tanto di deliranti accuse di responsabilità collettive all'intero genere maschile. Guarda caso il tema del patriarcato é stato trattato anche nel romanzo pubblicato dalla nonna di Giulia Cecchettin poco tempo dopo la morte della nipote. Dubito che lo abbia scritto di getto. Potrei continuare a lungo. Io comunque non voglio convincere nessuno, sono il primo a non avere certezze. Certe domande però meritano risposta e la non esistenza di Turetta a mio parere resta una possibile spiegazione a certe evidenti stranezze e anomalie.
 
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