Uno dei motivi per cui ho lasciato Il Detonatore, il precedente giornale per cui scrivevo, non è - come molti credono - nelle posizioni filoccidentali dei due principali articolisti ma per un certo estremismo, da parte di questi ultimi, nel modo di trattare certe questioni che mi aveva messo in forte difficoltà con i lettori che pure avevo contribuito a portare. Quando uno dei fondatori del progetto dice che bisogna fare un repulisti di tutti i giornalisti e gli influencer politici filorussi, per me si raggiunge un punto di non ritorno.
Per le stesse ragioni, ho spesso litigato con molti filorussi, riconoscendo in un certo eurasiatismo all'amatriciana gli stessi difetti dell'altra fazione, una certa propensione a ricostruire una sorta di "politicamente corretto" di segno opposto e, peggio ancora, una certa simpatia nei confronti di regimi politici che si distinguono da quelli occidentali soltanto per il fatto che mentre le classi politiche atlantiche fanno di tutto per nascondere il proprio volto totalitario, presentandosi per giunta come difensori della libertà, quelle orientali non si nascondono e dicono apertamente che "La democrazia liberale è sbagliata", sottinteso "meglio gli autoritarismi di casa nostra". E no, sono fortemente critico nei confronti dell'Occidente ma non per mettermi al rimorchio delle satrapie orientali.
Così, nel momento in cui ho messo il primo "mattone" su La Grande Italia, la prima cosa di cui mi sono sincerato è che, nella volontà che - pur mettendo al primo posto quella italiana - divenisse un collettivo di dissidenti di ogni bandiera, non degenerasse in una sorta di TeleBiden o TeleTrump, TeleNetanyahu o TeleGaza, TeleZelensky o TelePutin. Tutti i miei collaboratori, compreso il sottoscritto fondatore, hanno posizioni schierate, anche contrapposte, ma dialogano con i lettori, senza voler indottrinarli. Questa è l'unica discriminante per scrivere qui: avere opinioni anche nette ma senza voler imporle.
E' con questo spirito che mi trovo a commentare la vicenda di Ahou Daryaei, la giovane studentessa iraniana che, strattonata dai Basij - che sono gli agenti della cosiddetta polizia religiosa iraniana - perché non indossava correttamente la hijab, si è spogliata quasi del tutto, camminando tra le persone con i capelli sciolti. La cosa peggiore che si può fare è commentare la vicenda prendendo le solite bandierine e dicendo "Io sto con Ahou Daryaei" oppure "Io sto con l'Iran".
Peraltro, il punto della questione è molto semplice. Personalmente, non vivrei mai in un luogo dove si ha così paura dell'esposizione del corpo di una donna da obbligarla a coprirsi. Vedendo cosa diventa una religione quando non incontra i limiti di un potere politico in grado di riportare tutti al sano principio che la fede è una cosa bellissima ma è un fatto personale, in me è saldo il principio che dove c'è una teocrazia, non posso esserci io. E tuttavia - anzi, forse proprio per questo motivo - sono perfettamente cosciente del fatto che questa posizione, del tutto personale, non possa essere imposta ad uno straniero, nel suo territorio.
E' evidentissimo che la ragazza sia stata messa lì da qualcuno per fare casini che poi i soliti agenti dei servizi segreti avrebbero provveduto a registrare a mandare alle redazioni dei vari organismi mediatici. Ma se le regole iraniane sono queste, una che si spoglia davanti a tutti mostra semplicemente di non rispettarle, per lo stesso motivo per cui, se io domani mi mettessi a girare seminudo per le strade di Napoli, verrei arrestato dalle forze dell'ordine. Non potrei certo accampare come scusa il fatto di lottare contro la tirannia di Giorgia Meloni che mi vuole vestito. Potrei fondare un movimento politico che rivendichi il diritto di girare in mutande, ma fino a quando non faccio approvare e promulgare una legge che me lo consenta, se mi mettessi a circolare spogliato, verrei giustamente arrestato.
Non c'è missione civilizzatrice che possa portare i valori della democrazia liberale in posti che hanno già mostrato, a più riprese, di non gradirli. E forse bisognerebbe iniziare a rassegnarsi al fatto che agli afghani, agli iracheni, ai qatarioti e, dunque, in questo caso, agli iraniani e soprattutto alle iraniane piaccia vivere così, senza dunque ammorbare l'opinione pubblica sulla "condizione della donna orientale", casomai mentre quella occidentale viene licenziata perché si permette di volere un figlio. Di donne mediorientali io ne ho conosciute tantissime e non ce n'è una - che non sia uscita da qualche articolessa islamofobica - desiderosa di indossare minigonne ascellari e generosissime scollature. Per costoro, non soltanto i loro costumi sono giusti ma l'Occidente è un luogo di decadenza e corruzione morale. La cosa può dispiacere, possiamo definirle retrograde, io amo guardare una donna prosperosa che metta in mostra le proprie forme, ma chi siamo noi per obbligarli a vivere come noi?
Se le donne iraniane, che tra parentesi sono maggioritarie rispetto agli uomini - e questo spiega, per esempio, la necessità della tanto vituperata poligamia - non vogliono la hijab, non hanno che da coalizzarsi e decidere di scendere in piazza compatte contro le classi dirigenti del proprio paese, magari seminude come la ragazza in questione. Questo, inevitabilmente, porterà un cambiamento di prospettiva da parte del regime che sarà costretto a prenderne atto.
La vera difficoltà dell'opinione pubblica occidentale sta nel non capire che un regime, anche il più spietato e tirannico, non viene instaurato per caso in un posto sano e soprattutto non sta in piedi senza il consenso della gente. Se gli iraniani - che un tempo erano persiani - si sono gettati mani e piedi tra le braccia degli ayatollah, possibile che nessuno si ponga il dubbio che ai tempi dello Scià, dove, a sentire i propagandisti atlantisti, si stava tutti bene e le fanciulle giravano in minigonna, in realtà non si stesse così bene e che proprio questo ha portato il paese tra le braccia di Khomeini?
Adesso c'è un sistema politico diverso, voluto dal popolo iraniano, secondo i cui costumi le donne devono girare con la hijab. Può piacere e può non piacere ma quelle sono le regole di quella cultura. Tentare di violarle, per fini che oltretutto non hanno niente a che fare con la reale volontà di emancipare quel popolo, non fa altro che togliere credibilità alla propria battaglia di civiltà, tanto più se poi si mantengono rapporti privilegiati con la ben più oscurantista Arabia Saudita.
Ma un Occidente sempre più autoritario che tentasse, da fuori, di condizionare la vita pubblica di un paese oltretutto nemico - quindi sempre sospettabile che dietro queste manfrine vi siano interessi economici - verrà sempre visto come un invadente e dunque fastidioso vicino di casa che viene a dettar legge nel nostro appartamento.
Noi occidentali abbiamo già troppe grane da mettere a posto nei nostri confini senza dover andare a sindacare nelle case altrui sulle loro preferenze. Lasciamo che il mondo si accorga della bontà dei nostri valori semplicemente conoscendoci.
Per le stesse ragioni, ho spesso litigato con molti filorussi, riconoscendo in un certo eurasiatismo all'amatriciana gli stessi difetti dell'altra fazione, una certa propensione a ricostruire una sorta di "politicamente corretto" di segno opposto e, peggio ancora, una certa simpatia nei confronti di regimi politici che si distinguono da quelli occidentali soltanto per il fatto che mentre le classi politiche atlantiche fanno di tutto per nascondere il proprio volto totalitario, presentandosi per giunta come difensori della libertà, quelle orientali non si nascondono e dicono apertamente che "La democrazia liberale è sbagliata", sottinteso "meglio gli autoritarismi di casa nostra". E no, sono fortemente critico nei confronti dell'Occidente ma non per mettermi al rimorchio delle satrapie orientali.
Così, nel momento in cui ho messo il primo "mattone" su La Grande Italia, la prima cosa di cui mi sono sincerato è che, nella volontà che - pur mettendo al primo posto quella italiana - divenisse un collettivo di dissidenti di ogni bandiera, non degenerasse in una sorta di TeleBiden o TeleTrump, TeleNetanyahu o TeleGaza, TeleZelensky o TelePutin. Tutti i miei collaboratori, compreso il sottoscritto fondatore, hanno posizioni schierate, anche contrapposte, ma dialogano con i lettori, senza voler indottrinarli. Questa è l'unica discriminante per scrivere qui: avere opinioni anche nette ma senza voler imporle.
E' con questo spirito che mi trovo a commentare la vicenda di Ahou Daryaei, la giovane studentessa iraniana che, strattonata dai Basij - che sono gli agenti della cosiddetta polizia religiosa iraniana - perché non indossava correttamente la hijab, si è spogliata quasi del tutto, camminando tra le persone con i capelli sciolti. La cosa peggiore che si può fare è commentare la vicenda prendendo le solite bandierine e dicendo "Io sto con Ahou Daryaei" oppure "Io sto con l'Iran".
Peraltro, il punto della questione è molto semplice. Personalmente, non vivrei mai in un luogo dove si ha così paura dell'esposizione del corpo di una donna da obbligarla a coprirsi. Vedendo cosa diventa una religione quando non incontra i limiti di un potere politico in grado di riportare tutti al sano principio che la fede è una cosa bellissima ma è un fatto personale, in me è saldo il principio che dove c'è una teocrazia, non posso esserci io. E tuttavia - anzi, forse proprio per questo motivo - sono perfettamente cosciente del fatto che questa posizione, del tutto personale, non possa essere imposta ad uno straniero, nel suo territorio.
E' evidentissimo che la ragazza sia stata messa lì da qualcuno per fare casini che poi i soliti agenti dei servizi segreti avrebbero provveduto a registrare a mandare alle redazioni dei vari organismi mediatici. Ma se le regole iraniane sono queste, una che si spoglia davanti a tutti mostra semplicemente di non rispettarle, per lo stesso motivo per cui, se io domani mi mettessi a girare seminudo per le strade di Napoli, verrei arrestato dalle forze dell'ordine. Non potrei certo accampare come scusa il fatto di lottare contro la tirannia di Giorgia Meloni che mi vuole vestito. Potrei fondare un movimento politico che rivendichi il diritto di girare in mutande, ma fino a quando non faccio approvare e promulgare una legge che me lo consenta, se mi mettessi a circolare spogliato, verrei giustamente arrestato.
Non c'è missione civilizzatrice che possa portare i valori della democrazia liberale in posti che hanno già mostrato, a più riprese, di non gradirli. E forse bisognerebbe iniziare a rassegnarsi al fatto che agli afghani, agli iracheni, ai qatarioti e, dunque, in questo caso, agli iraniani e soprattutto alle iraniane piaccia vivere così, senza dunque ammorbare l'opinione pubblica sulla "condizione della donna orientale", casomai mentre quella occidentale viene licenziata perché si permette di volere un figlio. Di donne mediorientali io ne ho conosciute tantissime e non ce n'è una - che non sia uscita da qualche articolessa islamofobica - desiderosa di indossare minigonne ascellari e generosissime scollature. Per costoro, non soltanto i loro costumi sono giusti ma l'Occidente è un luogo di decadenza e corruzione morale. La cosa può dispiacere, possiamo definirle retrograde, io amo guardare una donna prosperosa che metta in mostra le proprie forme, ma chi siamo noi per obbligarli a vivere come noi?
Se le donne iraniane, che tra parentesi sono maggioritarie rispetto agli uomini - e questo spiega, per esempio, la necessità della tanto vituperata poligamia - non vogliono la hijab, non hanno che da coalizzarsi e decidere di scendere in piazza compatte contro le classi dirigenti del proprio paese, magari seminude come la ragazza in questione. Questo, inevitabilmente, porterà un cambiamento di prospettiva da parte del regime che sarà costretto a prenderne atto.
La vera difficoltà dell'opinione pubblica occidentale sta nel non capire che un regime, anche il più spietato e tirannico, non viene instaurato per caso in un posto sano e soprattutto non sta in piedi senza il consenso della gente. Se gli iraniani - che un tempo erano persiani - si sono gettati mani e piedi tra le braccia degli ayatollah, possibile che nessuno si ponga il dubbio che ai tempi dello Scià, dove, a sentire i propagandisti atlantisti, si stava tutti bene e le fanciulle giravano in minigonna, in realtà non si stesse così bene e che proprio questo ha portato il paese tra le braccia di Khomeini?
Adesso c'è un sistema politico diverso, voluto dal popolo iraniano, secondo i cui costumi le donne devono girare con la hijab. Può piacere e può non piacere ma quelle sono le regole di quella cultura. Tentare di violarle, per fini che oltretutto non hanno niente a che fare con la reale volontà di emancipare quel popolo, non fa altro che togliere credibilità alla propria battaglia di civiltà, tanto più se poi si mantengono rapporti privilegiati con la ben più oscurantista Arabia Saudita.
Ma un Occidente sempre più autoritario che tentasse, da fuori, di condizionare la vita pubblica di un paese oltretutto nemico - quindi sempre sospettabile che dietro queste manfrine vi siano interessi economici - verrà sempre visto come un invadente e dunque fastidioso vicino di casa che viene a dettar legge nel nostro appartamento.
Noi occidentali abbiamo già troppe grane da mettere a posto nei nostri confini senza dover andare a sindacare nelle case altrui sulle loro preferenze. Lasciamo che il mondo si accorga della bontà dei nostri valori semplicemente conoscendoci.
Ma poi, questi valori, saranno davvero così meravigliosi?
Franco Marino
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