Avendo parenti che vivono a San Pietroburgo ma anche a Mosca, ed essendoci stato spesso - e a botte di mesi ciascuna - ho di quel controverso e bellissimo paese che è la Russia un punto di osservazione che ovviamente non mi trasforma automaticamente in un russologo ma almeno mi dà qualche dato per poter parlarne in una maniera diversa da come esso viene descritto dai media, sia quelli favorevoli che quelli contrari.
Ho visto l'epopea comunista - di cui ricordo poco, essendo davvero piccolo - quella di Eltsin nella quale sono stato che ormai ero ampiamente adolescente e infine quella di Putin che ho potuto ammirare quando ero già un giovane adulto e con la quale, grazie proprio ai miei agganci parentali, ho anche avuto una sede della mia attività lavorativa. Ecco, l'ex-URSS, appena uscita da un ottantennio di dittatura proletaria e che pensava che con l'avvento nella mentalità occidentale avrebbe trovato il nirvana, in realtà era un autentico inferno sul piano socioeconomico. Per rendere l'idea di cosa fosse vivere in quei posti - e dunque del perché poi i russi si siano buttati in massa sul putinismo, preferendo le ombre di un ex-agente del KGB rispetto alle psichedeliche luci occidentali - quando uscivamo per le strade di San Pietroburgo, eravamo costretti a girare per strada in gruppi numerosissimi perché in quel periodo in molti venivano rapiti dalla mafia locale e rivenduti come schiavi e, nei casi di quelli più avvenenti, presi di forza e messi a rifornire il mercato della prostituzione, compresa quella gay, il che spiega, per esempio, anche il perché delle numerose leggi russe contro la propaganda LGBT, volute proprio dall'opinione pubblica.
Il russo medio ricorda l'era preputiniana come un incubo. Ecco, delle fiamme infernali che ne avvolgevano un'esistenza carica di depressione, di ansia e di paura del futuro, la colonna sonora ma anche la videografia di quell'incubo erano il progressismo liberal di marca americana che cercava di imporsi nella società russa, nel tentativo di snaturarne l'essenza.
"Questa introduzione che c'entra con gli 883?" si chiederà il lettore. La risposta è semplice: perché può essere utile per capire come mai non soltanto questa band ma, in generale, molti altri fenomeni di costume a cavallo tra la fine degli anni Ottanta ed inizio dei Novanta, sono soggetti al rimpianto e, in generale, ad una rivalutazione. Ma perché?

La prima cosa da dire è che l'Italia è un paese vecchio, con i difetti tipici di quell'età senile in cui si è portati a dipingere i momenti in cui la prestanza fisica e sessuale era alle stelle, come magica, meravigliosa, fantastica. Del resto, quanto la personalizzazione di una fase storica sia un vezzo ricorrente, lo si vede anche leggendo i giornali degli anni Sessanta che rimpiangono gli anni Quaranta - con tutto che piovevano le bombe in capa - che a loro volta, nei loro articoli, celebrano la gaiezza del ventennio prefascista, quando facevano la fame dopo la Grande Guerra. E' però anche vero che gli anni Novanta e Settanta, per esempio - come pure i Cinquanta - non hanno impattato nei ricordi come la parabola che va dal 1960 al 1968 e dal 1983 al 1992. Perché quello è stato per noi italiani sicuramente il momento di maggiore floridità e vitalità. Il lavoro si trovava con estrema facilità, le banche davano credito senza le verifiche psicotiche di oggi dove anche essere stati beccati mentre ci si scaccolava il naso alle medie può allarmare il direttore, le relazioni umane non erano ancora piombate nel degrado odierno e la canzone italiana prima con Mina, Battisti, Gino Paoli e Gianni Morandi con Zucchero, Eros Ramazzotti, i Ricchi e Poveri, Toto Cutugno, dominava le classifiche internazionali. Avevamo il calcio migliore, i più grandi fuoriclasse di tutto il mondo giocavano in Italia e spesso persino in squadre che lottavano per non retrocedere e al culmine della loro carriera e la Nazionale vinse il Mondiale inaspettatamente ma meritatamente, perché avevamo calciatori fantastici.
Si può senz'altro obiettare - e qui su questa rivista ma anche nei miei numerosi scritti prima sul vecchio blog e poi su Facebook, l'ho scritto fino alla noia - che i boom economici del nostro Paese fossero figli più di una speculazione finanziaria sul nostro debito, funzionale a motivazioni geopolitiche, che di un'effettiva ricchezza. Ma se un ciclo storico fortunato ha stimolato i sensi in un certo modo, non si può pretendere che un essere umano che magari vive un brutto quarto d'ora della sua vita non rimembri il suo florido passato con nostalgia.

Ecco, di questa prosperità, gli 883 - assieme ovviamente ad altri complessi - furono una delle colonne sonore. Poi certamente i fini dicitori della musica possono scandalizzarsi di fronte ai loro pezzi - alcuni dei quali, peraltro, non certo disprezzabili - ma il fatto è che non sono rimpianti perché abbiano lasciato chissà quale eredità artistica ma perché coi loro suoni evocano un'epoca felice quasi a livelli paradisiaci, e perché alla mezza età si è meno prestanti e spensierati di quando, in piena adolescenza, gli ormoni in subbuglio ci fanno spingere una vita al massimo, amplificando le emozioni e dunque trasformando in arte anche ciò che, a quel tempo, per molti sarebbe stato considerato come trash.
Ed è fin troppo ovvio che, in una mente sostanzialmente basica, quando il Paradiso ha come sottofondo musicale "hanno ucciso l'uomo ragno" e come sfondo fotografico le famiglie numerose eterosessuali, in tanti rimpiangano quei periodi e guardino con molta diffidenza ed ostilità le parate dei Gay Pride e il demenziale trap. Se la ricchezza fosse coincisa con la propaganda omosessualista a tutte le ore del giorno e della notte e col trap, i Gay Pride sarebbero cento volte più popolati di quanto non lo siano nel 2024 e tutti quanti amerebbero Geolier e BelloFigo.
Poi, certo, Max Pezzali - forse anche per quell'aria da Fonzie alla bonarda, tutto motociclette, birretta e ammiccamenti alla strafiga di turno che ha sempre caratterizzato il personaggio e qualche suo brano - è stato artisticamente sottovalutato. Alcune canzoni sono, sia nel testo che nella melodia, niente male, anche grazie al suo sodale, Mauro Repetto, di cui si parla sempre troppo poco e che invece era la vera anima intellettuale del gruppo. Dopodiché, la serie televisiva su questa band l'ho sistematicamente saltata e, come tutte le monografie estratte dal logoro pozzo della nostalgia, è finita nel mio cestino mentale. Ma ridurre gli 883 a band trash serve soltanto a diffamare chi non riesce a dimenticare i momenti in cui è stato felice, ottenendo in cambio che radicalizzi le proprie posizioni.

Così, invece di sfottere i nostalgici - che, peraltro, a dirla tutta, un po' del proprio ce lo mettono per farsi prendere in giro, specie quando scrivono (con uno smartphone, sui social, cioè utilizzando i mezzi per eccellenza della postmodernità) che bisognerebbe ritornare all'antico, quando si giocava per due ore all'oratorio o nei campi impolverati con un pallone fatto di stracci, quando si toccava il culo alle ragazze, quando c'erano "i veri valori" mentre nei tempi odierni invece ci sarebbe la depravazione - la cosa più sensata da fare è rendersi conto dell'inevitabilità di rimpiangere lo spazio e il tempo in cui siamo stati felici e non avevamo i problemi degli uomini maturi che siamo divenuti.
Se la gente nel 2024 vive un dramma personale e sociale e le colonne sonore di un tempo e di uno spazio angusti sono Annalisa e Mahmood, non ha molto senso lamentarsi che si rimpiangano gli 883, ed anzi, bisogna fare di tutto per invertire la china e costruire una ricchezza reale, che non finisca quando qualcuno decide di non finanziare più i nostri debiti.


Franco Marino


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Per prepararmi al mio primo viaggio in solitaria nella Russia di Yeltsin ho fatto un mese di esercizi con la mia domestica moldava per parlare il russo, che masticavo bene, con l'accento di Chisinau. Comprai un cappottone marrone orribile, fazzoletto deprimente a fiori, niente trucco, niente parrucchiere, niente monili, brutta da non suscitare voglie. Con non poco timore dato che era terra di gangster supportati dell'Occidente che nello Yeltsin alcolista aveva trovato il suo Zelensky. Come te, negli anni successivi ho assistito al miracolo del putinismo che, non solo ha messo ordine nel paese ma lo ha difeso nelle tradizioni, usi, costumi, religione, famiglia, e, sopratutto Patria (con la P maiuscola) liberandolo anche dai legacci sovietici. Contemporaneamente ho assistito al cambiamento dell'Europa, dove la gente, sopravvissuta alla guerra aveva liberato la creatività in tutti i settori: artistico, economico, tecnico, finanziario, imprenditoriale. Ho visto una rivoluzione inversa alla storia di Pinocchio, degli uomini veri trasformarsi in burattini. Mi dispiace un pochino per la vostra generazione che si trova nel bel mezzo di questa palude. Se posso dare un consiglio di anziana...non rimanete nella zona confortevole del ricordo di "una volta..." State vivendo un'alternanza storica, se passa con la velocità con cui ho visto passare gli eventi, belli e brutti, dei miei 76 anni, riuscirete a vedere ancora anni felici. Statisticamente lo garantisco!😂😂😂
 
Caro Franco, dagli indizi disseminati qua è là nei suoi articoli, deduco che io e Lei siamo più o meno coetanei, entrambi appartenenti alla generazione dei nati tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta. Bene, credo che la nostra generazione sia la principale responsabile dell’emergenza educativa odierna (e di tutto ciò che ne consegue), in quanto gli adolescenti di oggi sono figli di uomini e donne nati in quegli anni. Gli anni ottanta, in cui noi siamo stati bambini e/o adolescenti, sono stati caratterizzati dal culto dell’effimero e dei vizi più insulsi. Questa deriva è stata arginata, finché è stato possibile, da adulti delle generazioni precedenti, genitori, insegnanti, zii o anche semplici vicini di casa, che ci hanno contenuto e messo un freno, consentendoci di frequentare una scuola dove abbiamo comunque imparato qualcosa (nonostante fossero già chiari i nuovi indirizzi che avrebbero portato questa istituzione a divenire ciò che è adesso) e costringendoci a limitare le nostre pretese. Una volta emancipata dal controllo dei propri adulti, questa generazione ha però concretizzato quel nichilismo narcisista, logica conseguenza delle pulsioni provenienti da quella società in cui è cresciuta da adolescente. Ed è così che oggi abbiamo uomini di 40-48 anni che dell’effimero fanno la ragione di vita, dalla relazioni sentimentali fino all’educazione dei figli, tirati su senza mai dire un no e lasciati, a loro volta, a sguazzare in un effimero fatto di abiti costosi, uscite serali senza controllo, alcol, droga e nessun interesse al di fuori di tutto ciò. Ciascuno tende a guardare con simpatia ciò che gli ricorda la propria adolescenza, ma la nostra generazione ha delle grosse responsabilità sulla deriva odierna ed è giunto il momento di fare i conti con questa realtà.
 
Rispondo a Caligorante. Un'autobiografia? Naaa. Primo scrivo sinteticamente, in 10 pagine avrei finito il libro. Secondo non sono nelle grazie delle sinistre, sarebbe un flop.😂
 

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