Dalla Florida ci giunge la triste vicenda di un ragazzo che si è suicidato perché, almeno così ci riferiscono i media, si sarebbe "innamorato di un chatbot". La madre pare che abbia denunciato la società che ha prodotto il programma.
La narrazione è costruita per scatenare i commenti reazionari di quelli che "dove andremo a finire signora mia con questa tecnologia" o di quei tanti che colgono in ogni fatto di cronaca un pretesto per costruire società sempre più tirannicamente basate sul controllo. D'altra parte, la notizia - che senz'altro può apparire grottesca ad una prima analisi - non va tuttavia sottovalutata a colpi di sarcasmo, proprio per evitare che si intorbidiscano le acque, impedendo alle persone di capire cosa stia succedendo.
La prima cosa da dire è che ogni discussione sull'Intelligenza Artificiale - che d'ora in poi chiameremo, per abbreviare, IA - si fonda sull'errore di qualificarla come novità dei nostri tempi, quando in realtà, ogni appassionato di videogiochi sa che essa ne costituisce la base, come su di essa si fondano anche le partite a scacchi contro un sofisticatissimo computer, e, in generale, il concetto stesso di calcolatore. E che, via via risalendo, ogni automatizzazione di un qualsiasi processo non potrebbe esistere senza una programmazione a monte che, in quanto pensata da una mente umana, non fa altro che rispondere agli stimoli che riceve. E che, dunque, l'IA esiste da decenni.
Così come si scopre - attraverso episodi come questo - che, quand'anche raggiungesse livelli altissimi, la tecnica avrà sempre dei limiti ben precisi che consistono nell'incapacità di provare emozioni che vadano oltre la risposta automatizzata ad atti che chi ha progettato la macchina ha previsto.
L'errore di fondo di chi, specularmente, divinizza o demonizza l'IA è nel non comprendere che essa è logica, meccanica e si fonda soltanto sulle statistiche e sul passato. Nessun programma saprebbe mai rispondere a domande esistenziali come per esempio "Sto male col mio coniuge: meglio separarmi o no?" o "Meglio il posto fisso o aprire una partita IVA?", "Che facoltà devo scegliere per l'università?" per non parlare della tragica circostanza di uno che è malato e deve scegliere come curarsi. Un computer può mostrarci un insieme di vantaggi e svantaggi dell'una o dell'altra ipotesi di turno, ma non potrà mai darci quella soluzione che dirimerà il dubbio e che risiede, per dirla con Pascal, in quello "spirito di finezza" che si contrappone a quello di geometria.
In sovrappiù, il computer non è mai stanco, è infallibile, non può essere turbato dalla morte di un parente, dalla rovinosa fine di una grande storia d'amore. Se, invece, si ha a che fare con esseri umani, ci si rende conto che spesso le loro azioni sono illogiche, irrazionali, non di rado causate da latenti patologie mentali, da ignoranza, da pregiudizi e che oltretutto hanno a che fare con il cervello umano su cui oggi, stando almeno a quanto dicono gli esperti, non si sa ancora tutto. Se prendiamo, per esempio, la stragrande maggioranza delle battaglie che cambiano le sorti di una guerra - con buona pace dei deterministi - spesso vengono decise da particolari insignificanti: la famosa battaglia di Waterloo, che Napoleone stava per vincere, fu invece persa perché si mise a piovere. Proprio per questo, Von Moltke ha potuto dire che "nessuna battaglia si svolge mai nel modo previsto".
La quadra sta nel vedere l'IA nel modo giusto, non sopravvalutandola come fanno i tecnicisti e non sottovalutandola come, invece, fanno gli umanisti. Un ragazzino di quattordici anni che si innamora di un chatbot non può che essere, per forza di cose, caratterizzato da un vuoto sentimentale che circonda la sua vita affettiva e che lo porta a credere che l'amore sia soltanto ricevere e non anche dare, che un computer possa sostituire quell'indispensabile calore psicofisico, fondamento di ogni profonda relazione, quello scambio di emozioni, di chimica, di ormoni che nessun processo informatico potrà mai riprodurre e che chiunque abbia avuto la gioia di vivere un grande amore o amicizia ben conosce.
Senza arrivare a casi grotteschi ancorché tragici come quelli di questo povero ragazzo, il motivo per cui molta gente oggi affida gran parte della propria affettività alla tecnica consiste nella tragica constatazione che le relazioni umane sono così svuotate di quella dimensione spirituale che le distingue da un mero scambio di informazioni e di benessere materiale fine a se stesso - proprio invece di programmi automatizzati - che uno può persino arrivare ad affezionarsi alla proiezione mentale generata da un "ti amo" automatizzato, non ricevibile in una dimensione reale, stendendo un velo pietoso su quei casi estremi in cui, per dire, si vendono giochi erotici finalizzati a simulare fellatio o cose simili, nell'illusione che un membro strizzato da un oggetto possa provocare lo stesso piacere provocato da una bocca, da una mano o dall'organo genitale femminile.
In questo senso, la vera novità non è certo che "oggi esiste l'Intelligenza Artificiale" ma che si sia evoluta così tanto da saper automatizzare la reazione ad alcune nostre esigenze, al punto da far quasi pensarci che uno smartphone o un pc siano quasi umani. Solo vent'anni fa, se qualche traduttore cretino, incaricato da qualcuno di tradurre un testo dall'inglese all'italiano, avesse fatto ricorso a Google Translate, il cliente se ne sarebbe accorto e il traduttore ci avrebbe fatto una figuraccia. Viceversa, nel 2024, i sistemi informatici che gestiscono i programmi automatici di traduzioni - almeno sul piano meramente tecnico perché per quelle che invece richiedono un'interpretazione, il discorso è più complesso - hanno raggiunto una tale efficienza che il volume di affari legato alle traduzioni umane si è praticamente abbattuto di quasi il 100%. E non c'è dubbio che mano mano che si potenzieranno i canali di conduzione di queste informazioni, questo ed altri fenomeni cresceranno.
Sicché, certamente il ragazzino che vuole sentirsi dire di essere bello e amato, può già oggi addestrare un programmino che glielo dica, che se si spoglia nudo in webcam gli dica "quanto sei bello, quanto sei ben dotato, quanto mi ecciti". Ma dal momento che nient'altro gli darà l'ebbrezza di una relazione amorosa come una donna che lo ami davvero, che sia in grado di saper indovinare i suoi momenti difficili e abbracciarlo, baciarlo, emozionarlo, ma soprattutto allenarlo all'importanza di mettersi in gioco, di rischiare e, soprattutto, dato che molti ricorrono a questi programmi, il problema non è nei bot ma in quanto siano diventati profondamente inumani, superficiali ed egoistici i rapporti umani. Nessun software può colmare la soffocante solitudine che proviamo quando affrontiamo un momento di grave difficoltà e avremmo bisogno di un forte abbraccio che ci strappi dalle paure che ci tormentano, di una voce che dal profondo del sentimento ci dica che è pronta ad affrontare al nostro fianco, fino all'estremo sacrificio, quei mostri che minacciano la nostra esistenza nelle loro forme più disparate.
Del resto, facendosi un giro nei gruppi social dedicati alle tematiche relazionali, realizziamo come l'umanità sia ripiegata sulla soddisfazione dei propri desideri, senza provare alcuna gioia o interesse nel darsi, nell'investimento del proprio patrimonio emozionale. Sempre più le persone, nelle relazioni, vanno avanti per inerzia, reagiscono in maniera automatica agli stimoli o alla loro assenza, ripiegandosi su quegli schemi egoistici che rendono prevedibile l'animo umano, fino a far pensare a qualche mente disturbata che questa lacuna possa colmarsi con un software.
Non è l'IA sia diventata troppo potente. E' il sentimento umano ad essere divenuto troppo debole. Bisognerebbe semplicemente affrontare il nodo di quanto sia diventata prevedibile l'umanità, di quanto gli uomini non siano più capaci di immaginarsi oltre il qui ed ora del proprio orticello, in nome del quale non esitano a buttar via chiunque non costituisca più una fonte di validazione psicofisica.
I chatbot programmati per dare amore senza riceverlo non fanno altro, come qualsiasi software di IA, che obbedire a come un'intelligenza umana li programma. Se quest'ultima è volta al male, prendersela con chi esegue e basta è ben oltre la soglia del ridicolo.
Dopodiché non so se faremo la fine che Terminator paventava quarant'anni fa, come alcuni temono. Certo è che il terminatore di turno sarà fabbricato dall'uomo come quello del film.
La narrazione è costruita per scatenare i commenti reazionari di quelli che "dove andremo a finire signora mia con questa tecnologia" o di quei tanti che colgono in ogni fatto di cronaca un pretesto per costruire società sempre più tirannicamente basate sul controllo. D'altra parte, la notizia - che senz'altro può apparire grottesca ad una prima analisi - non va tuttavia sottovalutata a colpi di sarcasmo, proprio per evitare che si intorbidiscano le acque, impedendo alle persone di capire cosa stia succedendo.
La prima cosa da dire è che ogni discussione sull'Intelligenza Artificiale - che d'ora in poi chiameremo, per abbreviare, IA - si fonda sull'errore di qualificarla come novità dei nostri tempi, quando in realtà, ogni appassionato di videogiochi sa che essa ne costituisce la base, come su di essa si fondano anche le partite a scacchi contro un sofisticatissimo computer, e, in generale, il concetto stesso di calcolatore. E che, via via risalendo, ogni automatizzazione di un qualsiasi processo non potrebbe esistere senza una programmazione a monte che, in quanto pensata da una mente umana, non fa altro che rispondere agli stimoli che riceve. E che, dunque, l'IA esiste da decenni.
Così come si scopre - attraverso episodi come questo - che, quand'anche raggiungesse livelli altissimi, la tecnica avrà sempre dei limiti ben precisi che consistono nell'incapacità di provare emozioni che vadano oltre la risposta automatizzata ad atti che chi ha progettato la macchina ha previsto.
L'errore di fondo di chi, specularmente, divinizza o demonizza l'IA è nel non comprendere che essa è logica, meccanica e si fonda soltanto sulle statistiche e sul passato. Nessun programma saprebbe mai rispondere a domande esistenziali come per esempio "Sto male col mio coniuge: meglio separarmi o no?" o "Meglio il posto fisso o aprire una partita IVA?", "Che facoltà devo scegliere per l'università?" per non parlare della tragica circostanza di uno che è malato e deve scegliere come curarsi. Un computer può mostrarci un insieme di vantaggi e svantaggi dell'una o dell'altra ipotesi di turno, ma non potrà mai darci quella soluzione che dirimerà il dubbio e che risiede, per dirla con Pascal, in quello "spirito di finezza" che si contrappone a quello di geometria.
In sovrappiù, il computer non è mai stanco, è infallibile, non può essere turbato dalla morte di un parente, dalla rovinosa fine di una grande storia d'amore. Se, invece, si ha a che fare con esseri umani, ci si rende conto che spesso le loro azioni sono illogiche, irrazionali, non di rado causate da latenti patologie mentali, da ignoranza, da pregiudizi e che oltretutto hanno a che fare con il cervello umano su cui oggi, stando almeno a quanto dicono gli esperti, non si sa ancora tutto. Se prendiamo, per esempio, la stragrande maggioranza delle battaglie che cambiano le sorti di una guerra - con buona pace dei deterministi - spesso vengono decise da particolari insignificanti: la famosa battaglia di Waterloo, che Napoleone stava per vincere, fu invece persa perché si mise a piovere. Proprio per questo, Von Moltke ha potuto dire che "nessuna battaglia si svolge mai nel modo previsto".
La quadra sta nel vedere l'IA nel modo giusto, non sopravvalutandola come fanno i tecnicisti e non sottovalutandola come, invece, fanno gli umanisti. Un ragazzino di quattordici anni che si innamora di un chatbot non può che essere, per forza di cose, caratterizzato da un vuoto sentimentale che circonda la sua vita affettiva e che lo porta a credere che l'amore sia soltanto ricevere e non anche dare, che un computer possa sostituire quell'indispensabile calore psicofisico, fondamento di ogni profonda relazione, quello scambio di emozioni, di chimica, di ormoni che nessun processo informatico potrà mai riprodurre e che chiunque abbia avuto la gioia di vivere un grande amore o amicizia ben conosce.
Senza arrivare a casi grotteschi ancorché tragici come quelli di questo povero ragazzo, il motivo per cui molta gente oggi affida gran parte della propria affettività alla tecnica consiste nella tragica constatazione che le relazioni umane sono così svuotate di quella dimensione spirituale che le distingue da un mero scambio di informazioni e di benessere materiale fine a se stesso - proprio invece di programmi automatizzati - che uno può persino arrivare ad affezionarsi alla proiezione mentale generata da un "ti amo" automatizzato, non ricevibile in una dimensione reale, stendendo un velo pietoso su quei casi estremi in cui, per dire, si vendono giochi erotici finalizzati a simulare fellatio o cose simili, nell'illusione che un membro strizzato da un oggetto possa provocare lo stesso piacere provocato da una bocca, da una mano o dall'organo genitale femminile.
In questo senso, la vera novità non è certo che "oggi esiste l'Intelligenza Artificiale" ma che si sia evoluta così tanto da saper automatizzare la reazione ad alcune nostre esigenze, al punto da far quasi pensarci che uno smartphone o un pc siano quasi umani. Solo vent'anni fa, se qualche traduttore cretino, incaricato da qualcuno di tradurre un testo dall'inglese all'italiano, avesse fatto ricorso a Google Translate, il cliente se ne sarebbe accorto e il traduttore ci avrebbe fatto una figuraccia. Viceversa, nel 2024, i sistemi informatici che gestiscono i programmi automatici di traduzioni - almeno sul piano meramente tecnico perché per quelle che invece richiedono un'interpretazione, il discorso è più complesso - hanno raggiunto una tale efficienza che il volume di affari legato alle traduzioni umane si è praticamente abbattuto di quasi il 100%. E non c'è dubbio che mano mano che si potenzieranno i canali di conduzione di queste informazioni, questo ed altri fenomeni cresceranno.
Sicché, certamente il ragazzino che vuole sentirsi dire di essere bello e amato, può già oggi addestrare un programmino che glielo dica, che se si spoglia nudo in webcam gli dica "quanto sei bello, quanto sei ben dotato, quanto mi ecciti". Ma dal momento che nient'altro gli darà l'ebbrezza di una relazione amorosa come una donna che lo ami davvero, che sia in grado di saper indovinare i suoi momenti difficili e abbracciarlo, baciarlo, emozionarlo, ma soprattutto allenarlo all'importanza di mettersi in gioco, di rischiare e, soprattutto, dato che molti ricorrono a questi programmi, il problema non è nei bot ma in quanto siano diventati profondamente inumani, superficiali ed egoistici i rapporti umani. Nessun software può colmare la soffocante solitudine che proviamo quando affrontiamo un momento di grave difficoltà e avremmo bisogno di un forte abbraccio che ci strappi dalle paure che ci tormentano, di una voce che dal profondo del sentimento ci dica che è pronta ad affrontare al nostro fianco, fino all'estremo sacrificio, quei mostri che minacciano la nostra esistenza nelle loro forme più disparate.
Del resto, facendosi un giro nei gruppi social dedicati alle tematiche relazionali, realizziamo come l'umanità sia ripiegata sulla soddisfazione dei propri desideri, senza provare alcuna gioia o interesse nel darsi, nell'investimento del proprio patrimonio emozionale. Sempre più le persone, nelle relazioni, vanno avanti per inerzia, reagiscono in maniera automatica agli stimoli o alla loro assenza, ripiegandosi su quegli schemi egoistici che rendono prevedibile l'animo umano, fino a far pensare a qualche mente disturbata che questa lacuna possa colmarsi con un software.
Non è l'IA sia diventata troppo potente. E' il sentimento umano ad essere divenuto troppo debole. Bisognerebbe semplicemente affrontare il nodo di quanto sia diventata prevedibile l'umanità, di quanto gli uomini non siano più capaci di immaginarsi oltre il qui ed ora del proprio orticello, in nome del quale non esitano a buttar via chiunque non costituisca più una fonte di validazione psicofisica.
I chatbot programmati per dare amore senza riceverlo non fanno altro, come qualsiasi software di IA, che obbedire a come un'intelligenza umana li programma. Se quest'ultima è volta al male, prendersela con chi esegue e basta è ben oltre la soglia del ridicolo.
Dopodiché non so se faremo la fine che Terminator paventava quarant'anni fa, come alcuni temono. Certo è che il terminatore di turno sarà fabbricato dall'uomo come quello del film.
E anche questo, nell'approccio della questione, fa tutta la differenza del caso. Più che l'intelligenza artificiale, dobbiamo temere la deficienza naturale.
Franco Marino
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