Ieri ho visto Empoli-Napoli, finita con la vittoria del Napoli per 1-0 su rigore di Kvaratskhelia. Nonostante sia stato, in assoluto, il peggior Napoli dell'anno, non ho mai avuto dubbi su chi avrebbe vinto, perché il calcio lo vedo sin da bambino e so riconoscere una squadra che gioca benissimo come l'Empoli ma non conclude e invece quella che gioca male ma alla fine trova lo spunto per segnare. I valori delle squadre, alla lunga, fanno la differenza.
Certo, può far sorridere che si paragoni una "partita" delicatissima come le elezioni americane ad un banale incontro di calcio, ma alla fine si tratta, anch'essa, di una competizione nella quale ci sono dei pronostici che possono dare per favorito un concorrente invece di un altro, poi però c'è il campo.
Lo spunto per questo cappello introduttivo è la notizia, messa molto in sordina, che Trump è in netto vantaggio nei sondaggi, dopo un periodo in cui, in effetti, sembrava a molti - non a me, sinceramente, e non per darmi arie da profeta - che la Harris potesse ribaltare tutto. E la cosa, francamente, non mi stupisce minimamente, per una lunga serie di motivi.
In politica, non vincono gli estremisti, i radicali, quelli che eccitano la folla con dichiarazioni avventate, ma chi sa conquistare il centro. E devo dire, da fiero odiatore dei Dem quale sono sempre stato, che, quando ancora non ebbe modo di mostrare tutta la propria inconsistenza, il personaggio di Obama non mi era dispiaciuto. Il suo eloquio unitivo, suadente, pacato, sembrava davvero destinato a conquistare anche l'elettorato repubblicano e, anche in Italia, qualche elettore e maestro di pensiero di centrodestra era affascinato dal personaggio.
Kamala Harris è, sia come apparenza che come sostanza, l'esatto opposto. Guardandola in faccia, immediatamente ci si immagina di essere riproiettati in un lager rieducativo nel quale i suoi funzionari cercheranno, a colpi di cancel culture, di farci il lavaggio del cervello con dottrine LGBT, russofobia, ambientalismo, antirazzismo (che in realtà è suprematismo nero) e altra roba simile. La stessa candidata viene da quella California che applica i principali mantra del progressismo fino alle estreme conseguenze, al punto che addirittura sono stati depenalizzati i furti al di sotto dei 1000 dollari, una roba che quando un contatto di Whatsapp mi inviò questa notizia, pensavo che fosse la classica fake news, invece anche mia zia che vive a San Jose, proprio in California, confermandomi tutto, mi ha detto che lei, donna storicamente di sinistra ma inferocita per le follie progressiste - perché sono tutti di sinistra fin quando ad essere toccato non è il proprio di portafoglio - stavolta voterà Trump.
Del resto, che le cose per il vecchio Donald si stessero mettendo bene si era capito anche dal fatto che, in prossimità di elezioni di *vitale* importanza per il futuro dell'Occidente, i media abbiano completamente addormentato il dibattito. Un modo, infatti, sicuro per capire l'andamento di un fatto strategico - applicabile anche ad altre cose - è che quando un nemico del sistema sta vincendo, non bisogna parlarne, quando sta perdendo, allora il sistema gli dedica speciali, notiziari e quant'altro. Si è visto anche durante la guerra in Donbass. Quando è la Federazione Russa ad essere sul punto di vincere, bisogna "troncare e sopire", quando l'Ucraina sembra essere favorita, ecco i media parlarne ogni dì.
Dunque perché Trump è avanti nei sondaggi? Perché alla fine i valori prevalgono sempre. La Harris parla alla minoranza del Paese, Trump ad un ceto medio sempre più impoverito e soprattutto a quelle fasce povere fortemente infastidite dal non vedersi minimamente calcolate, a meno che non appartengano alle categorie protette del progressismo. Questo non significa che la vittoria sia assicurata perché non dimentichiamoci mai che proprio il vecchio Donald divenne, nel 2016, presidente con la Clinton nettamente favorita sia dai sondaggi che dai bookmakers che la quotavano a 1.2, che chi si intende di scommesse sa che è una quota abbastanza sicura.
Poi, che i Democratici, a partita in corsa, si siano resi conto di dover sostituire un candidato palesemente rincoglionito come Biden per mettere una candidata che quantomeno è più fresca, diciamo che più che essere una scelta geniale, è stata la mossa della disperazione. La Harris ha smosso un po' le acque e diciamo pure che Trump non è che sia stato eccezionale in questa campagna elettorale. E non dimentichiamo che i Dem hanno dimostrato proprio quattro anni fa che, quando occorre, sanno anche barare.
Certo, può far sorridere che si paragoni una "partita" delicatissima come le elezioni americane ad un banale incontro di calcio, ma alla fine si tratta, anch'essa, di una competizione nella quale ci sono dei pronostici che possono dare per favorito un concorrente invece di un altro, poi però c'è il campo.
Lo spunto per questo cappello introduttivo è la notizia, messa molto in sordina, che Trump è in netto vantaggio nei sondaggi, dopo un periodo in cui, in effetti, sembrava a molti - non a me, sinceramente, e non per darmi arie da profeta - che la Harris potesse ribaltare tutto. E la cosa, francamente, non mi stupisce minimamente, per una lunga serie di motivi.
In politica, non vincono gli estremisti, i radicali, quelli che eccitano la folla con dichiarazioni avventate, ma chi sa conquistare il centro. E devo dire, da fiero odiatore dei Dem quale sono sempre stato, che, quando ancora non ebbe modo di mostrare tutta la propria inconsistenza, il personaggio di Obama non mi era dispiaciuto. Il suo eloquio unitivo, suadente, pacato, sembrava davvero destinato a conquistare anche l'elettorato repubblicano e, anche in Italia, qualche elettore e maestro di pensiero di centrodestra era affascinato dal personaggio.
Kamala Harris è, sia come apparenza che come sostanza, l'esatto opposto. Guardandola in faccia, immediatamente ci si immagina di essere riproiettati in un lager rieducativo nel quale i suoi funzionari cercheranno, a colpi di cancel culture, di farci il lavaggio del cervello con dottrine LGBT, russofobia, ambientalismo, antirazzismo (che in realtà è suprematismo nero) e altra roba simile. La stessa candidata viene da quella California che applica i principali mantra del progressismo fino alle estreme conseguenze, al punto che addirittura sono stati depenalizzati i furti al di sotto dei 1000 dollari, una roba che quando un contatto di Whatsapp mi inviò questa notizia, pensavo che fosse la classica fake news, invece anche mia zia che vive a San Jose, proprio in California, confermandomi tutto, mi ha detto che lei, donna storicamente di sinistra ma inferocita per le follie progressiste - perché sono tutti di sinistra fin quando ad essere toccato non è il proprio di portafoglio - stavolta voterà Trump.
Del resto, che le cose per il vecchio Donald si stessero mettendo bene si era capito anche dal fatto che, in prossimità di elezioni di *vitale* importanza per il futuro dell'Occidente, i media abbiano completamente addormentato il dibattito. Un modo, infatti, sicuro per capire l'andamento di un fatto strategico - applicabile anche ad altre cose - è che quando un nemico del sistema sta vincendo, non bisogna parlarne, quando sta perdendo, allora il sistema gli dedica speciali, notiziari e quant'altro. Si è visto anche durante la guerra in Donbass. Quando è la Federazione Russa ad essere sul punto di vincere, bisogna "troncare e sopire", quando l'Ucraina sembra essere favorita, ecco i media parlarne ogni dì.
Dunque perché Trump è avanti nei sondaggi? Perché alla fine i valori prevalgono sempre. La Harris parla alla minoranza del Paese, Trump ad un ceto medio sempre più impoverito e soprattutto a quelle fasce povere fortemente infastidite dal non vedersi minimamente calcolate, a meno che non appartengano alle categorie protette del progressismo. Questo non significa che la vittoria sia assicurata perché non dimentichiamoci mai che proprio il vecchio Donald divenne, nel 2016, presidente con la Clinton nettamente favorita sia dai sondaggi che dai bookmakers che la quotavano a 1.2, che chi si intende di scommesse sa che è una quota abbastanza sicura.
Poi, che i Democratici, a partita in corsa, si siano resi conto di dover sostituire un candidato palesemente rincoglionito come Biden per mettere una candidata che quantomeno è più fresca, diciamo che più che essere una scelta geniale, è stata la mossa della disperazione. La Harris ha smosso un po' le acque e diciamo pure che Trump non è che sia stato eccezionale in questa campagna elettorale. E non dimentichiamo che i Dem hanno dimostrato proprio quattro anni fa che, quando occorre, sanno anche barare.
Ma i valori in campo nove volte su dieci prevalgono sempre, e questi, oggi, sono dalla parte di Trump.