Come qualcuno ricorderà, sabato scorso ho pubblicato un articolo sulla questione palestinese e, dopo essere stato subissato di insulti, l'ho rimosso. Non è vigliaccheria, è che francamente avevo già talmente tanti pensieri in testa - alle volte la gente non si rende conto che la vita è ben altro rispetto allo sciocchezzaio socialaro - che non mi andava di infilarmi nell'ennesima stucchevole rissa tra sionisti e filopalestinesi che minacciano di toglierti l'amicizia se non ti metti a tifare per l'una o per l'altra parte. E tuttavia, la cosa mi ha talmente nauseato che per quasi una settimana non ho scritto nulla.
Fin quando non ho recuperato i miei riflessi e mi sono fatto una domanda molto semplice: perché è impossibile ragionare serenamente su certi temi?
La prima cosa che bisogna capire è che la questione palestinese è stata, più o meno volutamente, confusa con quella religiosa.
In realtà, quella tra Israele e palestinesi è la classica disputa territoriale banalmente simile alle migliaia che hanno caratterizzato la storia della politica internazionale ma anche alle tantissime beghe che spesso sorgono tra proprietari di terreni o di case. Il problema è che questo conflitto è stato volutamente trasformato, da chi ha avuto interesse sia a creare la questione che a fomentarla - e non sono né israeliani né palestinesi - in uno scontro di civiltà tra religioni, col risultato che oggi abbiamo una marea di persone convinte che in Israele ci siano soltanto ebrei e non anche un milione e mezzo di musulmani orgogliosissimi di essere israeliani e che i palestinesi siano soltanto musulmani, ignorando il milione di ebrei palestinesi, che ritengono che Israele vada cancellata dalle mappe geografiche rimanendo comunque orgogliosamente ebrei, in un enorme fritto misto che le grandi potenze geopolitiche che aizzano i due belligeranti gli uni contro gli altri hanno avuto cura di trasformare in una sorta di conflitto religioso, con gli scontri fondamentalistici che inevitabilmente ne derivano.
Già di proprio le religioni tendono ad avere una struttura di pensiero dogmatica e basata sulla verità rivelata. Aggiungiamo che l'ebraismo è una religione abramitica che, in quanto tale, somiglia al cristianesimo e all'Islam - anch'esse abramitiche - molto più di quanto vi differisca, che queste tre confessioni si caratterizzano, nello specifico, per una particolare propensione a dividere il mondo in "buoni" e "cattivi", a seconda di quanto aderiscano o differiscano dalle rispettive dottrine, e per una certa tendenza a perseguitare chi ha un pensiero differente, ed ecco che si capisce perfettamente che non si possa ragionare con chi pensa di rappresentare il Bene e che, va da sé, chi non aderisce alla lettera al testo sacro di turno sia il Male assoluto, da definire come apostata, infedele o antisemita in base ai casi.
La seconda cosa è relativa alla questione palestinese. Dove il punto non è se io sia filoisraeliano o filopalestinese ma quanto patologico sia un paese, almeno formalmente democratico, dove dobbiamo preoccuparci di ciò che pensiamo, pena insulti o scomuniche.
E intendiamoci, che chi è coinvolto in prima linea sostenga una tesi invece dell'altra e cerchi di propagandarla, è naturalissimo. Ma mi spiegate per quale ragione io debba temere che qualche amico, se io sostengo che Hamas non è fatta da santarellini e che Israele in realtà sta soltanto difendendo se stessa oppure se sostengo che Israele stia compiendo dei crimini, mi tolga l'amicizia senza che questi abbia alcuna connessione con quei posti? Una ragione valida non c'è e tutto ha a che fare con una cosa molto semplice che si chiama "propaganda". Che, in quanto tale, non vuole cittadini informati, capaci di saper guardare in maniera razionale le cose, ma ultrà che urlino slogan incendiari, capaci soltanto di peggiorare le cose.
Allora a quel punto, una persona che nella vita non fa il giornalista e che si deve occupare di mandare avanti la propria azienda, nel contempo di lavorare dalle 9 alle 17 per una ditta informatica e per la quale la scrittura giornaliera del proprio pensiero è un hobby, non ha alcun interesse ad inserirsi in una diatriba nella quale il suo potere di influenzatore - che peraltro non ha mai inseguito nella vita - è praticamente pari a zero.
Ho semplicemente preso atto che sull'argomento è impossibile ragionare serenamente, perché è sempre così che finisce quando un tema è colonizzato dalle tifoserie.
Se uno durante Juve-Inter va nella curva interista e dice che quello su Ronaldo, nella famosa partita del 1998, non era rigore ma, al massimo, punizione a due in area, il minimo che si debba attendere è di essere riempito di insulti perché, quando si tifa, è sempre così. E ho persino timore di fare questo esempio perché casomai si incazza qualche mio lettore interista.
Nell'articolo aspramente contestato - e che ho tolto non per vigliaccheria ma perché mi sono reso conto di non averlo scritto in maniera tale da non poter essere equivocato - io ho semplicemente espresso la tesi che l'unica cosa a cui dobbiamo badare è l'interesse nazionale italiano, senza preoccuparsi di chi abbia ragione tra le due parti, non fosse altro che per il fatto che non siamo di fronte al Bene contro il Male ma semplicemente ad uno scontro tra clan mafiosi come lo è quello tra Russia e Ucraina, tra Haftar e Serraji in Libia, tra Fratelli Musulmani e Al Sisi in Egitto e come lo sono anche le beghe della politica nazionale.
Oltretutto, sul fatto che Hamas sia una creatura di Israele ci sono talmente tanti di quegli indizi, che se anche ne avessimo la certezza, la cosa non scandalizzerebbe minimamente chi ha il buonsenso di capire che la geopolitica è una grande Gomorra in cui indignarsi per Gennaro Savastano che ammazza a sangue freddo una donna incinta che pure gli aveva salvato la vita e che fa ammazzare il padre col quale è entrato in conflitto, ha senso soltanto se dopo non si parteggia per Ciro l'Immortale o per Sangue Blu, che certo di nefandezze non ne commettono di meno. Che senso ha militare per l'una o per l'altra parte?
L'Italia, priva di un esercito forte, di armamenti che possano costituire un deterrente e con un'economia indebitata e dipendente in tutto e per tutto dai gangster della finanza internazionale, nell'economia di questo conflitto, non può fare assolutamente nulla - e ancor meno possono farlo i tanti Gennarini o Concettine che mettono la bandiera israeliana o palestinese sui social - se non cercare di rafforzarsi per poter aumentare il proprio potere ricattatorio nei confronti dell'una o dell'altra parte, e soltanto sulla base dei propri interessi.
La persona immatura riduce il tutto a cowboy o indiani o, per prendere ad esempio il wrestling, "face" contro "hell", ad un perenne fumetto dove c'è il buono e il cattivo.
Viceversa, la persona di buonsenso, che certamente può avere i suoi sentimenti di simpatia e di antipatia per una delle due fazioni - perché gli esseri umani sono anche ideali e sentimenti - tuttavia si limita a valutare i dati sul campo, dubita di tutte le narrazioni, anche quelle che, a primo impatto, sembrano convincenti, e, sulla base dei dati di cui dispone, prende una posizione. Ma senza mai pensare di rappresentare il Bene. Perché se si può concordare che Israele abbia esagerato con la sua azione, se si può provare legittima insofferenza per il tentativo di alcune comunità ebraiche di condizionare l'opinione pubblica su molte questioni, si deve anche riconoscere che Hamas non è fatta da santarellini.
Da parte sua, il blogger realista ad un certo punto deve prendere la saggia scelta di uscire dalle curve e di lasciare che i fanatici, scannandosi tra loro, mostrino tutta la propria irrilevanza, ben sapendo che se non sono le sue parole a convincerlo, presto a fare giustizia sarà il tribunale più spietato di tutti.
Fin quando non ho recuperato i miei riflessi e mi sono fatto una domanda molto semplice: perché è impossibile ragionare serenamente su certi temi?
La prima cosa che bisogna capire è che la questione palestinese è stata, più o meno volutamente, confusa con quella religiosa.
In realtà, quella tra Israele e palestinesi è la classica disputa territoriale banalmente simile alle migliaia che hanno caratterizzato la storia della politica internazionale ma anche alle tantissime beghe che spesso sorgono tra proprietari di terreni o di case. Il problema è che questo conflitto è stato volutamente trasformato, da chi ha avuto interesse sia a creare la questione che a fomentarla - e non sono né israeliani né palestinesi - in uno scontro di civiltà tra religioni, col risultato che oggi abbiamo una marea di persone convinte che in Israele ci siano soltanto ebrei e non anche un milione e mezzo di musulmani orgogliosissimi di essere israeliani e che i palestinesi siano soltanto musulmani, ignorando il milione di ebrei palestinesi, che ritengono che Israele vada cancellata dalle mappe geografiche rimanendo comunque orgogliosamente ebrei, in un enorme fritto misto che le grandi potenze geopolitiche che aizzano i due belligeranti gli uni contro gli altri hanno avuto cura di trasformare in una sorta di conflitto religioso, con gli scontri fondamentalistici che inevitabilmente ne derivano.
Già di proprio le religioni tendono ad avere una struttura di pensiero dogmatica e basata sulla verità rivelata. Aggiungiamo che l'ebraismo è una religione abramitica che, in quanto tale, somiglia al cristianesimo e all'Islam - anch'esse abramitiche - molto più di quanto vi differisca, che queste tre confessioni si caratterizzano, nello specifico, per una particolare propensione a dividere il mondo in "buoni" e "cattivi", a seconda di quanto aderiscano o differiscano dalle rispettive dottrine, e per una certa tendenza a perseguitare chi ha un pensiero differente, ed ecco che si capisce perfettamente che non si possa ragionare con chi pensa di rappresentare il Bene e che, va da sé, chi non aderisce alla lettera al testo sacro di turno sia il Male assoluto, da definire come apostata, infedele o antisemita in base ai casi.
La seconda cosa è relativa alla questione palestinese. Dove il punto non è se io sia filoisraeliano o filopalestinese ma quanto patologico sia un paese, almeno formalmente democratico, dove dobbiamo preoccuparci di ciò che pensiamo, pena insulti o scomuniche.
E intendiamoci, che chi è coinvolto in prima linea sostenga una tesi invece dell'altra e cerchi di propagandarla, è naturalissimo. Ma mi spiegate per quale ragione io debba temere che qualche amico, se io sostengo che Hamas non è fatta da santarellini e che Israele in realtà sta soltanto difendendo se stessa oppure se sostengo che Israele stia compiendo dei crimini, mi tolga l'amicizia senza che questi abbia alcuna connessione con quei posti? Una ragione valida non c'è e tutto ha a che fare con una cosa molto semplice che si chiama "propaganda". Che, in quanto tale, non vuole cittadini informati, capaci di saper guardare in maniera razionale le cose, ma ultrà che urlino slogan incendiari, capaci soltanto di peggiorare le cose.
Allora a quel punto, una persona che nella vita non fa il giornalista e che si deve occupare di mandare avanti la propria azienda, nel contempo di lavorare dalle 9 alle 17 per una ditta informatica e per la quale la scrittura giornaliera del proprio pensiero è un hobby, non ha alcun interesse ad inserirsi in una diatriba nella quale il suo potere di influenzatore - che peraltro non ha mai inseguito nella vita - è praticamente pari a zero.
Ho semplicemente preso atto che sull'argomento è impossibile ragionare serenamente, perché è sempre così che finisce quando un tema è colonizzato dalle tifoserie.
Se uno durante Juve-Inter va nella curva interista e dice che quello su Ronaldo, nella famosa partita del 1998, non era rigore ma, al massimo, punizione a due in area, il minimo che si debba attendere è di essere riempito di insulti perché, quando si tifa, è sempre così. E ho persino timore di fare questo esempio perché casomai si incazza qualche mio lettore interista.
Nell'articolo aspramente contestato - e che ho tolto non per vigliaccheria ma perché mi sono reso conto di non averlo scritto in maniera tale da non poter essere equivocato - io ho semplicemente espresso la tesi che l'unica cosa a cui dobbiamo badare è l'interesse nazionale italiano, senza preoccuparsi di chi abbia ragione tra le due parti, non fosse altro che per il fatto che non siamo di fronte al Bene contro il Male ma semplicemente ad uno scontro tra clan mafiosi come lo è quello tra Russia e Ucraina, tra Haftar e Serraji in Libia, tra Fratelli Musulmani e Al Sisi in Egitto e come lo sono anche le beghe della politica nazionale.
Oltretutto, sul fatto che Hamas sia una creatura di Israele ci sono talmente tanti di quegli indizi, che se anche ne avessimo la certezza, la cosa non scandalizzerebbe minimamente chi ha il buonsenso di capire che la geopolitica è una grande Gomorra in cui indignarsi per Gennaro Savastano che ammazza a sangue freddo una donna incinta che pure gli aveva salvato la vita e che fa ammazzare il padre col quale è entrato in conflitto, ha senso soltanto se dopo non si parteggia per Ciro l'Immortale o per Sangue Blu, che certo di nefandezze non ne commettono di meno. Che senso ha militare per l'una o per l'altra parte?
L'Italia, priva di un esercito forte, di armamenti che possano costituire un deterrente e con un'economia indebitata e dipendente in tutto e per tutto dai gangster della finanza internazionale, nell'economia di questo conflitto, non può fare assolutamente nulla - e ancor meno possono farlo i tanti Gennarini o Concettine che mettono la bandiera israeliana o palestinese sui social - se non cercare di rafforzarsi per poter aumentare il proprio potere ricattatorio nei confronti dell'una o dell'altra parte, e soltanto sulla base dei propri interessi.
La persona immatura riduce il tutto a cowboy o indiani o, per prendere ad esempio il wrestling, "face" contro "hell", ad un perenne fumetto dove c'è il buono e il cattivo.
Viceversa, la persona di buonsenso, che certamente può avere i suoi sentimenti di simpatia e di antipatia per una delle due fazioni - perché gli esseri umani sono anche ideali e sentimenti - tuttavia si limita a valutare i dati sul campo, dubita di tutte le narrazioni, anche quelle che, a primo impatto, sembrano convincenti, e, sulla base dei dati di cui dispone, prende una posizione. Ma senza mai pensare di rappresentare il Bene. Perché se si può concordare che Israele abbia esagerato con la sua azione, se si può provare legittima insofferenza per il tentativo di alcune comunità ebraiche di condizionare l'opinione pubblica su molte questioni, si deve anche riconoscere che Hamas non è fatta da santarellini.
Da parte sua, il blogger realista ad un certo punto deve prendere la saggia scelta di uscire dalle curve e di lasciare che i fanatici, scannandosi tra loro, mostrino tutta la propria irrilevanza, ben sapendo che se non sono le sue parole a convincerlo, presto a fare giustizia sarà il tribunale più spietato di tutti.
La realtà.
Franco Marino
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