Da quattro anni risiedo stabilmente a San Giovanni a Teduccio, un quartiere popolare nella periferia orientale di Napoli, dove comunque, avendo casa, venivo già prima.
Viverci ormai stabilmente mi ha permesso una piena immersione nella realtà di questo posto, prima soltanto parziale. La zona in sé non è certo tra le migliori, ma è un quartiere popolare pulsante di vita e di gente vera - presso la quale mi sono sentito molto più a mio agio rispetto al quartiere Chiaia, zona bene e di lusso, del quale sono originario - e che ha molte potenzialità inesplorate e, con sincerità, mi sono sempre sentito molto di più "sangiuannaro" di quanto i miei abbiano cercato di farmi sentire "chiaiese". E questo per tanti motivi. Tanto per iniziare, rispetto a dove vivevo prima, è piena di sole. Al mattino, affacciandomi alla finestra, il Vesuvio con le sue ginestre e un sole splendente sembrano quasi salutarmi mentre un nuovo dì principia. E dalla traversa, dove vivo, del corso principale, si arriva facilmente ad un mare abbracciato da uno dei panorami più belli della mia città, ove se attivassero i depuratori e le acque tornassero pulite, si potrebbe generare un turismo tale da triplicare il valore della zona.
Questi spazi così densi di un infinito non dominato dai casermoni in cui si affolla la media borghesia metropolitana, ispirano il desiderio di passeggiare per creare, per sognare, o di prendere l'auto per farsi un giro nelle vicine San Giorgio a Cremano, Ercolano, Torre del Greco, posti bellissimi, con ville meravigliose che costituiscono il cosiddetto "Miglio d'oro", che, nella loro splendente meraviglia, svelano ciò che siamo stati in passato almeno quanto, nella loro incuria, denunciano inequivocabilmente il tragico esito di ciò che siamo, oggi, nel presente.
Così, mentre percorro queste zone, improvvisamente vengo colto da un "furore rivoluzionario", che mi fa venir voglia - sia chiaro, sono fantasticherie - di prendere un manipolo di teste calde e muovere guerra al sistema. Ma perché questa voglia mi veniva proprio mentre passavo per questi spazi e non, casomai, passando da altre zone? La risposta non sarebbe tardata ad arrivare, peraltro ovvia: vedere qualcosa che è stato bello, rovinato dall'incuria provoca un forte afflusso di sangue alla mia testa e mi scatena un istinto di protezione di queste meraviglie.
Questa premessa mi fa ragionare su cosa sta accadendo a Napoli e sul perché orrori come la Venere degli Stracci e una sottospecie di statua - che in teoria dovrebbe rappresentare Pulcinella - a forma di fallo, messa in una delle piazze più belle, Piazza Municipio, stiano furoreggiando nelle cronache senza provocare l'ira di chi vede la propria città ridotta a laboratorio di buffonerie progressiste.

Devo confessare che il tentativo di identificarne le ragioni è stato avvolto da una fitta nebbia che però, come talvolta accade, è stata rapidamente svaporata quando, ad un politico napoletano in quota PD con cui sono in buoni rapporti, ho chiesto quale fosse il senso di questa come di altre opere d'arte, ricavandone una risposta tipicamente da politico: il Comune che ha commissionato l'opera, sostanzialmente, facendo scatenare la polemica, otterrebbe che la città faccia parlare di sé e questo porterebbe un grande vantaggio alle casse del comune - attraverso magari i parcheggi di chi si mette lì con l'auto - oltre che un forte impulso al cosiddetto indotto.
Nulla di di diverso - e sicuramente ne avrete già riconosciuto l'eco - da ciò che diceva Warhol quando sosteneva che "bene o male, basta che se ne parli". E che lo abbia detto questo famoso artista non rende il concetto meno discutibile. Se io, per lanciare una mia nuova attività, mi mettessi a correre nudo per le strade, molestando qualsiasi donna che mi capiti a tiro o peggio ancora, assurto a novello Erostrato, decidessi di incendiare il Maschio Angioino, certamente si parlerebbe di me: il punto è che mi consacrerei come un demente cretino.
In realtà il problema è un altro: legare l'arte ad un concetto di utilità, dunque ad un impulso che non va oltre il qui ed ora, è per antonomasia la negazione del concetto di arte e di cultura. La bellezza di una persona, di un'opera d'arte, di un progetto, non rispecchia i canoni di utilità ma si sublima nella capacità di suscitare emozioni in chi, con i suoi sensi, la contempla.
Questo lo capii un giorno di qualche anno fa quando portai mia figlia al mare ad Ercolano, in una piccola spiaggetta che le piace molto e mi incuriosii nel vedere un uomo di mezza età, piccolo, asciuttissimo che puliva le pedane della spiaggia libera dove siamo. Così, gli chiedo se è un dipendente di qualche stabilimento vicino, e la sua risposta è "No, sono io che pulisco gratis perché ci sono i bambini. Spero di non disturbarla". "Ma le pare? Anzi le fa onore che faccia questo. Fossero tutti come Lei". Al che, lui mi risponde col sorriso delle persone autenticamente gentili e umili dicendomi: "Guardi che io non sono niente di speciale. Come tutti, ho le cose che mi fanno schifo e verso cui non ho riguardo e cose che invece mi preme curare. Vede questa spiaggia? È bella, è un bel mare e un bel paesaggio. Ma molti ne hanno perso la cognizione perché non conoscono la bellezza. O la danno per scontato. Se tutti noi apprezzassimo le meraviglie che abbiamo, la gente automaticamente se ne prenderebbe cura, senza pensare di dover essere pagata. Lei ha bisogno di essere pagato per prendersi cura di questa sua bella bambina? No, è sua figlia. E dunque se ne prende cura". In un minuto, quest'uomo umile, in apparenza insignificante, mi diede una lezione mille volte più importante di quella che avrei avuto da intellettuali con la mutria d'ordinanza, seriosi, azzimati, capaci di discutere soltanto di debiti, di covid, di euro, cioè di cose utili, del tutto incapaci di capire che, senza meravigliarsi e lottare per difendere ciò che amiamo attorno a noi, ogni azione politica è vana. Perché il più grande statista, il più efficiente sindaco, nulla possono contro un popolo incapace di amare la bellezza di ciò che lo circonda.

Napoli ha guadagnato qualcosa da questa iniziativa? Questa è materia che lascio al dibattimento di altri. Quel che so è che, da ieri, vengo preso in giro da mezzo mondo su Whatsapp e non da buzzurri incapaci di riconoscere l'arte dove la mia mente limitata non fosse in grado di arrivare, ma da musicisti, da avvocati, da intellettuali. Ma non è nulla di strano per chi conosca la storia. Una civiltà in declino si vede dalla bruttezza non solo esteriore ma anche e soprattutto interiore. E' come se, giunta ad una consapevolezza - giusta o sbagliata - dell'inutilità di ciò su cui si è fondata che però un tempo si credeva utile, tentasse di autodistruggersi.
D'improvviso, il culto del bello viene sostituito da quello dell'utile e quando, espletata la propria fame di illusoria utilità, si decide di gettarlo in una spazzatura perché divenuto inservibile, avviene che l'orrido, l'illogico e il mortale si impossessano non soltanto della corporeità deteriorante ma anche di quel senso di eternità che ha permesso a quella civiltà di avere un prima e un dopo.
Se si fosse ragionato in modo utilitaristico, per far quadrare i bilanci, il 99% del patrimonio artistico e culturale italiano semplicemente non esisterebbe. La Cappella Sistina, la Divina Commedia, lo Zibaldone, i Promessi Sposi, il Cristo Velato, la Gioconda, ma anche l'enorme patrimonio architettonico di cui disponiamo, non nascono dal culto del guadagno ma da una spinta interiore dettata dalla capacità di immaginare qualcosa che vada oltre il qui ed ora. Nel 2024, nessuno troverebbe utile il Colosseo, per l'ovvia ragione che non si fanno più le cose di prima - le lotte, i giochi tra i gladiatori e le simulazioni di caccia - ma nessuno si sognerebbe mai di abbatterlo. Perché chi ha costruito quell'opera, non l'ha fatto per obbedire ad un mero principio di utilità ma per specchiare, in essa, la grandezza di un impero. Perché l'utilità è, per definizione, utile, ma è qualcosa che si usa e poi si getta. Viceversa, la bellezza va oltre la materialità delle cose per arrivare in un iperuranio dove risiedono i veri valori non negoziabili di una civiltà e forse, in definitiva, della vita umana.

Arrivato come sono in prossimità della mezza età, non so ancora rispondere alla domanda se esistano o meno Dio e, con esso, l'infinito che tutti anelano. Ma l'arte, la cultura, la tradizione e l'immaginazione che le fa germogliare, sono l'unica porta che ci consente di uscire per andare a scoprire la verità nascosta, se c'è, oltre la finitudine del reale.
Viceversa, l'utilità obbedisce soltanto a bisogni primari e dunque ad uno stantio ripetersi di impulsi sempre più stanchi che prima o poi si fermano davanti alla morte fisica e che, trasferiti nell'arte, producono bruttezza.


Franco Marino


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Comments

Un articolo che crea autentica emozione, come sempre complimenti. Grazie.
Mi dispiace "sporcare" tanta bellezza ma le spiegazioni che affronti a supporto di queste ed altre installazioni in altre città, compresa la mia piccola realtà di provincia, mi fa pensare ad una regia e ad altri scopi.
Magari fosse solo per attirare attenzione! Io ci vedo zampini biechi e pericolosi che la passano liscia.
 
Mi unisco al plauso degli altri commentatori. Stavo pensando di scrivere io un articolo che partisse da questo ennesimo obbrobrio per analizzare il declino dell'arte e la morte del culto del Bello da un punto di vista storico-filosofico, legandolo alla morte dell'intera civiltà - ma hai scritto tutto tu. Oltre a quelle righe iniziali, che respirano di orizzonti leopardiani, e che non so se sia frutto di voluto studio dello stile o ti sia venuta così, spontanea.
 
L'uno non esclude l'altro. Lo stile se non si forgia nello studio e nella ricerca, inaridisce. Quindi c'è spontaneità certo, ma anche lo studio che presuppone comunque la volontà di aprirsi a chi ha impresso le sue orme prima di noi, per apprendere qualcosa di nuovo. Io sono quel che sono soltanto grazie alle cose che ho letto, spesso da autodidatta. Mi preoccuperei più che qualcuno tra duecento anni possa voler apprendere qualcosa da me. Spero che per quel giorno una grande supernova abbia distrutto il mondo :ROFLMAO:
 
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Solo i napoletani potevano accettare una struttura con tale forma dal titolo "Tu si 'na cosa grande"!!!😂. Comunque, se l'obiettivo é fare un botto mediatico é un'ottima scelta. Viviamo in un'epoca in cui le genuine opere d'arte vengono snobbate dai clic dei cellulari dato che i selfie si fanno solo con immagini eclatanti e qua ci sarà la fila.
 

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Franco Marino
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