Anzitutto bisogna premettere che chi ha inventato questo titolo - io - è consapevole che faccia vagamente ribrezzo (il titolo, spero non anche io). Infatti già pretendere di stabilire la verità su una determinata situazione - una crisi coniugale, economica, sportiva - è difficile, figuriamoci quando si tratta di una vicenda così complessa come i casini che da ottant'anni funestano il Medio Oriente.
Se faccio questa premessa è perché molti lettori mi hanno contestato, a più riprese, una certa ambiguità sulla vicenda israelopalestinese perché, secondo loro, io eviterei di schierarmi con l'una o con l'altra parte. Non hanno del tutto torto perché quella di non schierarmi è una mia precisa scelta. Che però va motivata. E spiega anche qual è la "mia verità" su questa faccenda, ben conscio che ognuno sarebbe legittimato a ridere di fronte all'informatico di mezza età senza alcuna autorevolezza che come tale spacciasse le sue considerazioni.
Partiamo da un punto fondamentale. Le rispettive rivendicazioni storiche fanno ridere i polli. Credo di aver già fatto questa specie di "parabola". La mia famiglia aveva un terreno che poi, per varie ragioni, decise di vendere. Il mio sogno è di ritornarne in possesso per fare la vita del contadino che, nel fondo del fondo, ho sempre desiderato fare. Quando la famosa Dama Bianca - amante di Fausto Coppi - rimproverava Gianni Brera perché metteva in risalto le origini contadine del ciclista, quel grande giornalista, con orgoglio, rivendicava le proprie, dicendo "Io e Fausto siamo i principi della zolla". Ecco, il mio sogno è diventare un altro principe della zolla e, quando riuscirò nel mio obiettivo, sulla carta d'identità farò scrivere "Professione: contadino". Con orgoglio.
Ma quel terreno può tornare a me solo in due modi: o minacciando gli attuali proprietari di vendermelo altrimenti li ammazzo - dopo essermi comprato il sostegno del tribunale e delle forze dell'ordine - o ben più realisticamente, quando avrò raggiunto il capitale, fare un'offerta che, non essendo registrato all'anagrafe come Vito Corleone, gli attuali proprietari potranno legittimamente rifiutare. Se, invece, dicessi che un testo sacro dice che la terra è mia o se sostenessi di avere il diritto di occuparla perché incazzato con mio padre che decise di venderlo, chi mi ascoltasse chiamerebbe l'ambulanza e mi farebbe ricoverare nel più vicino ospedale psichiatrico.
Ecco, questa è esattamente l'entità ideologica del conflitto tra israeliani e palestinesi. I primi vantano un diritto contenuto in un testo sacro, pretendendo di essere aiutati anche da chi non vi si riconosce - ma non per cattiveria ma per il semplice fatto che non è ebreo - mentre i palestinesi pretendono un territorio che non è mai stato loro ed è stato dato ai nemici da alleati molto più potenti, senza i quali Israele semplicemente non esisterebbe.
Tanto Israele quanto la fantomatica "questione palestinese" esistono perché è interesse di potenze molto più forti di loro che esistano. Nessuna delle due parti starebbe in piedi senza l'aiuto dei loro alleati.
In una situazione normale, ove il mondo fosse governato da potenze geopolitiche interessate a porre fine alla questione, il conflitto sarebbe finito dopo ventiquattro ore, nel 1948, con uno stato israeliano e uno palestinese, che è poi la soluzione proposta da analisti e politici di buonsenso. Perché comunque una nazione ebraica c'è: Israele ha una lingua, un'arte, una letteratura, una storia, una religione e quindi è giusto che abbia il suo focolare. I palestinesi non ho mai capito che identità abbiano. Non esiste una lingua palestinese, non esiste un'etnia particolare palestinese, non esiste una religione espressione del popolo palestinese, non esiste nulla di nulla che possa far pensare ad una specificità tipica di questo popolo, ma dato che a questi poveri disgraziati è stato fatto credere di aver subito un torto, va comunque dato un focolare per potersene stare in pace, perché ci sono e non possono certo essere deportati in blocco o ammazzati.
Solo che in questo conflitto il blocco atlantico e quello dei BRICS si giocano un pezzo importante della propria influenza su scala globale, sicché abbiamo un pitbull di nome Israele che morde il chihuahua di nome Hamas ma senza ammazzarlo perché viene frenato dal proprio padrone mentre l'altro, che non ha la forza di prendere a calci il padrone del pitbull, non riesce a dire "Tieni a bada il tuo cagnolone altrimenti sparo a te e a lui" né di far fare un carpiato al suo chihuahua - che in effetti è abbastanza rumoroso - anche perché teme che il padrone del pitbull possa a sua volta approfittarsene.
Parabola significa: parteggiare per il pitbull o per il chihuahua significa non cogliere l'essenza della questione, perché il problema non è dei cani ma dei padroni, ai quali bisognerebbe far capire che i loro canidi da ottant'anni stanno disturbando tutto il vicinato e che tenerli in lotta, prima ancora che fare il male delle due bestiole, fa pensare molto male anche dei loro padroni, soprattutto se questi ultimi anche altrove (leggasi Donbass, Libia, Siria) fanno le stesse manfrine. Perché gli Stati Uniti e la Federazione Russa - ciascuno con i propri alleati minori - se non risolvono questo problema e preferiscono tenerlo bollente per fare i propri interessi, perdono di credibilità davanti a tutto il mondo. Se i due padroni decidessero di trovare un accordo, il conflitto in Medio Oriente finirebbe entro ventiquattro ore, perché Israele e Palestina, senza le loro rispettive alleanze, non stanno in piedi. Pitbull e chihuahua se non hanno i padroni che gli danno da mangiare, morirebbero per inedia.
Quella tra Israele e Hamas è una guerra per procura tra blocchi geopolitici molto più ampi che si sfidano a colpi di propaganda, vittimismo, retorica pacifista, slogan, bugie, urla da stadio. Se davvero fosse interesse di questi blocchi la pace, la guerra finirebbe domani. Nessuno dei due belligeranti potrebbe fare quel che fa, senza essere sostenuto sottobanco da potenze molto più forti.
Se non si capisce questo, non si è neanche ad un decimo dalla comprensione del problema.
"Ma allora Franco hai un punto chiarissimo sulla vicenda! Perché non lo esprimi?". Perché non ha il minimo senso. E' come discutere di calcio tra ultrà della Roma e della Lazio. Ho amici di ambedue le correnti di pensiero, persone deliziosissime che, tuttavia, sull'argomento perdono completamente il lume della ragione, perché gli uni sono convinti che "gli ebrei sono il male del mondo da sopprimere" - e verrebbe da chiedere loro quanto credibile sia la tesi che otto miliardi di persone si facciano sottomettere da otto milioni di ebrei il cui potere è molto più apparente che reale (John Kleeves sul tema scrisse cose illuminanti) - e gli altri, i sionisti all'amatriciana, prendono cappello contro chiunque non dica "Io amo Israele e gli ebrei sono il popolo eletto, che non sbaglia mai".
Stando così le cose, potrei fare come Pippo Franco che, in una sua commedia, interpretava un tifoso che si fingeva romanista o laziale per non perdere le amicizie dell'una e dell'altra parte e che nella stessa partita prima indossava la giacca giallorossa della Roma e andava in Curva Sud, per poi, durante la partita, cambiare il verso della giacca che al suo interno era biancoceleste e andare in Curva Nord a fare il tifo per la Lazio. Ma occorrerebbe una faccia tosta che non ho mai avuto. Allora preferisco uscire da questo derby, non dovendo trovarmi nella fastidiosa situazione di perdere amicizie a cui tengo.
Semplicemente, mi sono rassegnato. Perché se c'è una cosa che ormai la mia esperienza di persona avviata verso la mezza età mi ha insegnato è che con i tifosi non si ragiona. O si canta con tutto il fiato in gola per le stronzate delle fazioni, oppure si rischia pure di prendersi qualche schiaffone.
Se faccio questa premessa è perché molti lettori mi hanno contestato, a più riprese, una certa ambiguità sulla vicenda israelopalestinese perché, secondo loro, io eviterei di schierarmi con l'una o con l'altra parte. Non hanno del tutto torto perché quella di non schierarmi è una mia precisa scelta. Che però va motivata. E spiega anche qual è la "mia verità" su questa faccenda, ben conscio che ognuno sarebbe legittimato a ridere di fronte all'informatico di mezza età senza alcuna autorevolezza che come tale spacciasse le sue considerazioni.
Partiamo da un punto fondamentale. Le rispettive rivendicazioni storiche fanno ridere i polli. Credo di aver già fatto questa specie di "parabola". La mia famiglia aveva un terreno che poi, per varie ragioni, decise di vendere. Il mio sogno è di ritornarne in possesso per fare la vita del contadino che, nel fondo del fondo, ho sempre desiderato fare. Quando la famosa Dama Bianca - amante di Fausto Coppi - rimproverava Gianni Brera perché metteva in risalto le origini contadine del ciclista, quel grande giornalista, con orgoglio, rivendicava le proprie, dicendo "Io e Fausto siamo i principi della zolla". Ecco, il mio sogno è diventare un altro principe della zolla e, quando riuscirò nel mio obiettivo, sulla carta d'identità farò scrivere "Professione: contadino". Con orgoglio.
Ma quel terreno può tornare a me solo in due modi: o minacciando gli attuali proprietari di vendermelo altrimenti li ammazzo - dopo essermi comprato il sostegno del tribunale e delle forze dell'ordine - o ben più realisticamente, quando avrò raggiunto il capitale, fare un'offerta che, non essendo registrato all'anagrafe come Vito Corleone, gli attuali proprietari potranno legittimamente rifiutare. Se, invece, dicessi che un testo sacro dice che la terra è mia o se sostenessi di avere il diritto di occuparla perché incazzato con mio padre che decise di venderlo, chi mi ascoltasse chiamerebbe l'ambulanza e mi farebbe ricoverare nel più vicino ospedale psichiatrico.
Ecco, questa è esattamente l'entità ideologica del conflitto tra israeliani e palestinesi. I primi vantano un diritto contenuto in un testo sacro, pretendendo di essere aiutati anche da chi non vi si riconosce - ma non per cattiveria ma per il semplice fatto che non è ebreo - mentre i palestinesi pretendono un territorio che non è mai stato loro ed è stato dato ai nemici da alleati molto più potenti, senza i quali Israele semplicemente non esisterebbe.
Tanto Israele quanto la fantomatica "questione palestinese" esistono perché è interesse di potenze molto più forti di loro che esistano. Nessuna delle due parti starebbe in piedi senza l'aiuto dei loro alleati.
In una situazione normale, ove il mondo fosse governato da potenze geopolitiche interessate a porre fine alla questione, il conflitto sarebbe finito dopo ventiquattro ore, nel 1948, con uno stato israeliano e uno palestinese, che è poi la soluzione proposta da analisti e politici di buonsenso. Perché comunque una nazione ebraica c'è: Israele ha una lingua, un'arte, una letteratura, una storia, una religione e quindi è giusto che abbia il suo focolare. I palestinesi non ho mai capito che identità abbiano. Non esiste una lingua palestinese, non esiste un'etnia particolare palestinese, non esiste una religione espressione del popolo palestinese, non esiste nulla di nulla che possa far pensare ad una specificità tipica di questo popolo, ma dato che a questi poveri disgraziati è stato fatto credere di aver subito un torto, va comunque dato un focolare per potersene stare in pace, perché ci sono e non possono certo essere deportati in blocco o ammazzati.
Solo che in questo conflitto il blocco atlantico e quello dei BRICS si giocano un pezzo importante della propria influenza su scala globale, sicché abbiamo un pitbull di nome Israele che morde il chihuahua di nome Hamas ma senza ammazzarlo perché viene frenato dal proprio padrone mentre l'altro, che non ha la forza di prendere a calci il padrone del pitbull, non riesce a dire "Tieni a bada il tuo cagnolone altrimenti sparo a te e a lui" né di far fare un carpiato al suo chihuahua - che in effetti è abbastanza rumoroso - anche perché teme che il padrone del pitbull possa a sua volta approfittarsene.
Parabola significa: parteggiare per il pitbull o per il chihuahua significa non cogliere l'essenza della questione, perché il problema non è dei cani ma dei padroni, ai quali bisognerebbe far capire che i loro canidi da ottant'anni stanno disturbando tutto il vicinato e che tenerli in lotta, prima ancora che fare il male delle due bestiole, fa pensare molto male anche dei loro padroni, soprattutto se questi ultimi anche altrove (leggasi Donbass, Libia, Siria) fanno le stesse manfrine. Perché gli Stati Uniti e la Federazione Russa - ciascuno con i propri alleati minori - se non risolvono questo problema e preferiscono tenerlo bollente per fare i propri interessi, perdono di credibilità davanti a tutto il mondo. Se i due padroni decidessero di trovare un accordo, il conflitto in Medio Oriente finirebbe entro ventiquattro ore, perché Israele e Palestina, senza le loro rispettive alleanze, non stanno in piedi. Pitbull e chihuahua se non hanno i padroni che gli danno da mangiare, morirebbero per inedia.
Quella tra Israele e Hamas è una guerra per procura tra blocchi geopolitici molto più ampi che si sfidano a colpi di propaganda, vittimismo, retorica pacifista, slogan, bugie, urla da stadio. Se davvero fosse interesse di questi blocchi la pace, la guerra finirebbe domani. Nessuno dei due belligeranti potrebbe fare quel che fa, senza essere sostenuto sottobanco da potenze molto più forti.
Se non si capisce questo, non si è neanche ad un decimo dalla comprensione del problema.
"Ma allora Franco hai un punto chiarissimo sulla vicenda! Perché non lo esprimi?". Perché non ha il minimo senso. E' come discutere di calcio tra ultrà della Roma e della Lazio. Ho amici di ambedue le correnti di pensiero, persone deliziosissime che, tuttavia, sull'argomento perdono completamente il lume della ragione, perché gli uni sono convinti che "gli ebrei sono il male del mondo da sopprimere" - e verrebbe da chiedere loro quanto credibile sia la tesi che otto miliardi di persone si facciano sottomettere da otto milioni di ebrei il cui potere è molto più apparente che reale (John Kleeves sul tema scrisse cose illuminanti) - e gli altri, i sionisti all'amatriciana, prendono cappello contro chiunque non dica "Io amo Israele e gli ebrei sono il popolo eletto, che non sbaglia mai".
Stando così le cose, potrei fare come Pippo Franco che, in una sua commedia, interpretava un tifoso che si fingeva romanista o laziale per non perdere le amicizie dell'una e dell'altra parte e che nella stessa partita prima indossava la giacca giallorossa della Roma e andava in Curva Sud, per poi, durante la partita, cambiare il verso della giacca che al suo interno era biancoceleste e andare in Curva Nord a fare il tifo per la Lazio. Ma occorrerebbe una faccia tosta che non ho mai avuto. Allora preferisco uscire da questo derby, non dovendo trovarmi nella fastidiosa situazione di perdere amicizie a cui tengo.
Semplicemente, mi sono rassegnato. Perché se c'è una cosa che ormai la mia esperienza di persona avviata verso la mezza età mi ha insegnato è che con i tifosi non si ragiona. O si canta con tutto il fiato in gola per le stronzate delle fazioni, oppure si rischia pure di prendersi qualche schiaffone.
E francamente, il gioco non vale la candela.
Franco Marino
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