Il problema del muliericidio - la parola "femminicidio" farebbe rientrare tra le vittime anche una cagnetta, quindi è sbagliata - è molto meno grave di quanto si creda. Tanto per cominciare, le donne che sono vittime di omicidio sono talmente poche che il rapporto è di una su 700.000, quasi sei volte meno probabile di una quaterna al lotto che paga 120.000 volte la posta: se per qualche lettrice puntare 10 euro e vincerne 1.200.000 è frequente, me ne rallegro con lei e potrei consigliarle qualche buon investimento. Inoltre, non tutte le donne sono vittime di delitti passionali anche perché nessuno si sognerebbe di definire la poveretta di 85-90 anni, accoppata dopo aver ritirato la pensione come "vittima di femminicidio" e, dunque, quel delitto non fa nessuna notizia, mentre gli omicidi di Giulia Tramontano e di Giulia Cecchettin hanno occupato le pagine dei giornali, delle TV e dei social per giorni, a volte mesi.
E tuttavia, se scrivo questo articolo è anche perché la mamma di una ragazza di vent'anni, con la quale spesso polemizzo ma sempre in amicizia su questi temi, mi ha chiesto alla luce della vicenda Turetta perché, secondo me - in quanto maschio - molti uomini non sanno accettare la fine di una storia sentimentale. E dal momento che, come qualsiasi maschio comune mortale, ho ricevuto la mia dose di due di picche, di abbandoni - spesso anche brutali - posso provare ad azzardare una risposta.

Anzitutto, quando parliamo di uomini, ci riferiamo ad un universo ampiamente stratificato che va dal ragazzino appena assurto ai furori del testosterone fino al vecchio di novant'anni con la dotazione maschile in pace, passando per uomini adulti nel pieno del loro vigore, uomini che sono "nel mezzo del cammin di nostra vita" come chi scrive, uomini che entrano nella terza età. Ben presto, un uomo conosce l'esperienza del rifiuto o dell'abbandono, più o meno brutale o diplomatico, da parte di una donna.
Il motivo per cui alcuni non lo accettano, nasce dalla dissonanza cognitiva che c'è tra il rapporto con i propri genitori e ciò che si aspettano dalla fidanzata di turno. I genitori crescono molti figli maschi - anche femmine, ma qui parliamo di maschi - nella convinzione che siano altissimi, bellissimi, levissimi, intelligentissimi e che meritano una fidanzata bellissima, focosissima, intelligentissima, dolcissima e che per giunta si trasformi in una sorta di figura ibrida tra la seconda madre, l'amante e l'amica, senza neanche immaginare - e qui viene da sorridere - che un capolavoro di cotale perfezione possa non voler contentarsi di uomini normali, specialmente se dall'altra parte gli viene richiesta tale perfezione. Ed è proprio qui il problema. Quando il nostro piccolo capolavoro michelangiolesco approderà al cospetto di un universo femminile non disposto a ritenerlo tale, arriverà la crisi di identità che, senza per forza arrivare all'estremo del muliericidio finale, sarà comunque sufficiente a trasformare il pargolo in un fastidioso e pericoloso stalker.
Molti genitori crescono il proprio bambino nella convinzione che sia il più bello e intelligente del mondo, una specie di Brad Pitt con l'intelligenza di Cacciari. E non essendo, ovviamente, nella quasi totalità dei casi, vera nessuna delle due cose, inevitabilmente gli arriverà addosso, come un treno, quel momento in cui si chiederà perché la gente rifiuti l'immagine ritagliatagli addosso da mammà e papà. Se gli capita, come nel mio caso, di iniziare praticamente sin da subito a lavorare in un ambito, quello dell'informatica e da privato - dove non esiste la sufficienza e dove si va avanti soltanto se si soddisfa pienamente il cliente e dove, come dicono gli anglofoni, "your best is not enough", il tuo meglio non è abbastanza - svilupperà una mentalità che lo porterà, dopo essersi rotto il naso contro i primi insuccessi, a studiare e perfezionarsi, senza aspettarsi miracoli ma soltanto qualcosa in più e sapere che tutto è precario, che tutto ciò che di bello abbiamo può finire da un momento all'altro, che il Male è sempre dietro l'angolo pronto a tenderci un agguato. Ma se un uomo continua ad essere agganciato ad un'educazione che gli fa credere di essere il migliore, che è speciale per il semplice fatto di esistere, con genitori che non sanno insegnargli a fare a meno di loro - e in generale di chiunque - e dunque crescono dipendenti emotivamente ed economicamente e che ogni donna del creato debba cadergli davanti ai piedi al primo sguardo, avremo il prototipo del viziato narcisista patologico che, inevitabilmente, reagirà violentemente contro chiunque lo riporterà con le chiappe a terra, pensando che se un allenatore non lo fa giocare è perché "sceglie i raccomandati" e se la persona amata lo abbandona o non lo vuole come compagno è perché se la tira o peggio ancora è una zoccola, non è lui che non è all'altezza.

La persona strutturata, invece, sa che nulla gli è dovuto. Lotta, corre, suda, fatica, si batte ogni giorno per poi, spesso, mettere in conto di dover contentarsi delle briciole o che gli venga sottratta la merenda da chiunque gliel'abbia data e nonostante tutto cerca di ripartire daccapo. E questo anche nei sentimenti. Si rende ben presto conto che l'amore è un temporaneo offuscamento di origine biologica in nome del quale si fa larghissimo abuso di promesse alle quali sul momento si crede anche, ma che vengono rapidamente sconfessate da cambiamenti ormonali, sociali e personali o semplicemente dalla comparsa di qualcuno di migliore o di nuove mode.
Cantava Mia Martini in "Almeno tu nell'universo", con la sua meravigliosa voce, sul profondissimo e verissimo testo di Bruno Lauzi che "la gente è matta, forse è troppo insoddisfatta, segue il mondo ciecamente, quando la moda cambia lei pure cambia, continuamente, scioccamente".
E dunque, non di rado, quegli occhi dolci e quelle parole d'amore che un tempo ci sembravano eternati da impegnative promesse, possono - e spesso persino dalla sera alla mattina - trasformarsi in gelide e monosillabiche chiusure, in spregio a tutto ciò che si è condiviso di bello.
A questo si aggiunga la serena consapevolezza che una donna - portata dalla natura ad essere (e lo dico senza alcuna connotazione sessistica od offensiva nei confronti delle mie lettrici, ma perché è un inevitabile fatto biologico, di selezione dei geni) una selezionatrice biologica, perché giustamente accanto a sé vuole uomini all'altezza, nell'interesse della specie - ha molto meno bisogno di un uomo che il contrario, soprattutto in un'era dove persino la più insignificante delle appartenenti al cosiddetto gentil sesso può ottenere, in un social attraverso il micidiale like, una validazione dai tanti sfigati alla ricerca disperata di attenzioni, per poi convincersi di essere ad un passo dal diventare una diva dello star system.

Come reagire a questo stato di cose? Semplicemente accettando che l'amore, quello vero, in un'era come questa, sia talmente raro che quando ci arriva, invece di abbandonarvisi, va goduto giorno dopo giorno, consapevoli della sua caducità che può concretarsi anche in un momento di crisi personale, finanziaria, psicologica che la moglie o la fidanzata non accetteranno. Senza fare drammi o sciocchezze contro se stessi o contro chi ci abbandona, quando accade. Perché per la gioia di essere amati, viepiù nei propri momenti difficili, di terrore, di depressione, questa non è l'epoca giusta. Siamo in una fase storica edonistica, in cui la concezione del legame interpersonale inteso non soltanto come scambio di piacere psicofisico ma anche come impegno, sacrificio, volontà di riparare i guasti che emergessero in corso d'opera, migliorarsi reciprocamente, è considerata un retaggio del patriarcato, non la base di una famiglia sana.
Qualcuno ha brillantemente scritto una massima che sta girando molto sui social ossia che "il motivo per cui molte persone sono single è perché stanno cercando un amore dell'Ottocento o dei tempi antichi in una cultura come quella del 2024".
Penso che non sia andato tanto lontano dalla realtà.


Franco Marino


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Non esistono formule scientifiche per bypassare le delusioni in campo sentimentale e, più in generale, in campo umano. Però può aiutare, come fa il sottoscritto, evitare di caricare di aspettative il prossimo. Infatti spesso mia moglie si lamenta con me perché si aspetta che faccia o dica certe cose. E queste cose, purtroppo, talvolta non si realizzano. Creando una sorta di frustrazione o di delusione nei miei confronti. D'altro canto chi scrive si sforza di non nutrire aspettative nei confronti di mia moglie, dei miei figli e del prossimo. Poiché cosciente del fatto che ognuno di noi è un "unicum", un "pezzo unico" irripetibile con le proprie idee, i propri pensieri e la propria percezione della realtà. Perciò non posso aspettarmi che il prossimo agisca in una certa situazione come avrei agito io. Quindi, in sintesi, poche aspettative=poche delusioni.
 
Ho aspettato prima di commentare anche perché credo tu abbia detto tutto
Fine di un amore / abbandono … qualsiasi grande dolore
Come affrontarlo? Non ci viene insegnato…
Nel corso della vita ci vengono dati degli strumenti che dovrebbero essere il nostro salvavita in queste fasi… in questi anni ho riflettuto tanto su questi temi e ho sempre notato che se non si hanno delle risorse personali difficilmente si riesce ad affrontare qualsiasi cosa
Parlo di risorse culturali, interessi, un po’ di intelligenza, affetto, rispetto verso l’altra persona
Se si ha questa maturità si va avanti… con il dolore ma avanti
Tutto questo deve partire da quando si è bambini … senza commettere l’errore di esaltare il proprio figlio
Non facendo mai mancare l’elogio e il rimprovero quando serve ma non l’ esaltazione
Questo discorso vale sia per gli uomini che per le donne
 

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