Nei rapporti interpersonali sono totalmente liberale. Non aspettandomi mai niente di positivo dal mio prossimo - anzi essendo preparato a qualsiasi bassezza - e conscio della mia natura di essere umano imperfetto, e che quindi può sbagliare e deve essere pronto a perdonare, mi sono sempre tenuto lontano dalla mania di controllare gli altri, di dover preoccuparmi, per esempio, che la persona con cui ho un rapporto sentimentale, guardando un altro, possa fargli qualche apprezzamento. Se ciò accade e la cosa diventa sistematica e dunque sgradevole, non mi metto a fare scenate. Me ne vado, semplicemente. Senza dare spiegazioni. E questo per una ragione semplicissima: se un coniuge/compagno sogna un altro, non è impedendole di dirlo che la cosa passerà. Anzi mi dimostrerei fragile e le farei pensare "si preoccupa perché sente di valere poco".
Certo, quando si parla di cose assai più complesse come la tenuta dell'ordine pubblico, magari questo discorso può non apparire azzeccato, ma il punto è esattamente questo: vietare alle persone l'espressione dei propri sentimenti, compreso il desiderio di sovvertire l'ordine costituito, mostra immancabilmente la debolezza strutturale del proprio appeal come democrazia.
Queste considerazioni sono ispirate dall'osservazione del DDL sicurezza, che al netto di alcune cose oggettivamente incontestabili, ne contiene altre piuttosto inquietanti e rivedibili.
Tra queste, spicca la possibilità di farsi sei anni di galera se si propaganda sui social media la lotta, considerata "terrorismo della parola", che scendono a quattro se qualcuno propone la resistenza passiva, tanto che con un umorismo tipicamente britannico, qualcuno l'ha ribattezzata "legge anti-Gandhi". Infine, viene sanzionato non soltanto chi occupa un immobile (e questo, a dirla tutta, è sacrosanto) ma anche chi solidarizza con gli occupanti, e questa è, invece, una sciocchezza. Che dire al riguardo?

Al netto della considerazione sulla raccapricciante disonestà intellettuale di una sinistra che rivendica il "diritto al dissenso" dopo averlo criminalizzato in ogni modo durante la pandemia ma anche prima - fino al ridicolo articolo di Ezio Mauro (che certamente non è uno stupido) per il quale "chi dubita è di destra" (sic!) - non per questo possiamo approvare una cosa se esula dallo spirito di una rivista come questa che ha sempre difeso, con la sua flebile voce, la libertà d'espressione. Chi scrive, appartiene alla categoria di coloro che rischiano fino a sei anni di carcere perché, in più di una circostanza, ho scritto che da questa situazione non se ne esce con le buone. Convinzione che mi tengo stretta e che non mancherò mai di esprimere, quantunque dovessero sventolarmi la prospettiva della gattabuia. Non si tratta del fatto che "mi piace l'odore del napalm al mattino", ma di una considerazione che trae spunto guardando la realtà. Questo paese ha bisogno di cose che non solo non vengono fatte ma neanche calendarizzate, anzi non solo non vengono calendarizzate, ma neanche prese in considerazione. Tutti hanno la sensazione che certe cose necessarie non si faranno mai. Non avremo mai una burocrazia fuori dalle scatole, un governo che punti ad incentivare la libertà d'impresa, che dia un sostegno a chi è in difficoltà non per svogliatezza ma per evidenti limiti strutturali sociali, tutte cose che attengono al semplice desiderio, di un cittadino di una democrazia liberale, di poter prosperare senza vedersi infastidito e di avere un paracadute nel caso le cose andassero male, che è poi il motivo per cui esiste uno stato.
Se queste cose non si fanno, mi sembra chiara la conseguenza: la gente si incazza. A quel punto, tutto dipende da quanta gente è incazzata. Sicché, se qualcuno propone di cambiare le cose con una rivoluzione, ci sono due possibilità: o c'è poca gente a pensarla come lui e allora il tizio viene rapidamente emarginato. Oppure ce n'è tanta e, in quel caso, non ha molto senso prendersela con la "farfalla che ha scatenato l'uragano", perché quel fenomeno atmosferico si verifica soltanto se ci sono le condizioni, viceversa rimane un insignificante insettino che sbatte le ali, muovendo molta meno aria di quanta ne possa spostare io con la mia, per usare un eufemismo, rispettabile mole, e che può essere schiacciato con una semplice carezza.
In sintesi, le rivoluzioni nascono quando ci sono le condizioni perché si sviluppino e non è reprimendo il dissenso che queste si plachino, anzi in questo modo si dimostra fragilità. Quando un bambino piccolo ci punta una pistola ad acqua addosso dicendoci "ora ti ammazzo", noi ovviamente gli ridiamo dietro. Ma se alla gente facciamo vedere che abbiamo paura di lui, tante altre persone, che non hanno voglia di giocare ma di crearci problemi, possono decidere di minacciarci con armi vere, osservando la nostra suscettibilità alla paura.

Ormai tra i cittadini e lo Stato c'è lo stesso rapporto stanco tra due fidanzati o coniugi che guardano il/la belloccio/a per strada. Se uno dei due si gira a guardarlo, l'altro può provare a vietargli di esprimere il proprio gradimento ma certo non può impedirgli di sognare di portarselo a letto.
Parabola significa: le classi dirigenti possono legiferare quanto vogliono. A minacciare rivoluzioni sui social ci sono solo pochi sparuti fessi del tutto irrilevanti. Chi davvero volesse fare la rivoluzione e avesse buone carte per spuntarla, certamente non la farebbe su Facebook, TikTok o Youtube e non potrebbe essere fermato nemmeno dalla più liberticida delle norme.
Semmai, quello che da questa modesta pagina ci permettiamo di suggerire al governo Meloni è di tappare la bocca a Musumeci quando vaneggia polizze obbligatorie per i danni da cambiamento climatico per la casa. Perché la rana dalla bocca larga che sfoga in un social media la propria frustrazione invitando alla rivolta può essere facilmente emarginata. Milioni di proprietari di casa che, avendo finalmente capito il pericolo che corrono, si associassero e andassero a prendere con i forconi le classi dirigenti, non sono neutralizzabili nemmeno con un regime coreano. E certo non perché glielo suggerisce un fesso qualsiasi come me.


Franco Marino


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