Come chiunque abbia avuto parenti più anziani di cui ad un certo momento dover prendersi cura, ho dovuto spesso avere a che fare con gli ospedali. E, devo dire la verità, con la medicina e in generale la cosiddetta Sanità, ho un rapporto sereno. Non mi sono mai aspettato cose impossibili, non ho mai preteso cose che non potesse darmi e la mia indole scettica, tra i tanti svantaggi, ha il vantaggio, non inducendomi mai alle illusioni, di farmi ragionare rasoterra. Sicché non ho mai dato poteri salvifici a chi non li ha. E non ho mai idolatrato la figura del medico, senza mai farmi intimorire dalla cordiale spocchia di cui molti di loro sono provvisti. Il medico non è che un meccanico che invece di curare un'automobile, cerca di risolvere i problemi di quella macchina meravigliosa che è il corpo umano. A rendere totalmente diverse le due professioni è soltanto che se un meccanico finisce di rovinare la l'automobile, rovina un pezzo di ferro che può essere sostituito, mentre se ammazza un nostro congiunto, ci priva di una persona insostituibile nei nostri affetti. Ma le differenze finiscono qui. Perché per il resto, tanto un uomo quanto un'automobile hanno caratteristiche molto simili, ognuno ha un diverso funzionamento, in alcuni casi problemi congeniti e un chilometraggio superato il quale ogni metro in più è "un regalo di Dio". Per non dire di come viene tenuto il veicolo, altro aspetto fondamentale. Per esempio, io so che quando parcheggio, devo mettere il cambio a folle, perché altrimenti danneggio la frizione.
E' anche sapendo questo che quando la malattia ha minacciato la mia esistenza e quella dei miei cari, l'ho affrontata con la serenità di chi è cosciente della caducità propria e di chi ama, oltre al fatto di averci messo il mio per mettermi in certe situazioni. Quando a mio padre fu diagnosticato il morbo di Parkinson, non pretendevo certo la guarigione dal neurologo ma che quantomeno avesse un decorso dignitoso, senza aspettarmi miracoli. Al netto di qualche situazione sgradevole che pur non è mancata, sono stato accontentato.
Ma questo sproloquio attinto dalla mia vita di cui legittimamente non frega a nessuno a cosa vuol portare? Ad un tema di cui si sta parlando sempre più, quello dell'aggressione al personale sanitario: medici, infermieri, amministrativi e via discorrendo.
Non siamo di fronte al singolo caso del tizio che impazzisce e fa fuori la famiglia o ammazza la compagna, che si verifica ogni tanto e fa credere che ci si trovi dinnanzi a chissà quale stramba emergenza. Qui parliamo di una situazione talmente grave e sistematica che non ha nemmeno senso attingere al fatto di cronaca finito nel rilievo nazionale, perché se uno mette su Google le parole "aggressioni" "pronto soccorso", si ritrova praticamente un evento di questo tipo al giorno. E come sempre accade, si cerca di dividere la massa in fazioni incarognite e inconcludenti. Certo, poi la domanda è anche lecita: chi ha torto? I medici? I pazienti?
In questi casi, non si può standardizzare perché dietro questo fenomeno c'è un "combinato disposto" (per usare un'espressione terribilmente di moda) di fattori che non necessariamente si elidono a vicenda.
La classe medica ha senza dubbio le sue colpe. Poc'anzi ho scritto che il mio rapporto con la medicina è sereno, in quanto che ho conosciuto molti ottimi professionisti. Ma dove vengono meno oggi gli operatori sanitari è nella relazione col paziente. Abituati a dover confrontarsi con l'ineluttabilità della morte e del dolore, non si rendono conto che mentre loro fanno l'abitudine a certe cose, dall'altra parte c'è il dramma umano di chi si vede diagnosticata una terribile malattia e quello dei familiari che si dovranno confrontare con tutte le implicazioni anche pratiche di un congiunto che peggiorerà fino a morire, tutte cose che tolgono lucidità anche a persone miti. Ricordo che quando mio padre era ricoverato per la frattura di un femore, io persona mite, in una settimana rischiai di venire alle mani per ben due volte prima con un infermiere arrogante e poi con un compagno di stanza, un avanzo di galera che stava infastidendo il mio vecchio, cosa che avevo segnalato alla caposala, ricevendo spallucce. A spiegazione di questo, ho sempre detto - guadagnandomi qualche antipatia presso qualche lettore che o lo è o ne ha in famiglia - che i medici sono mediamente dei cretini, anche quando nel loro ambito sono dei luminari. E questo ovviamente può avere come spiegazione che avendo passato la propria vita interamente sui libri, praticamente hanno smesso di occuparsi di tutto il resto, compreso il relazionarsi con gli altri. Li ho visti dire e fare cose da codice penale e tuttavia col sorriso di chi crede di aver fatto la cosa più naturale, come quel medico che, tanti anni fa, a seguito di un'operazione abbastanza semplice, mi chiese di fargli un sito web: e quando gli chiesi di essere pagato, mi rimproverò con un'email scritta. Perché? Perché lui mi aveva "operato gratis". Gratis? In ospedale? In altri termini aveva citato nero su bianco che, per essere operati da lui, in un ospedale pubblico, bisognava pagare. Ecco perché i medici sono ignoranti e per qualche verso infantili. Non hanno consapevolezza del mondo in cui vivono e dei rischi che corrono. Finì che rinunziai al pagamento. Ed anche a denunciarlo. Insomma, nel mio tribunale interiore lo assolsi per incapacità di intendere e di volere.
Poi senz'altro c'è anche lo scarso realismo della gente che si fa turlupinare dalla spocchia dello scienziato salvo però, come contraccambio dell'atto di fede nei confronti della scienza, pretendere che questi sia il Deus ex machina che gli risolverà il problema, né più né meno del fedele che dopo aver vissuto virtuosamente tutta la propria esistenza, pretende il Paradiso.
Di base c'è che il legame di fiducia tra il popolo e la scienza si è deteriorato. Da una parte, chi ha un problema si aspetta, anzi pretende, la soluzione. E dall'altra gli scienziati agiscono con la sorda e cordiale arroganza - che la pandemia ha soltanto peggiorato - di chi non capisce che il mondo non si esaurisce nei laboratori. Una volta che il paziente ha ricevuto notizia di una prognosi infausta, c'è l'uomo di cui bisogna prendersi cura, assieme alle persone che gli stanno al fianco. E siamo fortunati quando possiamo parlare di semplice mancanza di empatia. Perché gli scienziati possono essere anche ladri, corrotti o semplicemente ricattati perché hanno commesso quel solo, unico, peccatuccio di gioventù che, se svelato, periglierebbe la loro carriera e quindi sono costretti a dire e fare cose che altrimenti non farebbero.
Dalla medicina in generale, ci aspettiamo troppo e non dovremmo. Anche perché quando pure uno guarisse da una patologia, non avrebbe fatto altro che schivare una delle tante pallottole che, andando avanti con gli anni, colpiranno il nostro corpo. La scienza è una tecnica, non fa miracoli, non consola, non dà sollievo. La pace di una guarigione, di una diagnosi meno drammatica di quanto si creda, è solo un rinvio.
E' anche sapendo questo che quando la malattia ha minacciato la mia esistenza e quella dei miei cari, l'ho affrontata con la serenità di chi è cosciente della caducità propria e di chi ama, oltre al fatto di averci messo il mio per mettermi in certe situazioni. Quando a mio padre fu diagnosticato il morbo di Parkinson, non pretendevo certo la guarigione dal neurologo ma che quantomeno avesse un decorso dignitoso, senza aspettarmi miracoli. Al netto di qualche situazione sgradevole che pur non è mancata, sono stato accontentato.
Ma questo sproloquio attinto dalla mia vita di cui legittimamente non frega a nessuno a cosa vuol portare? Ad un tema di cui si sta parlando sempre più, quello dell'aggressione al personale sanitario: medici, infermieri, amministrativi e via discorrendo.
Non siamo di fronte al singolo caso del tizio che impazzisce e fa fuori la famiglia o ammazza la compagna, che si verifica ogni tanto e fa credere che ci si trovi dinnanzi a chissà quale stramba emergenza. Qui parliamo di una situazione talmente grave e sistematica che non ha nemmeno senso attingere al fatto di cronaca finito nel rilievo nazionale, perché se uno mette su Google le parole "aggressioni" "pronto soccorso", si ritrova praticamente un evento di questo tipo al giorno. E come sempre accade, si cerca di dividere la massa in fazioni incarognite e inconcludenti. Certo, poi la domanda è anche lecita: chi ha torto? I medici? I pazienti?
In questi casi, non si può standardizzare perché dietro questo fenomeno c'è un "combinato disposto" (per usare un'espressione terribilmente di moda) di fattori che non necessariamente si elidono a vicenda.
La classe medica ha senza dubbio le sue colpe. Poc'anzi ho scritto che il mio rapporto con la medicina è sereno, in quanto che ho conosciuto molti ottimi professionisti. Ma dove vengono meno oggi gli operatori sanitari è nella relazione col paziente. Abituati a dover confrontarsi con l'ineluttabilità della morte e del dolore, non si rendono conto che mentre loro fanno l'abitudine a certe cose, dall'altra parte c'è il dramma umano di chi si vede diagnosticata una terribile malattia e quello dei familiari che si dovranno confrontare con tutte le implicazioni anche pratiche di un congiunto che peggiorerà fino a morire, tutte cose che tolgono lucidità anche a persone miti. Ricordo che quando mio padre era ricoverato per la frattura di un femore, io persona mite, in una settimana rischiai di venire alle mani per ben due volte prima con un infermiere arrogante e poi con un compagno di stanza, un avanzo di galera che stava infastidendo il mio vecchio, cosa che avevo segnalato alla caposala, ricevendo spallucce. A spiegazione di questo, ho sempre detto - guadagnandomi qualche antipatia presso qualche lettore che o lo è o ne ha in famiglia - che i medici sono mediamente dei cretini, anche quando nel loro ambito sono dei luminari. E questo ovviamente può avere come spiegazione che avendo passato la propria vita interamente sui libri, praticamente hanno smesso di occuparsi di tutto il resto, compreso il relazionarsi con gli altri. Li ho visti dire e fare cose da codice penale e tuttavia col sorriso di chi crede di aver fatto la cosa più naturale, come quel medico che, tanti anni fa, a seguito di un'operazione abbastanza semplice, mi chiese di fargli un sito web: e quando gli chiesi di essere pagato, mi rimproverò con un'email scritta. Perché? Perché lui mi aveva "operato gratis". Gratis? In ospedale? In altri termini aveva citato nero su bianco che, per essere operati da lui, in un ospedale pubblico, bisognava pagare. Ecco perché i medici sono ignoranti e per qualche verso infantili. Non hanno consapevolezza del mondo in cui vivono e dei rischi che corrono. Finì che rinunziai al pagamento. Ed anche a denunciarlo. Insomma, nel mio tribunale interiore lo assolsi per incapacità di intendere e di volere.
Poi senz'altro c'è anche lo scarso realismo della gente che si fa turlupinare dalla spocchia dello scienziato salvo però, come contraccambio dell'atto di fede nei confronti della scienza, pretendere che questi sia il Deus ex machina che gli risolverà il problema, né più né meno del fedele che dopo aver vissuto virtuosamente tutta la propria esistenza, pretende il Paradiso.
Di base c'è che il legame di fiducia tra il popolo e la scienza si è deteriorato. Da una parte, chi ha un problema si aspetta, anzi pretende, la soluzione. E dall'altra gli scienziati agiscono con la sorda e cordiale arroganza - che la pandemia ha soltanto peggiorato - di chi non capisce che il mondo non si esaurisce nei laboratori. Una volta che il paziente ha ricevuto notizia di una prognosi infausta, c'è l'uomo di cui bisogna prendersi cura, assieme alle persone che gli stanno al fianco. E siamo fortunati quando possiamo parlare di semplice mancanza di empatia. Perché gli scienziati possono essere anche ladri, corrotti o semplicemente ricattati perché hanno commesso quel solo, unico, peccatuccio di gioventù che, se svelato, periglierebbe la loro carriera e quindi sono costretti a dire e fare cose che altrimenti non farebbero.
Dalla medicina in generale, ci aspettiamo troppo e non dovremmo. Anche perché quando pure uno guarisse da una patologia, non avrebbe fatto altro che schivare una delle tante pallottole che, andando avanti con gli anni, colpiranno il nostro corpo. La scienza è una tecnica, non fa miracoli, non consola, non dà sollievo. La pace di una guarigione, di una diagnosi meno drammatica di quanto si creda, è solo un rinvio.
Solo trovare un senso della vita, possibilmente nella fede, ci guarisce dall'inquietudine che l'approssimarsi della fine e della vecchiaia inevitabilmente ci procura.
Franco Marino
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