La scomparsa di Totò Schillaci addolora qualsiasi persona di buon cuore. Ad essere morto è, intanto, un uomo ancora relativamente giovane e con un bel po' di vita davanti, poi una persona perbene, un padre di famiglia che lascia dei figli che, per quanto possano essere indipendenti, sicuramente avevano ancora bisogno di lui. E infine un grande calciatore, che forse non è riuscito a realizzare pienamente le premesse di una carriera che avrebbe potuto consacrarlo come uno dei più grandi attaccanti italiani di sempre - e per la quale aveva tutte le caratteristiche tecniche (chi lo riteneva tecnicamente scarso, di calcio non capisce nulla) ma che non gli è riuscita per alcuni limiti caratteriali - ma che comunque ha lasciato un segno indelebile nella memoria di chiunque abbia ancora in mente le famose "notti magiche" di Italia '90. Stanno scomparendo tutti quei personaggi che hanno rappresentato un'epoca, quella dorata degli anni Ottanta, che tutti rimpiangono. I social poi, con i loro gruppi e le loro pagine inneggianti ai bei tempi che furono, hanno dato nuova linfa ad un fenomeno, quello del nostalgismo, che certamente provoca profondi struggimenti soprattutto in chi ha perso dei cari e il vigore psicofisico della giovinezza, ma dal quale, tuttavia, nonostante non sia più giovanissimo, mi sono sempre tenuto lontano, per tutta una serie di ragioni.
Una fase storica non va giudicata soltanto sulla base delle cose belle che fa vivere. Se un capofamiglia fa vivere i suoi familiari un decennio dorato, salvo poi perdere tutto perché nel frattempo aveva riempito i suoi figli di debiti, possiamo definirlo un buon padre di famiglia? Stefano Tanzi, figlio di Calisto, patron della Parmalat, non ha mai perdonato al padre il terribile bagno nella realtà a cui è stato costretto dal crac dell'azienda di famiglia. Immaginate il figlio di uno dei più ricchi imprenditori del mondo che oggi deve considerarsi fortunato di ricevere uno stipendio come lavoratore dipendente. A cosa è servito vivere anni così agiati se il prezzo è quello di finire così?
L'Italia, nello specifico, ha vissuto due momenti fondamentalmente dorati: gli anni '60 e '80 che sono stati una parabola storica felice ma nelle quali si stavano gettando le basi per i guai che stiamo vivendo nel 2024.
Quando si sente dire "com'erano belle le centomila lire che non finivano mai", si dimentica che quel meccanismo si chiamava svalutazione competitiva, alla base di un buon 90% dei guai che stanno vivendo attualmente le economie occidentali e che ci potevamo permettere solo perché i veri padroni delle nostre economie avevano interesse, per tenerci lontani da tentazioni sovietiche, a sostenerlo. Era la fossa nella quale stavamo cadendo e ci troviamo oggi.
Se ad una qualsiasi persona di buonsenso dicessero "Passerai un periodo di serenità ma il conto finirà sulla testa dei vostri figli e nipoti che andranno a chiedere l'elemosina per le strade", non credo che questa accetterebbe volentieri.
Inoltre, troppo spesso tendiamo ad identificare i periodi in cui eravamo più giovani e avevamo ancora accanto a noi persone che poi sono scomparse, come felici, dimenticando le grandi opportunità che proprio la modernità ci offre e mitizzando un passato che, in fondo, non è stato così memorabile.
Questo naturalmente non significa che il presente sia roseo - tutt'altro - e che non ci siano tante cose del passato da rimpiangere. E intendiamoci bene, su questa involuzione che ormai pervade la nostra società bisognerebbe fare un discorso molto particolareggiato per ogni settore che non può mischiare tutto in un unico calderone. I motivi per cui nella musica c'è stato un declino sono diversi da quelli per cui c'è stato nel calcio, nel cinema e nella TV. E per ognuno di questi ambiti, bisognerebbe dedicare un articolo apposito. Ma in generale, l'era attuale è di declino perché è il paese stesso ad essere in crisi, perché è l'Occidente ad attraversare un momento di profonda recessione culturale prima ancora che economica. Non mancando tuttavia momenti dorati in alcuni ambiti. Per esempio, chi è appassionato di tennis come me può gioire di poter osservare al primo posto del ranking ATP Jannik Sinner, una roba che se me l'avessero predetta anche solo nel 2016 o nel 2017, non ci avrei mai creduto. E allora bisogna indagare l'origine dei successi in certi ambiti e provare ad applicarli, per quanto possibile, in quelli dove siamo in crisi.
Soprattutto, viviamo un periodo in cui abbiamo delle possibilità tecnologiche che un tempo ci saremmo soltanto potuti sognare, salvo poi lamentarci sui simboli della postmodernità come social e smartphone, di quanto si stava meglio quando si stava peggio, senza nemmeno rendersi conto della dissonanza cognitiva insita nella cosa.
La strada per la rinascita parte da un concetto di fondo banale: bisogna fare in modo che la gente riprenda a produrre ricchezza, cultura e arte senza quelli che Berlusconi chiamava "lacci e lacciuoli", senza vedersi infastidita da una pressione fiscale e da una burocrazia da malati di mente che scoraggia qualsiasi forma di iniziativa privata, e dalle demenzialità woke che inondano il dibattito pubblico.
Una fase storica non va giudicata soltanto sulla base delle cose belle che fa vivere. Se un capofamiglia fa vivere i suoi familiari un decennio dorato, salvo poi perdere tutto perché nel frattempo aveva riempito i suoi figli di debiti, possiamo definirlo un buon padre di famiglia? Stefano Tanzi, figlio di Calisto, patron della Parmalat, non ha mai perdonato al padre il terribile bagno nella realtà a cui è stato costretto dal crac dell'azienda di famiglia. Immaginate il figlio di uno dei più ricchi imprenditori del mondo che oggi deve considerarsi fortunato di ricevere uno stipendio come lavoratore dipendente. A cosa è servito vivere anni così agiati se il prezzo è quello di finire così?
L'Italia, nello specifico, ha vissuto due momenti fondamentalmente dorati: gli anni '60 e '80 che sono stati una parabola storica felice ma nelle quali si stavano gettando le basi per i guai che stiamo vivendo nel 2024.
Quando si sente dire "com'erano belle le centomila lire che non finivano mai", si dimentica che quel meccanismo si chiamava svalutazione competitiva, alla base di un buon 90% dei guai che stanno vivendo attualmente le economie occidentali e che ci potevamo permettere solo perché i veri padroni delle nostre economie avevano interesse, per tenerci lontani da tentazioni sovietiche, a sostenerlo. Era la fossa nella quale stavamo cadendo e ci troviamo oggi.
Se ad una qualsiasi persona di buonsenso dicessero "Passerai un periodo di serenità ma il conto finirà sulla testa dei vostri figli e nipoti che andranno a chiedere l'elemosina per le strade", non credo che questa accetterebbe volentieri.
Inoltre, troppo spesso tendiamo ad identificare i periodi in cui eravamo più giovani e avevamo ancora accanto a noi persone che poi sono scomparse, come felici, dimenticando le grandi opportunità che proprio la modernità ci offre e mitizzando un passato che, in fondo, non è stato così memorabile.
Questo naturalmente non significa che il presente sia roseo - tutt'altro - e che non ci siano tante cose del passato da rimpiangere. E intendiamoci bene, su questa involuzione che ormai pervade la nostra società bisognerebbe fare un discorso molto particolareggiato per ogni settore che non può mischiare tutto in un unico calderone. I motivi per cui nella musica c'è stato un declino sono diversi da quelli per cui c'è stato nel calcio, nel cinema e nella TV. E per ognuno di questi ambiti, bisognerebbe dedicare un articolo apposito. Ma in generale, l'era attuale è di declino perché è il paese stesso ad essere in crisi, perché è l'Occidente ad attraversare un momento di profonda recessione culturale prima ancora che economica. Non mancando tuttavia momenti dorati in alcuni ambiti. Per esempio, chi è appassionato di tennis come me può gioire di poter osservare al primo posto del ranking ATP Jannik Sinner, una roba che se me l'avessero predetta anche solo nel 2016 o nel 2017, non ci avrei mai creduto. E allora bisogna indagare l'origine dei successi in certi ambiti e provare ad applicarli, per quanto possibile, in quelli dove siamo in crisi.
Soprattutto, viviamo un periodo in cui abbiamo delle possibilità tecnologiche che un tempo ci saremmo soltanto potuti sognare, salvo poi lamentarci sui simboli della postmodernità come social e smartphone, di quanto si stava meglio quando si stava peggio, senza nemmeno rendersi conto della dissonanza cognitiva insita nella cosa.
La strada per la rinascita parte da un concetto di fondo banale: bisogna fare in modo che la gente riprenda a produrre ricchezza, cultura e arte senza quelli che Berlusconi chiamava "lacci e lacciuoli", senza vedersi infastidita da una pressione fiscale e da una burocrazia da malati di mente che scoraggia qualsiasi forma di iniziativa privata, e dalle demenzialità woke che inondano il dibattito pubblico.
Occorrerebbero tante cose e sicuramente qualcuno avrà idee migliori delle mie. Ma una cosa è certa: attaccarsi alla nostalgia per i tempi che furono, non serve assolutamente a nulla. Non dobbiamo rimpiangere le notti magiche ma farle tornare. E non sognando di invertire gli orologi della biologia ma mettendo le persone nelle condizioni di ricercare la felicità.
Franco Marino
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