La mia totale insofferenza nei confronti della cronaca nera, che ho già confidato in altre circostanze ai miei lettori, ha numerose ragioni.
La prima è che un delitto, pur nella sua efferatezza, non dice niente di nuovo rispetto a quanto già si sapeva prima. L'uomo uccide i suoi simili dai tempi di Caino e Abele e continuerà a farlo fino alla fine dei tempi.
La seconda è che il seguito di cui gode la cronaca nera sta nel volerla esorcizzare, quasi come se uno volesse dire "No, a me non capiterà mai, quindi è giusto che io sia in prima linea a condannare". Ma tutto questo, è un errore. Intanto perché nessuno di noi può considerarsi al sicuro dall'annebbiamento di un attimo ("sono umano e nulla di umano mi è alieno") ma soprattutto scandalizzarsi di delitti efferati denota una scarsa conoscenza della storia. Se una sconsiderata come Erika De Nardo e il suo fidanzato decidono di uccidere la madre e il fratello, la persona ignorante ne rimarrà sbalordita mentre quella colta sa che, molti secoli prima, ogni califfo, appena eletto, faceva uccidere tutti i parenti che avrebbero potuto in futuro insidiargli il trono e quindi considererà quel fratricidio banale, come considererà banale il matricidio di Agrippina da parte del figlio di Nerone senza lasciarsi andare in sceneggiate degne di Mario Merola per una madre alla quale delle sorti del figlio non fregava una cippa di niente, visto che gli tramava contro.
C'è, infine, la ragione secondo me più importante - che è quella che ci importa davvero - sul perché non vada seguita: raramente i caravan serragli mediatici si interessano davvero alla vittima di un delitto ma recitano un copione mirato a politicizzare gli accadimenti, estendendo alla società colpe che invece sono soltanto dell'assassino e vittimizzando persone che non sono vittima di nulla. Per fini politici.
Lo abbiamo visto con la vicenda di Giulia Cecchettin, quando si è preteso che gli uomini, in massa, si scusassero in quanto maschi, come se l'avessi uccisa pure io, buttandomi a capofitto in una gigantesca orgia di milioni di fallomuniti.
D'altronde, oggi il capro espiatorio è il maschio bianco eterosessuale come nel passato era il ceto medio italiano colpevole di stare troppo bene e allora si attribuivano le sconsideratezze di questo o di quel delitto commesso da qualche giovane psicopatico non alla follia effettivamente presente nella testa dell'assassino ma "ai falsi valori del benessere". E il motivo era chiaro: si dovevano giustificare in qualche modo gli attacchi alla borghesia italiana, assecondando l'ipocrita pauperismo di sinistra.
Anche in merito alla vicenda di Sharon Verzeni, è fondamentale alzare la guardia, difendendosi sia da chi la usa per fomentare odio razziale, sia dai pompieri del pensiero woke. Quello che è accaduto, nel suo orrore, nella sua gravità, è una cosa molto semplice: una giovane donna è stata assassinata, un uomo l'ha uccisa, un altro uomo - il fidanzato - per un mese è stato ingiustamente accusato di essere l'assassino. Un atteggiamento imparziale e non ideologico nei confronti della notizia imporrebbe di non nascondere nulla e di non adottare atteggiamenti paternalistici nei confronti del lettore. Se un assassino è nero e di famiglia ivoriana, va detto, così come va ricordato che le leggi dicono che la sua nazionalità è italiana, essendo nato in Italia e avendo presentato una spontanea dichiarazione all'Ufficio di Stato Civile, oltre al fatto che si era perfettamente integrato in questo paese, tanto che faceva il calciatore e persino il rapper. Tutte queste informazioni vanno date. Poi sta al lettore farsi un'idea. Se credere che le origini africane o la negritudine dell'assassino siano la vera causa del delitto o se, presumibilmente, ci sia dell'altro.
Viceversa, oscurare le sue origini è funzionale alla contropropaganda della destra radicale né più né meno di come farlo passare per assassino tout court in quanto immigrato è funzionale alle lamentazioni progressiste. Due facce della stessa medaglia.
In realtà, una visione razionale della cosa ci direbbe che non si deve arrivare all'omicidio per lottare contro l'immigrazione clandestina, perché è sufficiente la banale considerazione che quando gruppi allogeni di milioni di persone, fossero anche Serafini o Cherubini, entrano in un territorio già densamente popolato, si crea un "loro" e un "noi" col risultato di guai assicurati. Questa non è una teoria, è una constatazione. Il problema è semmai un altro: Moussa Sangare era già stato denunciato in passato per maltrattamenti contro la madre e dalla sorella ed era a piede libero. Forse non bisognerebbe aspettare l'omicidio, bisognerebbe agire prima quando ancora non si è arrivato all'evento fatale.
Semmai, quello che emerge da questa storia non è tanto che "i neri uccidono più dei bianchi" o che "i bianchi razzisti vogliono fare un pogrom", ma che la stampa ha gioco facile nel cavalcare i casi di cronaca a seconda delle convenienze ideologiche.
La prima è che un delitto, pur nella sua efferatezza, non dice niente di nuovo rispetto a quanto già si sapeva prima. L'uomo uccide i suoi simili dai tempi di Caino e Abele e continuerà a farlo fino alla fine dei tempi.
La seconda è che il seguito di cui gode la cronaca nera sta nel volerla esorcizzare, quasi come se uno volesse dire "No, a me non capiterà mai, quindi è giusto che io sia in prima linea a condannare". Ma tutto questo, è un errore. Intanto perché nessuno di noi può considerarsi al sicuro dall'annebbiamento di un attimo ("sono umano e nulla di umano mi è alieno") ma soprattutto scandalizzarsi di delitti efferati denota una scarsa conoscenza della storia. Se una sconsiderata come Erika De Nardo e il suo fidanzato decidono di uccidere la madre e il fratello, la persona ignorante ne rimarrà sbalordita mentre quella colta sa che, molti secoli prima, ogni califfo, appena eletto, faceva uccidere tutti i parenti che avrebbero potuto in futuro insidiargli il trono e quindi considererà quel fratricidio banale, come considererà banale il matricidio di Agrippina da parte del figlio di Nerone senza lasciarsi andare in sceneggiate degne di Mario Merola per una madre alla quale delle sorti del figlio non fregava una cippa di niente, visto che gli tramava contro.
C'è, infine, la ragione secondo me più importante - che è quella che ci importa davvero - sul perché non vada seguita: raramente i caravan serragli mediatici si interessano davvero alla vittima di un delitto ma recitano un copione mirato a politicizzare gli accadimenti, estendendo alla società colpe che invece sono soltanto dell'assassino e vittimizzando persone che non sono vittima di nulla. Per fini politici.
Lo abbiamo visto con la vicenda di Giulia Cecchettin, quando si è preteso che gli uomini, in massa, si scusassero in quanto maschi, come se l'avessi uccisa pure io, buttandomi a capofitto in una gigantesca orgia di milioni di fallomuniti.
D'altronde, oggi il capro espiatorio è il maschio bianco eterosessuale come nel passato era il ceto medio italiano colpevole di stare troppo bene e allora si attribuivano le sconsideratezze di questo o di quel delitto commesso da qualche giovane psicopatico non alla follia effettivamente presente nella testa dell'assassino ma "ai falsi valori del benessere". E il motivo era chiaro: si dovevano giustificare in qualche modo gli attacchi alla borghesia italiana, assecondando l'ipocrita pauperismo di sinistra.
Anche in merito alla vicenda di Sharon Verzeni, è fondamentale alzare la guardia, difendendosi sia da chi la usa per fomentare odio razziale, sia dai pompieri del pensiero woke. Quello che è accaduto, nel suo orrore, nella sua gravità, è una cosa molto semplice: una giovane donna è stata assassinata, un uomo l'ha uccisa, un altro uomo - il fidanzato - per un mese è stato ingiustamente accusato di essere l'assassino. Un atteggiamento imparziale e non ideologico nei confronti della notizia imporrebbe di non nascondere nulla e di non adottare atteggiamenti paternalistici nei confronti del lettore. Se un assassino è nero e di famiglia ivoriana, va detto, così come va ricordato che le leggi dicono che la sua nazionalità è italiana, essendo nato in Italia e avendo presentato una spontanea dichiarazione all'Ufficio di Stato Civile, oltre al fatto che si era perfettamente integrato in questo paese, tanto che faceva il calciatore e persino il rapper. Tutte queste informazioni vanno date. Poi sta al lettore farsi un'idea. Se credere che le origini africane o la negritudine dell'assassino siano la vera causa del delitto o se, presumibilmente, ci sia dell'altro.
Viceversa, oscurare le sue origini è funzionale alla contropropaganda della destra radicale né più né meno di come farlo passare per assassino tout court in quanto immigrato è funzionale alle lamentazioni progressiste. Due facce della stessa medaglia.
In realtà, una visione razionale della cosa ci direbbe che non si deve arrivare all'omicidio per lottare contro l'immigrazione clandestina, perché è sufficiente la banale considerazione che quando gruppi allogeni di milioni di persone, fossero anche Serafini o Cherubini, entrano in un territorio già densamente popolato, si crea un "loro" e un "noi" col risultato di guai assicurati. Questa non è una teoria, è una constatazione. Il problema è semmai un altro: Moussa Sangare era già stato denunciato in passato per maltrattamenti contro la madre e dalla sorella ed era a piede libero. Forse non bisognerebbe aspettare l'omicidio, bisognerebbe agire prima quando ancora non si è arrivato all'evento fatale.
Semmai, quello che emerge da questa storia non è tanto che "i neri uccidono più dei bianchi" o che "i bianchi razzisti vogliono fare un pogrom", ma che la stampa ha gioco facile nel cavalcare i casi di cronaca a seconda delle convenienze ideologiche.
E' questo che dà il voltastomaco. Una stampa che, da una parte e dall'altra, mostra una totale assenza di rispetto dei lettori, dividendoli in "razzisti" e "progressisti", che se l'assassino fosse stato il fidanzato italiano, ci avrebbero fatto una bigionica di un anno intero sul maschio tossico che deve scusarsi perché ci ha il pisello. Dal momento che l'assassino è nero, di colpo è sparito ogni anatema contro il testosterone. Perché per il resto, che sia morta una povera crista, lasciando per giunta un fidanzato per un mese accusato ingiustamente di omicidio, non frega niente a nessuno.
Franco Marino
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