Liliana Segre ha querelato la scrittrice Cecilia Parodi per un video nel quale quest'ultima dice testualmente "Odio tutti gli ebrei, odio Israele e odio chi li difende".
Per come la vedo io, chi dichiara la propria avversione per interi popoli dimostra scarso equilibro emotivo ed intellettivo oltre che una profonda ignoranza. E, tuttavia, dal punto di vista giuridico, il reato non c'è e se un sentimento di repulsione e avversione espresso in questo modo non è accompagnato da offese verbali o fisiche, la Parodi - ignorando i 400.000 ebrei tra i cinque milioni di palestinesi e il milione di musulmani tra gli otto milioni di israeliani, facendo il solito fritto misto di confondere Israele e gli ebrei e di pensare che i palestinesi siano tutti musulmani - si dimostra "solo" terribilmente ignorante oltre che mentalmente disturbata ma verrebbe assolta da qualsiasi tribunale serio. Se fossi la Segre, non sovraccaricherei ulteriormente i tribunali italiani, limitandomi a corsivare con un semplice e lapidario "Cara Cecilia, sei una povera cretina", chiudendola lì e, per una volta, accantonando il ruolo di cane da guardia del vittimismo semitico che rischia sempre di provocare facili transumanze verso i lidi del torto, anche quando si ha ragione.
Così come non varrebbe nemmeno la pena impantanarsi nel dibattito su chi abbia ragione o torto, se non per una domanda che nessuno si pone davvero: perché il dibattito Israele vs Palestina condiziona così tanto l'opinione pubblica da portare le persone comuni - non israeliane, non palestinesi, non ebree, non musulmane, quindi non coinvolte - ad odiare e amare l'una e l'altra parte, persino chiudendo i propri contatti personali? Che senso ha tutto questo? Perché io dovrei togliere l'amicizia ad una persona soltanto perché ha un'opinione diversa dalla mia su un tema che non mi vede coinvolto?
L'Italia, come ho scritto altre volte, non è un paese compiutamente sovrano. E delle tante cose di cui non è sovrana - economia, politica, esercito, agricoltura, informatica, salute - c'è anche quella del pensiero e dunque del diritto di avere un punto di vista autonomo non mediato né mutuato dall'amministrazione americana.
Ogni suo posizionamento politico deve essere concertato con i veri padroni del nostro paese - gli Stati Uniti - e va imposto all'opinione pubblica secondo uno schema già visto durante la pandemia per cui o la pensi come me o sei un pericolo pubblico, un ignorante, un fascista. Ma, va da sé che, purtroppo, anche presso chi, lecitamente e giustamente, critica gli americani, esiste un mainstream appiattito sulle ragioni di Mosca e Pechino. Ambedue le parti rinunciano ad avere una visione autonoma, criminalizzando chi cerca di svilupparlo, fino al ridicolo di chi mette le bandierine sul proprio profilo di Facebook, immaginando chissà che Netanyahu guardi il profilo di Concettina Esposito, casalinga napoletana emigrata a Voghera, ci veda la bandierina palestinese, magari qualche insulto rivolto a lui e dica "Ah vabbè, se lo dice Concettina, allora basta, ritiriamo l'esercito da Gaza".
Il mio non autorevole parere autonomo è che l'Italia debba mantenere rapporti privilegiati con tutte quelle realtà che dispongono di materie prime che non abbiamo, quindi Russia e mondo arabo. Questo, per esempio, mi fa "schierare" con i russi nella vicenda del Donbass. Ma se mi si dimostra che il nostro interesse fosse, invece, quello di sostenere l'Ucraina, mi vedreste bardato con la bandiera gialloazzurra. In questo senso, la persona sana e razionale quando scoppia un casino da qualche parte, non "dà ragione" all'una o all'altra fazione. Intanto perché la guerra, sempre e comunque, è il tragico momento in cui, decidendo di passare alle vie di fatto, con tutto il bagaglio di retorica sulle "atrocità" e sui "crimini" che ne consegue, queste ragioni vengono meno. Per quanto possano starci antipatici, Netanhyahu e i capi di Hamas non si svegliano grattandosi la testa e dicendo con un sadico sorriso compiaciuto "Chi ammazziamo oggi?" ma usano tutti i metodi più brutali per affermarsi perché è in ballo la sopravvivenza dei popoli che rappresentano. Indignarsi per "il massacro dei poveri bambini di Gaza" ha senso soltanto se ci si scandalizza anche per i crimini commessi da Hamas, così come scandalizzarsi per le "atrocità di Bucha" ha senso soltanto se ci si indigna per quelle commesse dal Battaglione di Azov nel Donbass, senza militare pecorescamente per l'una o per l'altra fazione soltanto perché lo dice il capopartito oppure il menestrello di regime. Ma chi sa di storia, sa benissimo che le guerre, tutte, sono il teatro massimo della violenza, della brutalità e dell'atrocità.
La persona di buonsenso, scegliendo un approccio forse gretto, meschino, ma sano e razionale si chiede: "Io cosa ci guadagno se mi schiero con l'una o con l'altra parte?" e tara il proprio schieramento sulla base del proprio interesse. Se tutti ragionassero così, tutte le guerre finirebbero subito perché la gente non sceglierebbe mai la rovina economica per difendere gli interessi di altri paesi spacciati per questioni di principio. E, allo stesso modo, tra Israele e Palestina si avrebbe la pace in ventiquattro ore.
Nel mondo ideale, Israele si rassegnerebbe al fatto che, per quanto sia giusto che abbia un focolare, non può passare sul cadavere di due milioni di palestinesi e, parimenti, Hamas si rassegnerebbe al fatto che non si possono ammazzare otto milioni di israeliani.
Nel mondo ideale, tutte le potenze che alimentano questo scontro capirebbero che dalla mancata pacificazione del Medio Oriente dipende la propria credibilità geopolitica e finalmente si arriverebbe - ma davvero! - alla soluzione dei due stati teorizzata da tutte le persone di buonsenso, come Putin, per esempio.
Per come la vedo io, chi dichiara la propria avversione per interi popoli dimostra scarso equilibro emotivo ed intellettivo oltre che una profonda ignoranza. E, tuttavia, dal punto di vista giuridico, il reato non c'è e se un sentimento di repulsione e avversione espresso in questo modo non è accompagnato da offese verbali o fisiche, la Parodi - ignorando i 400.000 ebrei tra i cinque milioni di palestinesi e il milione di musulmani tra gli otto milioni di israeliani, facendo il solito fritto misto di confondere Israele e gli ebrei e di pensare che i palestinesi siano tutti musulmani - si dimostra "solo" terribilmente ignorante oltre che mentalmente disturbata ma verrebbe assolta da qualsiasi tribunale serio. Se fossi la Segre, non sovraccaricherei ulteriormente i tribunali italiani, limitandomi a corsivare con un semplice e lapidario "Cara Cecilia, sei una povera cretina", chiudendola lì e, per una volta, accantonando il ruolo di cane da guardia del vittimismo semitico che rischia sempre di provocare facili transumanze verso i lidi del torto, anche quando si ha ragione.
Così come non varrebbe nemmeno la pena impantanarsi nel dibattito su chi abbia ragione o torto, se non per una domanda che nessuno si pone davvero: perché il dibattito Israele vs Palestina condiziona così tanto l'opinione pubblica da portare le persone comuni - non israeliane, non palestinesi, non ebree, non musulmane, quindi non coinvolte - ad odiare e amare l'una e l'altra parte, persino chiudendo i propri contatti personali? Che senso ha tutto questo? Perché io dovrei togliere l'amicizia ad una persona soltanto perché ha un'opinione diversa dalla mia su un tema che non mi vede coinvolto?
L'Italia, come ho scritto altre volte, non è un paese compiutamente sovrano. E delle tante cose di cui non è sovrana - economia, politica, esercito, agricoltura, informatica, salute - c'è anche quella del pensiero e dunque del diritto di avere un punto di vista autonomo non mediato né mutuato dall'amministrazione americana.
Ogni suo posizionamento politico deve essere concertato con i veri padroni del nostro paese - gli Stati Uniti - e va imposto all'opinione pubblica secondo uno schema già visto durante la pandemia per cui o la pensi come me o sei un pericolo pubblico, un ignorante, un fascista. Ma, va da sé che, purtroppo, anche presso chi, lecitamente e giustamente, critica gli americani, esiste un mainstream appiattito sulle ragioni di Mosca e Pechino. Ambedue le parti rinunciano ad avere una visione autonoma, criminalizzando chi cerca di svilupparlo, fino al ridicolo di chi mette le bandierine sul proprio profilo di Facebook, immaginando chissà che Netanyahu guardi il profilo di Concettina Esposito, casalinga napoletana emigrata a Voghera, ci veda la bandierina palestinese, magari qualche insulto rivolto a lui e dica "Ah vabbè, se lo dice Concettina, allora basta, ritiriamo l'esercito da Gaza".
Il mio non autorevole parere autonomo è che l'Italia debba mantenere rapporti privilegiati con tutte quelle realtà che dispongono di materie prime che non abbiamo, quindi Russia e mondo arabo. Questo, per esempio, mi fa "schierare" con i russi nella vicenda del Donbass. Ma se mi si dimostra che il nostro interesse fosse, invece, quello di sostenere l'Ucraina, mi vedreste bardato con la bandiera gialloazzurra. In questo senso, la persona sana e razionale quando scoppia un casino da qualche parte, non "dà ragione" all'una o all'altra fazione. Intanto perché la guerra, sempre e comunque, è il tragico momento in cui, decidendo di passare alle vie di fatto, con tutto il bagaglio di retorica sulle "atrocità" e sui "crimini" che ne consegue, queste ragioni vengono meno. Per quanto possano starci antipatici, Netanhyahu e i capi di Hamas non si svegliano grattandosi la testa e dicendo con un sadico sorriso compiaciuto "Chi ammazziamo oggi?" ma usano tutti i metodi più brutali per affermarsi perché è in ballo la sopravvivenza dei popoli che rappresentano. Indignarsi per "il massacro dei poveri bambini di Gaza" ha senso soltanto se ci si scandalizza anche per i crimini commessi da Hamas, così come scandalizzarsi per le "atrocità di Bucha" ha senso soltanto se ci si indigna per quelle commesse dal Battaglione di Azov nel Donbass, senza militare pecorescamente per l'una o per l'altra fazione soltanto perché lo dice il capopartito oppure il menestrello di regime. Ma chi sa di storia, sa benissimo che le guerre, tutte, sono il teatro massimo della violenza, della brutalità e dell'atrocità.
La persona di buonsenso, scegliendo un approccio forse gretto, meschino, ma sano e razionale si chiede: "Io cosa ci guadagno se mi schiero con l'una o con l'altra parte?" e tara il proprio schieramento sulla base del proprio interesse. Se tutti ragionassero così, tutte le guerre finirebbero subito perché la gente non sceglierebbe mai la rovina economica per difendere gli interessi di altri paesi spacciati per questioni di principio. E, allo stesso modo, tra Israele e Palestina si avrebbe la pace in ventiquattro ore.
Nel mondo ideale, Israele si rassegnerebbe al fatto che, per quanto sia giusto che abbia un focolare, non può passare sul cadavere di due milioni di palestinesi e, parimenti, Hamas si rassegnerebbe al fatto che non si possono ammazzare otto milioni di israeliani.
Nel mondo ideale, tutte le potenze che alimentano questo scontro capirebbero che dalla mancata pacificazione del Medio Oriente dipende la propria credibilità geopolitica e finalmente si arriverebbe - ma davvero! - alla soluzione dei due stati teorizzata da tutte le persone di buonsenso, come Putin, per esempio.
Nel mondo reale, quello in cui sguazza Cecilia Parodi e in cui la Segre è pronta a mordere le terga di chiunque dica qualcosa fuori posto, purtroppo, come vediamo, le cose vanno in ben altro modo. Con le cretinerie dell'una e dell'altra parte che vediamo.
Franco Marino
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