Ho avuto la fortuna oltre quella, non così scontata, di conoscere mio padre e mia madre, anche di conoscere e di frequentare, per un po', due miei nonni (in realtà tre, ma uno di questi morì che ero troppo piccolo) e due bisnonni. Tutti molto longevi, tutti lucidissimi praticamente fino all'ultimo. Poter confrontarsi con generazioni così differenti, rende l'idea di come possa evolvere o involvere l'umanità e si percepisce immediatamente la differenza tra i bisnonni e per esempio i miei genitori o anche il sottoscritto.
Il mio vecchio nacque nel 1948 e mia madre era del 1953 ed entrambi, morti a distanza di dieci anni, non solo si risparmiarono gli orrori della guerra ma vissero anche il periodo d'oro del boom economico e degli anni Ottanta, del posto fisso relativamente facile e della vita sicura dalla culla alla tomba. Questo influì anche sulla loro mentalità. La loro unica e per certi versi comprensibile preoccupazione era di non lasciarmi senza un posto fisso come quello in cui erano riusciti ad entrare loro, per poter usufruire di uno stipendio mensile intangibile dal primo giorno di lavoro fino alla pensione. L'idea stessa che un giorno sarebbe potuta accadere una buriana che avrebbe distrutto la nicchia nella quale volevano sistemarmi non passava minimamente per le loro teste e, specialmente papà, quando capitava che leggesse qualche mio articolo che scrivevo per il blog, non è che li disprezzasse ma pensava che tutto sommato le mie fossero previsioni catastrofistiche.
Di diverso avviso era la generazione dei loro genitori e dei loro nonni. Tanto il mio nonno materno, che una guerra la visse e la combatté pure, ricavandone una mutilazione quanto la mia nonna paterna, che di guerre ne visse addirittura due, ci ricordavano sempre quanto non si dovesse dare per scontato il benessere in cui vivevamo. Mia nonna in particolare amava sempre ricordare di quando i suoi genitori la prima cosa che chiesero a quel fidanzato che poi sarebbe diventato suo marito e dunque il mio nonno paterno non fu "Lei vuole davvero bene a mia figlia?" o "Che lavoro fa?" ma "Ha debiti?". Questo modo di pensare può apparire anacronistico soprattutto nell'era della postmodernità digitale che viviamo, ma ha costruito il benessere che poi ha generato uomini deboli, incapaci di ribellarsi a verità ufficiali che non sono mai state vere. Che la guerra sia un fenomeno sepolto nel passato, che la miseria è qualcosa che riguarda sempre gli altri, che certi momenti in cui tutto ciò che ci circonda sembra anormale, siano un'eccezione del proprio tempo.
Senonché il lettore, specialmente quello infastidito dai miei "cappelli" personali, che in realtà non nascono da intenti narcisistici ma solo per introdurre il discorso, si chiederà "Cosa c'entra tutto questo con l'orrore visto ieri alle Olimpiadi?"
Quando si guardano spettacoli inverecondi come la cerimonia d'apertura dei giochi olimpici di ieri sera, ma anche quando assistiamo a notizie come quella della compagnia aerea che vuole dare il diritto alle donne di allontanarsi da un posto dove è seduto un uomo, e altre amenità del progressismo psichiatrico che oggi imperversa nelle nostre vite, viene normale chiedersi: l'umanità rischia l'estinzione? Il mondo è impazzito?
Questa è una domanda che ricorre tantissime volte ma basta studiare la storia per rendersi conto che siamo semplicemente ad una fase di un ciclo storico. Chi crede che la vita si fermi nello spazio e nel tempo in cui si trova, pensa che tutto ciò che gli accade sia la norma e che, quando questa si interrompe, sia finito nell'anormalità. Chi invece ha la passione per la storia e per lo studio del passato, capisce immediatamente che ogni civiltà vive un ciclo che nasce, cresce, raggiunge un picco, poi inizia a declinare e poi muore. E che il clima da Sodoma e Gomorra che sta vivendo l'Occidente è del tutto analogo a quello che precedette la fine dell'Impero Romano. E', dunque, abituato a non drammatizzare, a non farsi trascinare nei millenarismi - che minaccino catastrofi o propongano illusorie palingenesi verso un paradiso terrestre - e quindi a scandalizzarsi più di tanto delle brutture della propria epoca.
A tal riguardo, a guidarmi nell'analisi delle cose è sempre un proverbio arabo: "Tempi duri generano uomini forti, uomini forti generano tempi felici, tempi felici generano uomini deboli, uomini deboli generano tempi duri". Una volta che si prende possesso di questa piccola verità, si capiscono tantissime cose. Siamo alla fine di un tempo felice che ha generato uomini deboli, che lottano per diritti che un tempo venivano considerate patologie mentali e tutto questo genererà tempi difficilissimi che giocoforza obbligheranno le generazioni successive a confrontarsi con la necessità di cambiare mentalità, con l'Ananche, e dunque non poter scegliere se essere forti o deboli, ma se vivere o morire. Il che li rafforzerà. Sono cicli storici e a me e a voi è toccato di vivere questo.
Il mio vecchio nacque nel 1948 e mia madre era del 1953 ed entrambi, morti a distanza di dieci anni, non solo si risparmiarono gli orrori della guerra ma vissero anche il periodo d'oro del boom economico e degli anni Ottanta, del posto fisso relativamente facile e della vita sicura dalla culla alla tomba. Questo influì anche sulla loro mentalità. La loro unica e per certi versi comprensibile preoccupazione era di non lasciarmi senza un posto fisso come quello in cui erano riusciti ad entrare loro, per poter usufruire di uno stipendio mensile intangibile dal primo giorno di lavoro fino alla pensione. L'idea stessa che un giorno sarebbe potuta accadere una buriana che avrebbe distrutto la nicchia nella quale volevano sistemarmi non passava minimamente per le loro teste e, specialmente papà, quando capitava che leggesse qualche mio articolo che scrivevo per il blog, non è che li disprezzasse ma pensava che tutto sommato le mie fossero previsioni catastrofistiche.
Di diverso avviso era la generazione dei loro genitori e dei loro nonni. Tanto il mio nonno materno, che una guerra la visse e la combatté pure, ricavandone una mutilazione quanto la mia nonna paterna, che di guerre ne visse addirittura due, ci ricordavano sempre quanto non si dovesse dare per scontato il benessere in cui vivevamo. Mia nonna in particolare amava sempre ricordare di quando i suoi genitori la prima cosa che chiesero a quel fidanzato che poi sarebbe diventato suo marito e dunque il mio nonno paterno non fu "Lei vuole davvero bene a mia figlia?" o "Che lavoro fa?" ma "Ha debiti?". Questo modo di pensare può apparire anacronistico soprattutto nell'era della postmodernità digitale che viviamo, ma ha costruito il benessere che poi ha generato uomini deboli, incapaci di ribellarsi a verità ufficiali che non sono mai state vere. Che la guerra sia un fenomeno sepolto nel passato, che la miseria è qualcosa che riguarda sempre gli altri, che certi momenti in cui tutto ciò che ci circonda sembra anormale, siano un'eccezione del proprio tempo.
Senonché il lettore, specialmente quello infastidito dai miei "cappelli" personali, che in realtà non nascono da intenti narcisistici ma solo per introdurre il discorso, si chiederà "Cosa c'entra tutto questo con l'orrore visto ieri alle Olimpiadi?"
Quando si guardano spettacoli inverecondi come la cerimonia d'apertura dei giochi olimpici di ieri sera, ma anche quando assistiamo a notizie come quella della compagnia aerea che vuole dare il diritto alle donne di allontanarsi da un posto dove è seduto un uomo, e altre amenità del progressismo psichiatrico che oggi imperversa nelle nostre vite, viene normale chiedersi: l'umanità rischia l'estinzione? Il mondo è impazzito?
Questa è una domanda che ricorre tantissime volte ma basta studiare la storia per rendersi conto che siamo semplicemente ad una fase di un ciclo storico. Chi crede che la vita si fermi nello spazio e nel tempo in cui si trova, pensa che tutto ciò che gli accade sia la norma e che, quando questa si interrompe, sia finito nell'anormalità. Chi invece ha la passione per la storia e per lo studio del passato, capisce immediatamente che ogni civiltà vive un ciclo che nasce, cresce, raggiunge un picco, poi inizia a declinare e poi muore. E che il clima da Sodoma e Gomorra che sta vivendo l'Occidente è del tutto analogo a quello che precedette la fine dell'Impero Romano. E', dunque, abituato a non drammatizzare, a non farsi trascinare nei millenarismi - che minaccino catastrofi o propongano illusorie palingenesi verso un paradiso terrestre - e quindi a scandalizzarsi più di tanto delle brutture della propria epoca.
A tal riguardo, a guidarmi nell'analisi delle cose è sempre un proverbio arabo: "Tempi duri generano uomini forti, uomini forti generano tempi felici, tempi felici generano uomini deboli, uomini deboli generano tempi duri". Una volta che si prende possesso di questa piccola verità, si capiscono tantissime cose. Siamo alla fine di un tempo felice che ha generato uomini deboli, che lottano per diritti che un tempo venivano considerate patologie mentali e tutto questo genererà tempi difficilissimi che giocoforza obbligheranno le generazioni successive a confrontarsi con la necessità di cambiare mentalità, con l'Ananche, e dunque non poter scegliere se essere forti o deboli, ma se vivere o morire. Il che li rafforzerà. Sono cicli storici e a me e a voi è toccato di vivere questo.
Da queste epoche dure, se riusciremo a sopravvivere, faremo nascere nuovi tempi felici. Che poi genereranno altri uomini deboli. In un cerchio che si spezzerà con l'arrivo di un asteroide da 10 km di diametro come quello che fece estinguere i dinosauri o, per chi è credente, di Dio.
Franco Marino
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