Prima che qualcuno sobbalzi sulla sedia, è opportuno chiarire che non ho mai visto una sola puntata di Temptation Island. Non so chi vi partecipa, non so in cosa consista, una cosa che, in generale, so dei reality è che, a parte la prima edizione del Grande Fratello, non ne ho mai visti nessuno nemmeno di traverso. L'altra cosa che so - e che poi è l'unica mi interessa - è che piacciono a tantissime persone e questo è sufficiente a legittimarne l'esistenza. D'altronde, una TV privata vive o di pubblicità o di abbonamenti e deve quindi indovinare i gusti del pubblico. Altrimenti chiude, con tutto ciò che di negativo, in termini di posti di lavoro e di indotto, questo implica.
Il problema di quando si celebra la legittimità di un successo commerciale - e ancor più se ciò avviene in un paese notoriamente anti-imprenditoriale come il nostro - è che molti sono convinti che esso sia il contraltare alla cosiddetta qualità. Il limite principale di questo discorso è che questa parola significa tutto e nulla e rimanda a dibattiti al termine dei quali ci si accorge di saperne ancor meno di prima, mentre forse può essere più utile cercare di andare al punto sostanziale della questione, ossia "quale ruolo deve avere un media?"
La vita di ognuno di noi è scandita da diritti e doveri.
Un ragazzino ha il dovere di frequentare la scuola dell'obbligo e poi, crescendo, di affrancarsi dai genitori, subordinando tutte le proprie scelte a questa emancipazione. Dovrà quindi compiere un percorso fatto di doveri, leggendo libri che non vorrebbe leggere, trascorrendo ore in un'aula dove non vorrebbe essere, magari rubate al proprio baloccamento personale presso qualche campo di calcio oppure la propria Playstation.
Ultimato questo percorso, avrà il dovere - se occupa un posto pubblico - di recarsi in ufficio, di adempiere alle funzioni che il suo ruolo richiede e, se è un privato, più che avere il dovere, avrà la convenienza di fare bene il proprio mestiere, altrimenti non avrà più clienti.
Fatto ciò, non ha altri doveri. Non è obbligato a trovare divertenti i documentari, la storia medievale, ad apprezzare la musica classica. Ed anzi, se, nel tempo libero, gli piace cantare testi che, in altre situazioni, richiederebbero l'arrivo di un'ambulanza - tipo quel tale che qualche anno fa cantava "spacco bottiglia, taglio famiglia" - è perfettamente libero di farlo, fin quando ovviamente non nuoce agli altrui diritti. E se alla sera, dopo una giornata di lavoro, giunto a casa, invece di ammorbarsi con i programmi di Alberto Angela, preferisce dibattere sulle sorti dei concorrenti di un reality, ogni tentativo di inserirsi tra lui e i suoi desideri, è un'intromissione da Stato Etico intollerabile, perlomeno per chi ambisca a vivere in un paese liberale.
"Ma allora bisogna rinunciare alla TV cosiddetta di qualità?" E chi l'ha detto? Ma prima bisognerebbe chiedersi cosa sia la qualità. Prima ho detto che il dibattito è ozioso, ma non voglio fuggire alla domanda e allora proverò a darne una mia personalissima definizione.
Per me la qualità di un qualsiasi prodotto artistico sta nella coerenza tra ciò che si propone di fare e ciò che effettivamente fa.
In tal senso, Temptation Island - come il Grande Fratello, come Ciao Darwin, come Affari Tuoi, giusto per citare programmi odiati dalla critica - non nasce col presupposto di fare cultura, ma solo per intrattenere. Chi si collega ad esso, non si aspetta un dibattito sull'autenticità della Sacra Sindone, ma unicamente un gallinaio volutamente trash il cui scopo è far divertire la gente. In tal senso, questa è TV di qualità. E' coerente con i suoi scopi. Il che, ovviamente, non significa che anche un programma dedicato alla scienza o alla storia non possa essere interessante. Ma la cosa che andrebbe spiegata ad Alberto Angela e ai suoi fanatici adoratori - sinceramente convinti da un meccanismo flaubertiano da "dizionario delle idee comuni" che idolatrare la dinastia Angela li faccia, per osmosi, assurgere all'Olimpo dei sapienti e che in queste ore incrudeliscono contro gli spettatori dei reality - è che se i telespettatori, a sera, quando tornano a casa sfiniti dal lavoro, preferiscono Temptation Island a programmi dove si parla di storia o di scienza, offenderli o addirittura pretendere, come ho letto da qualche buontempone, che l'ennesimo garante intervenga chiudendo i programmi non graditi, otterrà come unico risultato di peggiorare la situazione, incarognendo ancor più quelli che oggi non vogliono vedere le varie corazzate Kotiomkin proposte dal Ministero della Verità. Semmai, bisognerebbe migliorare il proprio prodotto. Non so come, non essendo un autore televisivo, ma anche col mio quoziente intellettivo da ostrica riesco ad arrivare al banale concetto che se Noos, l'ultimo programma di Alberto Angela, ha fatto flop, invece di prendercela con la casalinga di Voghera attribuendole ogni nequizia presente e passata, o peggio ancora riproporre l'annoso tema - anche ora che Berlusconi riposa in pace nel suo mausoleo di Arcore - che la colpa è del berlusconismo che "ha corrotto gli italiani che prima erano altissimi, purissimi e levissimi", magari è il caso che gli autori ripensino qualcosa del proprio format.
Per il resto, in un paese democratico, dovremmo essere liberi di decidere come impiegare il nostro tempo, senza che autorità di vario genere ci facciano sentire in colpa se non vogliamo vedere l'ennesimo ghepardo che insegue la gazzella, l'ennesima demonizzazione di Mussolini e del fascismo, l'ennesima acritica esaltazione dei vaccini e dell'ideologia green.
Ecco, appunto, dovremmo.
E se proprio dobbiamo dirla tutta, per come la vedo io, in questo paese ha fatto più danni il "pierangelismo" - oggi transumato nell'albertangelismo - che il più trash dei reality.
Ad averci traditi nel 2020 non è stata Barbara D'Urso ma Michela Murgia, non il "morto di fame e di fama" dei reality ma scienziati e intellettuali.
L'intrattenitore non ha altro scopo che intrattenerci. Mentre un gruppo di professoroni, ricchi di boria e poveri di contenuti, ci ha fatto credere che le cose immonde che ci sono accadute negli ultimi anni fossero giuste.
Il problema di quando si celebra la legittimità di un successo commerciale - e ancor più se ciò avviene in un paese notoriamente anti-imprenditoriale come il nostro - è che molti sono convinti che esso sia il contraltare alla cosiddetta qualità. Il limite principale di questo discorso è che questa parola significa tutto e nulla e rimanda a dibattiti al termine dei quali ci si accorge di saperne ancor meno di prima, mentre forse può essere più utile cercare di andare al punto sostanziale della questione, ossia "quale ruolo deve avere un media?"
La vita di ognuno di noi è scandita da diritti e doveri.
Un ragazzino ha il dovere di frequentare la scuola dell'obbligo e poi, crescendo, di affrancarsi dai genitori, subordinando tutte le proprie scelte a questa emancipazione. Dovrà quindi compiere un percorso fatto di doveri, leggendo libri che non vorrebbe leggere, trascorrendo ore in un'aula dove non vorrebbe essere, magari rubate al proprio baloccamento personale presso qualche campo di calcio oppure la propria Playstation.
Ultimato questo percorso, avrà il dovere - se occupa un posto pubblico - di recarsi in ufficio, di adempiere alle funzioni che il suo ruolo richiede e, se è un privato, più che avere il dovere, avrà la convenienza di fare bene il proprio mestiere, altrimenti non avrà più clienti.
Fatto ciò, non ha altri doveri. Non è obbligato a trovare divertenti i documentari, la storia medievale, ad apprezzare la musica classica. Ed anzi, se, nel tempo libero, gli piace cantare testi che, in altre situazioni, richiederebbero l'arrivo di un'ambulanza - tipo quel tale che qualche anno fa cantava "spacco bottiglia, taglio famiglia" - è perfettamente libero di farlo, fin quando ovviamente non nuoce agli altrui diritti. E se alla sera, dopo una giornata di lavoro, giunto a casa, invece di ammorbarsi con i programmi di Alberto Angela, preferisce dibattere sulle sorti dei concorrenti di un reality, ogni tentativo di inserirsi tra lui e i suoi desideri, è un'intromissione da Stato Etico intollerabile, perlomeno per chi ambisca a vivere in un paese liberale.
"Ma allora bisogna rinunciare alla TV cosiddetta di qualità?" E chi l'ha detto? Ma prima bisognerebbe chiedersi cosa sia la qualità. Prima ho detto che il dibattito è ozioso, ma non voglio fuggire alla domanda e allora proverò a darne una mia personalissima definizione.
Per me la qualità di un qualsiasi prodotto artistico sta nella coerenza tra ciò che si propone di fare e ciò che effettivamente fa.
In tal senso, Temptation Island - come il Grande Fratello, come Ciao Darwin, come Affari Tuoi, giusto per citare programmi odiati dalla critica - non nasce col presupposto di fare cultura, ma solo per intrattenere. Chi si collega ad esso, non si aspetta un dibattito sull'autenticità della Sacra Sindone, ma unicamente un gallinaio volutamente trash il cui scopo è far divertire la gente. In tal senso, questa è TV di qualità. E' coerente con i suoi scopi. Il che, ovviamente, non significa che anche un programma dedicato alla scienza o alla storia non possa essere interessante. Ma la cosa che andrebbe spiegata ad Alberto Angela e ai suoi fanatici adoratori - sinceramente convinti da un meccanismo flaubertiano da "dizionario delle idee comuni" che idolatrare la dinastia Angela li faccia, per osmosi, assurgere all'Olimpo dei sapienti e che in queste ore incrudeliscono contro gli spettatori dei reality - è che se i telespettatori, a sera, quando tornano a casa sfiniti dal lavoro, preferiscono Temptation Island a programmi dove si parla di storia o di scienza, offenderli o addirittura pretendere, come ho letto da qualche buontempone, che l'ennesimo garante intervenga chiudendo i programmi non graditi, otterrà come unico risultato di peggiorare la situazione, incarognendo ancor più quelli che oggi non vogliono vedere le varie corazzate Kotiomkin proposte dal Ministero della Verità. Semmai, bisognerebbe migliorare il proprio prodotto. Non so come, non essendo un autore televisivo, ma anche col mio quoziente intellettivo da ostrica riesco ad arrivare al banale concetto che se Noos, l'ultimo programma di Alberto Angela, ha fatto flop, invece di prendercela con la casalinga di Voghera attribuendole ogni nequizia presente e passata, o peggio ancora riproporre l'annoso tema - anche ora che Berlusconi riposa in pace nel suo mausoleo di Arcore - che la colpa è del berlusconismo che "ha corrotto gli italiani che prima erano altissimi, purissimi e levissimi", magari è il caso che gli autori ripensino qualcosa del proprio format.
Per il resto, in un paese democratico, dovremmo essere liberi di decidere come impiegare il nostro tempo, senza che autorità di vario genere ci facciano sentire in colpa se non vogliamo vedere l'ennesimo ghepardo che insegue la gazzella, l'ennesima demonizzazione di Mussolini e del fascismo, l'ennesima acritica esaltazione dei vaccini e dell'ideologia green.
Ecco, appunto, dovremmo.
E se proprio dobbiamo dirla tutta, per come la vedo io, in questo paese ha fatto più danni il "pierangelismo" - oggi transumato nell'albertangelismo - che il più trash dei reality.
Ad averci traditi nel 2020 non è stata Barbara D'Urso ma Michela Murgia, non il "morto di fame e di fama" dei reality ma scienziati e intellettuali.
L'intrattenitore non ha altro scopo che intrattenerci. Mentre un gruppo di professoroni, ricchi di boria e poveri di contenuti, ci ha fatto credere che le cose immonde che ci sono accadute negli ultimi anni fossero giuste.
Se non si capisce questo, non si capisce nemmeno perché oggi la gente preferisca guardare rutti e scorregge di ex-VIP o aspiranti tali invece che leggere un libro o guardare un documentario.
Franco Marino
Se ti è piaciuto questo articolo, sostienici con un like o un commento all'articolo all'interno di questo spazio e condividendolo sui social.