Biden non si ricandiderà per una seconda presidenza e la notizia è di quelle che non stupiscono nessuno. Le sue condizioni psicofisiche, da definirsi eufemisticamente precarie, erano note al colto e all'inclita e, tra camminate fuori pista, gaffe e Putin spacciato in mondovisione come presidente dell'Ucraina - mai lapsus è sembrato più freudiano - che l'inquilino della Casa Bianca abbia deciso di fare un passo indietro sembra più un atto notarile dovuto che un'effettiva presa di coscienza, quando non addirittura un ordine dall'alto dei poteri invisibili che sovrintendono l'America.
Questo, inevitabilmente, apre il dibattitoosulle prospettive che possa avere Kamala Harris, che Biden ha già detto che sosterrà sempre ammesso che il vecchio Joe non si sia confuso come sovente gli accade.
In questo senso, la politica americana è molto diversa da quella italiana. Qui da noi, la canea politica è onnipresente e, praticamente, se ne parla ogni giorno. In America si dibatte prevalentemente sui fatti di attualità perché, per il resto, della politica propriamente intesa, la discussione si riscalda soltanto durante la campagna elettorale quando inizia il "concorso di bellezza" tra i candidati presidenti. E dal momento che, come in tutte le democrazie, a fare la differenza sono gli indecisi, le elezioni si vincono al centro. E in America l'indecisione non è tanto relativa a quanto il cittadino percepisca come migliorate o peggiorate le proprie condizioni ma a quanto la narrazione riesca a presentare l'uno o l'altro candidato.
Obama vinse perché piacque a molti anche dell'ala conservatrice e in Italia, anche a destra, nel 2008 sedusse un sacco di insospettabili.
E questo ci porta alla Harris. Che è, per la sua biografia personale, per i discorsi che fa, quanto di più divisivo possa esserci. Tutte le volte che parla, sembra di aver a che fare con la classica donna che, a colpi di "mansplaining" "diritti umani" "i neri" e rivendicazioni varie, fa venire voglia all'ascoltatore di diventare omofobo, razzista, fascista e maschilista, anche se non è mai stato nessuna di queste cose. La simpatia non è certo il tratto distintivo della sua persona - come non lo è della stragrande maggioranza di coloro che appartengono al progressismo internazionale - e la sensazione è che sia perfetta per far stravincere a Novembre Trump che, ad oggi 22 Luglio 2024, è nettamente favorito e che dal fallito attentato ha ricavato un enorme ritorno di immagine, che certamente non deve far pensare che se lo sia fatto da solo l'attentato - perché è una palese scemenza - ma diciamo che è il classico colpo di fortuna capitato al momento giusto.
Il motivo per cui Trump oggi è di nuovo forte è semplice: rappresenta il baluardo di quel ceto medio americano che non ne può più di essere bombardato giornalmente dalla tossicità dei metodi con cui il progressismo tenta di affermarsi. Se davvero i democratici volessero cambiare il corso delle cose, dovrebbero puntare sul rampollo dei Kennedy, Robert, democratico, ma personaggio decisamente eterodosso rispetto agli schemi progressisti, come del resto a suo modo lo era anche il Kennedy più famoso di tutti, John Fitzgerald. Sull'ambiente, purtroppo, non è disallineato rispetto al suo partito, ma su temi come l'aborto, la regolamentazione delle armi, la guerra in Ucraina, la pandemia e in generale i vaccini, ha tesi decisamente non ortodosse rispetto al suo partito. Tutto questo per dire che anche tra i Dem si muove qualcosa, perché per quanto uno possa disistimare i progressisti, non è che possano essersi del tutto rincretiniti.
Questo, inevitabilmente, apre il dibattitoosulle prospettive che possa avere Kamala Harris, che Biden ha già detto che sosterrà sempre ammesso che il vecchio Joe non si sia confuso come sovente gli accade.
In questo senso, la politica americana è molto diversa da quella italiana. Qui da noi, la canea politica è onnipresente e, praticamente, se ne parla ogni giorno. In America si dibatte prevalentemente sui fatti di attualità perché, per il resto, della politica propriamente intesa, la discussione si riscalda soltanto durante la campagna elettorale quando inizia il "concorso di bellezza" tra i candidati presidenti. E dal momento che, come in tutte le democrazie, a fare la differenza sono gli indecisi, le elezioni si vincono al centro. E in America l'indecisione non è tanto relativa a quanto il cittadino percepisca come migliorate o peggiorate le proprie condizioni ma a quanto la narrazione riesca a presentare l'uno o l'altro candidato.
Obama vinse perché piacque a molti anche dell'ala conservatrice e in Italia, anche a destra, nel 2008 sedusse un sacco di insospettabili.
E questo ci porta alla Harris. Che è, per la sua biografia personale, per i discorsi che fa, quanto di più divisivo possa esserci. Tutte le volte che parla, sembra di aver a che fare con la classica donna che, a colpi di "mansplaining" "diritti umani" "i neri" e rivendicazioni varie, fa venire voglia all'ascoltatore di diventare omofobo, razzista, fascista e maschilista, anche se non è mai stato nessuna di queste cose. La simpatia non è certo il tratto distintivo della sua persona - come non lo è della stragrande maggioranza di coloro che appartengono al progressismo internazionale - e la sensazione è che sia perfetta per far stravincere a Novembre Trump che, ad oggi 22 Luglio 2024, è nettamente favorito e che dal fallito attentato ha ricavato un enorme ritorno di immagine, che certamente non deve far pensare che se lo sia fatto da solo l'attentato - perché è una palese scemenza - ma diciamo che è il classico colpo di fortuna capitato al momento giusto.
Il motivo per cui Trump oggi è di nuovo forte è semplice: rappresenta il baluardo di quel ceto medio americano che non ne può più di essere bombardato giornalmente dalla tossicità dei metodi con cui il progressismo tenta di affermarsi. Se davvero i democratici volessero cambiare il corso delle cose, dovrebbero puntare sul rampollo dei Kennedy, Robert, democratico, ma personaggio decisamente eterodosso rispetto agli schemi progressisti, come del resto a suo modo lo era anche il Kennedy più famoso di tutti, John Fitzgerald. Sull'ambiente, purtroppo, non è disallineato rispetto al suo partito, ma su temi come l'aborto, la regolamentazione delle armi, la guerra in Ucraina, la pandemia e in generale i vaccini, ha tesi decisamente non ortodosse rispetto al suo partito. Tutto questo per dire che anche tra i Dem si muove qualcosa, perché per quanto uno possa disistimare i progressisti, non è che possano essersi del tutto rincretiniti.
Quando dico che le elezioni si vincono al centro, penso proprio ad uno come Kennedy. E' l'unico che può concretamente sparigliare le carte e pensare di insidiare Trump. Se invece i democratici candidano la Harris, per me la partita può tranquillamente considerarsi chiusa con la vittoria del vecchio Donald.
Franco Marino
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