Quando penso a qualcosa che potrebbe ammazzarmi, il pensiero inevitabilmente corre a mia figlia e alla semplice prospettiva che possa accaderle qualcosa di brutto e irreparabile, circostanza sufficiente a farmi venire terribili attacchi d'ansia. La stessa cosa succede quando sui giornali leggo di bambini che muoiono. Immediatamente immagino che razza di dolore e di sconforto vivranno i loro familiari. Con un po' di retorica potrei dire che "morire da bambini dovrebbe essere considerato fuorilegge", come sentii dire da qualcuno. E tuttavia, certe cose purtroppo succedono e non c'è proclama che ci salvi dal rischio che ad un nostro figlio possa accadergli qualcosa. A maggior ragione, quando un evento così terribile non solo non viene da una malattia ma dalla mano del genitore che lo aveva accanto, tornano in mente le parole di Terenzio "Sono umano e nulla di umano mi è alieno" e immediatamente una terribile inquietudine si impossessa di me e la paura che a mia figlia possa succederle qualcosa per colpa mia, moltiplica per cento la mia ansia. Quando era piccola, avevo un po' paura di tenerla in braccio, controllavo il suo respiro la notte, se poco poco aveva la fronte calda, andavo nel panico e ovviamente, quando andiamo in auto, sto attento che metta la cintura, che non si sporga dal finestrino e altre cose. In questo senso, in tutta franchezza, penso di essere un padre attentissimo. E la madre è, da questo punto di vista, impeccabile e anche più paranoica di me. Tuttavia, bisogna tenere sempre presente l'ammonimento di Terenzio. E infatti, una volta i miei mi dimenticarono in auto per 2-3 ore. Erano genitori attentissimi e tuttavia ci cascarono, anche se fortunatamente le temperature erano miti e quindi al massimo la cosa si concluse con tanti sfottò da parte mia che i miei vecchi furono costretti a sorbirsi a denti stretti. Succede. E il problema è proprio questo. Che, quando a volte succede, gli esiti possono essere fatali ed è solo il caso a determinarli.
Proprio per questo, quando leggo storie come quella recente di quel padre che si è dimenticato la sua bambina in auto, non riesco a non provare un moto di compassione, tanto più se vedo scagliarsi contro il genitore di turno le orde barbariche dell'indignazione social. Costoro, del tutto ignari degli ammonimento di Terenzio, si scagliano contro i poveri cristi che commettono queste distrazioni, riempendoli di improperi, implorando pene esemplari, evidentemente dimenticando che questi poveretti, al di là delle responsabilità penali, pagheranno tutta la vita questa dimenticanza, intanto col disprezzo dell'altro genitore e poi con l'odio di gente troppo attenta a giudicare gli altri per capire che alle volte, per commettere una distrazione fatale, basta un attimo.
L'unico monito che può arrivare da questa storia non è tanto di fare esercizi di concentrazione o di ricordarci a colpi di training autogeno che bisogna essere sempre concentrati, ma di ricordare in quale atmosfera di dolore si sprofonda quando qualcuno perde la vita per un nostro errore e trovare nel terrore di una sofferenza così acuta ed irrimediabile, le motivazioni per decuplicare la propria prudenza. Finora mi è stato sufficiente. E questo mi consente di abbracciare forte, sia pure virtualmente, quest'uomo che sta vivendo la più orribile tragedia che possa capitare ad un genitore.
Il fatto che una cosa del genere non sia capitata a me è solo un caso.
Proprio per questo, quando leggo storie come quella recente di quel padre che si è dimenticato la sua bambina in auto, non riesco a non provare un moto di compassione, tanto più se vedo scagliarsi contro il genitore di turno le orde barbariche dell'indignazione social. Costoro, del tutto ignari degli ammonimento di Terenzio, si scagliano contro i poveri cristi che commettono queste distrazioni, riempendoli di improperi, implorando pene esemplari, evidentemente dimenticando che questi poveretti, al di là delle responsabilità penali, pagheranno tutta la vita questa dimenticanza, intanto col disprezzo dell'altro genitore e poi con l'odio di gente troppo attenta a giudicare gli altri per capire che alle volte, per commettere una distrazione fatale, basta un attimo.
Quando, davanti ad un caso analogo, ne parlai con un amico psicologo, questi mi diede una spiegazione interessante: in sostanza, urlando contro l'omicida colposo, è come se la gente volesse rassicurare se stessa e dire "a me non succederà mai una cosa del genere". E' una tesi non priva di un suo fondamento. Ma non per questo, possiamo considerare intelligente chi si scaglia contro un padre che ha appena perso un figlio per un suo errore.
Tante cose possono annebbiare la concentrazione: un problema economico o al lavoro, una lite coniugale, una forte stanchezza. Giudicare significa dire a se stessi "no a me non accadrà mai" ed è proprio questa illusoria convinzione che rischierà di farci commettere l'errore fatale.L'unico monito che può arrivare da questa storia non è tanto di fare esercizi di concentrazione o di ricordarci a colpi di training autogeno che bisogna essere sempre concentrati, ma di ricordare in quale atmosfera di dolore si sprofonda quando qualcuno perde la vita per un nostro errore e trovare nel terrore di una sofferenza così acuta ed irrimediabile, le motivazioni per decuplicare la propria prudenza. Finora mi è stato sufficiente. E questo mi consente di abbracciare forte, sia pure virtualmente, quest'uomo che sta vivendo la più orribile tragedia che possa capitare ad un genitore.
Il fatto che una cosa del genere non sia capitata a me è solo un caso.
"Sono umano e nulla di umano mi è alieno".
Franco Marino
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