A margine del mio articolo sul "vento di destra", in molti, in privato, mi hanno chiesto di commentare come si spiega la vittoria del partito laburista in Gran Bretagna e soprattutto quanto questo risultato possa rimettere in discussione la Brexit.
A queste domande non si può rispondere senza prima portare alla luce alcuni punti fondamentali.
Il primo tra questi è che non è stato un successo laburista ma un tracollo dei conservatori che hanno governato male - e proprio perché "hanno fatto poco la destra" - e che quindi sono stati inevitabilmente puniti dalle urne. Ma i sette milioni dei tredici che votarono per Boris Johnson nel 2019 e che non hanno votato per Sunak, non sono andati né a Starmer (Laburisti) né a Davey (Liberal Democratici) ma nell'astensione, che ha visto una crescita di ben 7,4 punti percentuali, composti da milioni di voti che sono semplicemente quelli usciti dalla destra britannica.
Il partito laburista, lungi dall'aver trionfato come sostengono i media, ha in realtà perso 500.000 voti, come li hanno persi (-200.000) anche i Liberal Democratici.
Di fronte ad un dato di questo tipo, non si può minimamente parlare di vittoria dei laburisti. Che certamente hanno una maggioranza piuttosto ampia nelle istituzioni ma che non rappresenta il paese reale che, di fronte alla prospettiva di ritrovarsi l'ennesimo governo in teoria di destra ma che nei fatti diventa di sinistra, ha preferito rimanersene a casa.
Questo fa porre a molti la domanda: adesso a Londra si rimangeranno la Brexit?
Su questo, personalmente, ho moltissimi dubbi.
Per capire quanto una qualsiasi riforma sia condivisa da tutto l'arco parlamentare di una classe politica, bisogna guardare a come la avversano quelli che in teoria dovrebbero esserne gli oppositori. In Italia, per esempio, nessuno - se non qualche sconsiderato fuori dalla realtà spaziotemporale - si sognerebbe di reintrodurre l'articolo 18 perché anche a sinistra hanno sperimentato la consapevolezza che un imprenditore, se deve essere costretto a "sposare" un suo lavoratore, a quel punto non assume e delocalizza. Né più né meno di come in Gran Bretagna nessuno, a sinistra, si sogna di mettere in discussione le riforme della Thatcher. Chi ci prova, viene puntualmente punito dagli elettori.
Analogamente, la Brexit è stato un tema talmente sentito dagli inglesi che se è vero che i laburisti, in teoria, sono molto più europeisti dei conservatori, è anche vero che l'Inghilterra profonda ha sempre avuto una profonda avversione per il sistema di leggi e di regole dell'Eurozona, nettamente in contrasto con la natura britannica, imperniata su un liberalismo di tradizione quasi millenaria.
Oggi Starmer non ha i numeri nel paese per poter pensare di riproporre il tema di una marcia indietro su un'uscita dall'UE che peraltro non ha certo avuto sugli inglesi l'effetto che avrebbe un'Italexit o una Grexit sui rispettivi paesi, dal momento che i britannici non hanno mai abbandonato la propria sterlina e che, per questo e per molti altri motivi, la loro presenza in Europa era molto più apparente che sostanziale. E questo fa tutta la differenza del mondo. Infatti il tema del ritorno nell'Unione Europea non è stato certo tra quelli più caldi e saggiamente Starmer, in campagna elettorale, lo ha proposto poco o nulla, anche perché deve tenere conto della forte ala euroscettica di sinistra rappresentata da Corbyn. In sintesi, far passare la Brexit come un tema "di destra" significa capirci poco di politica britannica.
Conclusioni? E' sempre difficile far notare ad un lettore convinto che la politica si faccia solo nelle istituzioni, che nelle democrazie i partiti non creano dal niente le tendenze che cercheranno di imporre ma si fondano sempre sullo spirito dei propri popoli. E quindi, non si avrà alcun ritorno in Europa per lo stesso motivo per cui in Italia non si avrà mai una rivoluzione liberale. La mentalità cattocomunista rende impossibile che l'Italia diventi come l'Inghilterra. La mentalità liberale britannica - unita alla cultura isolazionistica tipica dei paesi insulari - rende impossibile che gli inglesi si europeizzino.
A queste domande non si può rispondere senza prima portare alla luce alcuni punti fondamentali.
Il primo tra questi è che non è stato un successo laburista ma un tracollo dei conservatori che hanno governato male - e proprio perché "hanno fatto poco la destra" - e che quindi sono stati inevitabilmente puniti dalle urne. Ma i sette milioni dei tredici che votarono per Boris Johnson nel 2019 e che non hanno votato per Sunak, non sono andati né a Starmer (Laburisti) né a Davey (Liberal Democratici) ma nell'astensione, che ha visto una crescita di ben 7,4 punti percentuali, composti da milioni di voti che sono semplicemente quelli usciti dalla destra britannica.
Il partito laburista, lungi dall'aver trionfato come sostengono i media, ha in realtà perso 500.000 voti, come li hanno persi (-200.000) anche i Liberal Democratici.
Di fronte ad un dato di questo tipo, non si può minimamente parlare di vittoria dei laburisti. Che certamente hanno una maggioranza piuttosto ampia nelle istituzioni ma che non rappresenta il paese reale che, di fronte alla prospettiva di ritrovarsi l'ennesimo governo in teoria di destra ma che nei fatti diventa di sinistra, ha preferito rimanersene a casa.
Questo fa porre a molti la domanda: adesso a Londra si rimangeranno la Brexit?
Su questo, personalmente, ho moltissimi dubbi.
Per capire quanto una qualsiasi riforma sia condivisa da tutto l'arco parlamentare di una classe politica, bisogna guardare a come la avversano quelli che in teoria dovrebbero esserne gli oppositori. In Italia, per esempio, nessuno - se non qualche sconsiderato fuori dalla realtà spaziotemporale - si sognerebbe di reintrodurre l'articolo 18 perché anche a sinistra hanno sperimentato la consapevolezza che un imprenditore, se deve essere costretto a "sposare" un suo lavoratore, a quel punto non assume e delocalizza. Né più né meno di come in Gran Bretagna nessuno, a sinistra, si sogna di mettere in discussione le riforme della Thatcher. Chi ci prova, viene puntualmente punito dagli elettori.
Analogamente, la Brexit è stato un tema talmente sentito dagli inglesi che se è vero che i laburisti, in teoria, sono molto più europeisti dei conservatori, è anche vero che l'Inghilterra profonda ha sempre avuto una profonda avversione per il sistema di leggi e di regole dell'Eurozona, nettamente in contrasto con la natura britannica, imperniata su un liberalismo di tradizione quasi millenaria.
Oggi Starmer non ha i numeri nel paese per poter pensare di riproporre il tema di una marcia indietro su un'uscita dall'UE che peraltro non ha certo avuto sugli inglesi l'effetto che avrebbe un'Italexit o una Grexit sui rispettivi paesi, dal momento che i britannici non hanno mai abbandonato la propria sterlina e che, per questo e per molti altri motivi, la loro presenza in Europa era molto più apparente che sostanziale. E questo fa tutta la differenza del mondo. Infatti il tema del ritorno nell'Unione Europea non è stato certo tra quelli più caldi e saggiamente Starmer, in campagna elettorale, lo ha proposto poco o nulla, anche perché deve tenere conto della forte ala euroscettica di sinistra rappresentata da Corbyn. In sintesi, far passare la Brexit come un tema "di destra" significa capirci poco di politica britannica.
Conclusioni? E' sempre difficile far notare ad un lettore convinto che la politica si faccia solo nelle istituzioni, che nelle democrazie i partiti non creano dal niente le tendenze che cercheranno di imporre ma si fondano sempre sullo spirito dei propri popoli. E quindi, non si avrà alcun ritorno in Europa per lo stesso motivo per cui in Italia non si avrà mai una rivoluzione liberale. La mentalità cattocomunista rende impossibile che l'Italia diventi come l'Inghilterra. La mentalità liberale britannica - unita alla cultura isolazionistica tipica dei paesi insulari - rende impossibile che gli inglesi si europeizzino.
Dopodiché, se la Gran Bretagna rientrerà nell'Eurozona, ci starà come ci stava prima: mantenendo la propria moneta e godendo di un'ampia autonomia. E se questo fosse il caso, tanto varrebbe - sia per l'UE che per i britannici - rimanere per conto proprio.